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 2012  settembre 05 Mercoledì calendario

Mani pulite santifica Martini ma nel ’95 indagò sulla Curia - Milano, 1995. Politica al­lo sbando

Mani pulite santifica Martini ma nel ’95 indagò sulla Curia - Milano, 1995. Politica al­lo sbando. Città disorientata. Due soli poteri forti all’ombra della Ma­donnina. Uno è Carlo Maria Marti­ni, che all’epoca è da quindici an­ni arcivescovo della città. L’altro ­assiso a trecento metri di distan­za, al quarto piano del palazzo di giustizia - è il pool Mani Pulite. Nei giorni scorsi, a leggere molti degli articoli pubblicati in occasio­ne della morte di Martini, è sem­brato che in quegli anni convulsi Procu­ra e Curia marciasse­ro affiancate nella crociata che doveva purificare la politica, che Borrelli e i suoi pm avessero nel ge­sui­ta divenuto cardi­nale una sponda mo­rale e un alleato affi­dabile. Intervistato, lo stesso Borrelli con­ferma questa rico­struzione e traccia di Martini un ritratto commosso e quasi affettuoso. Ma davvero le cose andarono così? In realtà, appannata nelle nebbie dei ricordi dei cronisti e de­gli articoli di giornale, c’è anche una storia diversa. È la storia di al­cune settimane convulse, tra l’in­verno e la primavera del 1995, in cui sembrava che neppure la Chie­sa milanese dovesse passare in­denne nella tempesta scatenata dal pool. Le indagini di Mani Puli­te arrivarono a scavare persino in Arcivescovado, nel regno di Marti­ni. Nei loro verbali, i pm di Borrelli avevano una bomba: la storia di una tangente pagata da una strut­tura della Curia ai funzionari del catasto. Poteva essere un nuovo terremoto. Gli investigatori non trovarono, pare, grande collabo­razione da parte degli uomini del cardinale. Ma poche settimane dopo Borrelli e i suoi sostituti ap­profittarono di un viaggio in Brasi­le per togliersi dalle scarpe un bel po’ di sassolini e scagliarli contro la Chiesa, accusandola di non ave­re fatto praticamente nulla per combattere la corruzione e agevo­lare le inchieste. In Arcivescova­do la presero malissimo, e Martini diede incarico al suo portavoce di rispondere a brutto muso al pool. È in quelle settimane che nei corridoi del tribunale iniziò a cir­colare persino la voce più inverosi­mile, quella di un provvedimento del pool in arrivo per il cardinale. Ovviamente non era vero, per il semplice motivo che in una Curia non è l’arcivescovo a occuparsi di affari immobiliari. Ma la sostanza cambiava di poco: se la tangente fosse stata accertata, se le manet­te- o anche solo un avviso di garan­zia - avessero raggiunto gli uomi­ni di fiducia di Martini, lo choc per la città sarebbe stato enorme, e tra i due palazzi si sarebbe scavato un fossato difficilmente colmabile. Invece il clima tornò a rasserenar­si, i pm smussarono le loro dichia­razioni contro la Chiesa, negli am­bienti di Curia fecero sapere che il sostegno delle tonache alle toghe era fuori discussione. E della tan­gente pagata al catasto non si sen­tì più parlare. A trovare le tracce della tangen­te era stata Margherita Taddei, lo stesso pm che di lì a poco aprirà l’inchiesta contro Silvio Berlusco­ni per le tangenti ai giudici roma­ni. Indagando su Enzo Viganò, lea­der di un sindacato dei dirigenti del ministero delle Finanze, la Taddei aveva trovato le tracce di una stecca da 150 milioni di lire versata dall’Istituto diocesano per il sostentamento del clero, il più importante braccio secolare della Curia, che si occupa anche della gestione dell’imponente pa­trimonio immobiliare della Chie­sa milanese. Scopo della mazzet­ta, edulcorare un documento del Catasto, il certificato di congruità relativo ad un fabbricato. A rac­contare per prima la notizia fu, il 22 febbraio 1995 , Repubblica , rac­contando che la Taddei aveva fat­to sequestrare le carte dell’istituto diocesano. E citando una fonte in­vestigativa, secondo cui a fare scat­tare l’inchiesta era stato un artico­lo del nuovo Concordato, firmato nel 1984 da Craxi e dal cardinale Casaroli, che sottopone alle nor­me italiane le operazioni immobi­liari degli enti ecclesiastici. «Non abbiamo ricevuto nessun avviso di garanzia - disse il presi­dente dell’Istituto, don Giovanni Barbareschi - ed escludo che ab­biamo mai pagato tangenti ».In Ar­civescovado lo sconcerto per l’ini­ziativa del pool fu grande. E il ma­lumore aumentò quando Borrelli e tre pm andarono in Brasile, invi­tati per un ciclo di conferenze. Qui, parlando con alcuni espo­nenti radicali della Teologia delle liberazione, andarono giù pesan­ti con la Chiesa italiana. Iniziò Gherardo Colombo,l’unico catto­lico del pool: «La base della Chie­sa era senz’altro con noi e ha ap­poggiato il nostro lavoro ma pur­troppo è forse in alto che non c’è stata altrettanta attenzione». Gli fece eco Borrelli: «In Italia ci sono preti che hanno sentito il nostro impegno etico. Ma per i vertici non saprei...». Apriti cielo. Il gior­no dopo l’intera Chiesa italiana parte al contrattacco,l’ Osservato­re Romano accusò il pool di «de­magogia ». Martini tacque. Ma fe­ce parlare il suo portavoce, don Gi­lberto Donnini: «Ho letto con grande sorpresa le dichiarazioni dei giudici. Forse sono stati colti da qualche forma di amnesia».