Filippo Ceccarelli la Repubblica 6/9&2012, 6 settembre 2012
Nel raro ed aureo Dizionario della maldicenza (Ceschina, 1958 e 1965) di Dino Provenzal, preside di liceo, letterato, medaglia d’oro dei Benemeriti della Cultura, non stupisce solo quanti pochi politici viventi fossero elencati tra gli offesi, ma soprattutto si segnala il garbo, l’eleganza, la spiritosa grazia dei loro maligni denigratori
Nel raro ed aureo Dizionario della maldicenza (Ceschina, 1958 e 1965) di Dino Provenzal, preside di liceo, letterato, medaglia d’oro dei Benemeriti della Cultura, non stupisce solo quanti pochi politici viventi fossero elencati tra gli offesi, ma soprattutto si segnala il garbo, l’eleganza, la spiritosa grazia dei loro maligni denigratori. Per cui ad esempio il presunto assassino del Duce, Walter Audisio, è fatto bersaglio di un crudele epigramma di Malaparte; il sindacalista Di Vittorio diventa con fantastico nomignolo “il Favoliere delle Puglie”, e Montanelli scolpisce lapidi tipo: «Qui giace/ Guglielmo Giannini/ ucciso/ dal dolore/ di essere/ un uomo qualunque». Ora, dall’aulico distacco all’odierno e svaccatissimo trash corrono 50 anni di slittamenti e di passioni ridotte in miseria. Ma quando dinanzi all’ennesimo sbocco di diarrea e di necrofilia, come di fronte all’inedito rutto (nell’aula consiliare di Vigevano), al solito gestaccio della consueta tripartizione (corna, dito medio, ombrello) o allo stanco riecheggiare di “fascisti”, “comunisti”, ecco, quando si sente dire che la vita pubblica si è imbarbarita, la tentazione sarebbe di assentire. E di chiuderla lì. E invece no, perché in questo tempo cui può adattarsi la qualifica manzoniana di “sudicio e sfarzoso”, a loro modo gli insulti rispecchiano al meglio la più vertiginosa trasformazione di una politica che punta ormai al minimo comune denominatore, il corpo, per cui è sostanzialmente attorno ad esso che ruota il vituperio; e così per fare male a qualcuno l’attuale polemologia di Palazzo, incerta tra Bagaglino e cinepanettone, vuole gli si dica che puzza, che è brutto, grasso, basso, pelato, vecchio, malato, rifatto, che ha gli occhi storti o la dentiera, o è impotente, bavoso, culattone, bongo-bongo o pedofilo. Molto di più non si raccomanda. La linguaccia di Bossi, che tanto ha dato in quest’ambito (si pensi a Casini “carugnit de l’uratori” o al professor Miglio designato “una scoreggia nello spazio”) è sfiorita e il Senatùr suona ormai patetico nella sua muta volgarità gesticolante: e i cronisti scrivono che ha mostrato “il classico dito”. Segno dei tempi non è tanto che il ministro La Russa abbia mandato in quel posto il presidente della Camera Fini, ma che il Collegio dei Questori ne abbia trovato tecnologica conferma osservando il labiale alla moviola. Così come fa riflettere che il presidente del Consiglio abbia fatto raccogliere le varie in- giurie in un volume a cura del capo ufficio stampa di Forza Italia Luca D’Alessandro, pubblicato da Mondadori nel 2005 con il titolo: Berlusconi, ti odio. Semmai, è fuori dal recinto dei partiti che le ingiurie riscattano la banale e volgare anatomia mostrando la loro patologica vitalità con la potenza del fuori- programma. Come in fondo accadde a “Porta a porta” allorché con un guizzo il molesto Paolini riuscì a togliere di mano il microfono alla giornalista Rondinelli e a soffiarci dentro: «Berlusconi ce l’ha piccolo piccolo!». Altrimenti sono lanci di fetidi residui organici, ma veri: è accaduto al ristorante di lusso torinese “Il Cambio”, davanti a Palazzo Grazioli, sotto casa del ministro Gelmini. Oppure sono autentiche docce di quell’altra sostanza prima versata e poi rivendicata (“la mia balsamica ampolla”) da Marina Ripa di Meana addosso a Sgarbi, per ragioni misteriose, ma con annesso video. Ed è come se la pratica o se si vuole l’arte di offendere prendesse corpo – lei sì! – vivendo ormai di vita propria a colpi di invenzioni, vibrazioni, ri-creazioni, video- installazioni, fantasmatici remix e cori spaventosi, anche di bambini, in visione su YouTube; e performance a base di mutande, sagome, sedie vuote, ostensioni di cartelli creativi (“Trombolo l’ottavo nano”); e fantocci bruciati, maschere e magliette indossate a tradimento (“Fornero al cimitero”), bellicose consegne di ortaggi, scarpe, stampelle, gabinetti. Per essere barbarici, sembrano moduli convenientemente arcaici, ma anche piuttosto evoluti. Vedi il ripristino della maledizione attraverso un camion- vela dedicato a Brunetta, sogghignante in effigie, e la grande scritta: “Te potesse pijà un colpo”. Vedi la protesta contro la riforma della scuola effettuata trascinando un asino a viale Trastevere. In questo contesto, segnato da richiami spettacolari, personalizzazione, cultura del talk-show e relative trappole dell’intimità, si è inserito Beppe Grillo. E più del “Vaffa day” o degli altri suoi mortiferi improperi pare significativa l’accaldata processione che fece l’estate scorsa con il deposito finale di un cesto di cozze marce davanti a Montecitorio: «La crisi sono loro – gridava indicando la Camera – ritardati morali con gravi psicopatologie, hanno la prostata gonfia, per due tette e un culo sfasciano la famiglia, sono pieni di viagra, questo è un paese che non esiste più». Dentro, in aula, gli onorevoli si limitano a scandire malinconicamente “Tro-ta Tro-ta” contro la Lega, o “Cro-zza Crozza” per scimmiottare Bersani, o “Munni- zza Mu-nni-zza” ai danni di Scilipoti. E verrebbe da stringersi al cuore il vecchio La Malfa che inveiva contro un monarchico: «Ella è un miserabbile». Piccola politica, oggi, piccoli insulti. L’unica consolazione, in fondo, è che si dimenticano subito. © RIPRODUZIONE RISERVATA Per far male a qualcuno oggi bisogna dire che puzza che è brutto, grasso, basso pelato, vecchio, malato, rifatto