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 2012  settembre 05 Mercoledì calendario

Oddio, ritorna Prodi e vuole scalare il Colle - Quando il gioco si fa duro, anche Romano Prodi bat­te un colpo (anzi più d’uno) per ricordare alla gentile compagnia della sinistra che lui è vivo e vegeto, che il vero Professore­premier è lui e non Mario Monti, che egli rimane il pretendente nu­mero uno al Quirinale e che non si azzardino a trattarlo come nel 1998, quando prima lo cacciarono da Palazzo Chigi e poi indennizza­rono con l’esilio dorato di Bruxel­les

Oddio, ritorna Prodi e vuole scalare il Colle - Quando il gioco si fa duro, anche Romano Prodi bat­te un colpo (anzi più d’uno) per ricordare alla gentile compagnia della sinistra che lui è vivo e vegeto, che il vero Professore­premier è lui e non Mario Monti, che egli rimane il pretendente nu­mero uno al Quirinale e che non si azzardino a trattarlo come nel 1998, quando prima lo cacciarono da Palazzo Chigi e poi indennizza­rono con l’esilio dorato di Bruxel­les. Questa volta ci dev’essere sol­tanto un «promoveatur» senza «amoveatur». Nichi Vendola, cui non manca il fiuto, ha capito subito quale aria ha ripreso a spirare dalla placida Bolo­gna. E ha fatto la mossa giusta: quel­la di scoprire le carte. Per colmo di perfidia ha usato proprio l’immagi­ne del risarcimento danni. Arrivan­do l’altra sera alla Festa democrati­ca di Reggio Emilia, il governatore pugliese ha risposto a Matteo Ren­zi il qu­ale aveva rimproverato a Ri­fondazione la caduta del secondo governo Prodi. In realtà anche nel 1998 furono i bertinottiani a impal­linare il Professore, ma sorvolia­mo. Vendola,che all’epoca non ave­va ancora fondato Sinistra ecolo­gia e libertà, ha colto al volo l’occa­sione: «Possiamo riparare propo­nendo Prodi al Quirinale». Una stoccata abile. In questo modo il leader di Sel ha rivendicato lo sgambetto di allora mettendo di nuovo in guardia Prodi,ma soprat­tutto ha­ufficializzato una candida­tura che l’ex premier voleva tenere ancora coperta. Si sa: gli annunci prematuri sono destinati a essere bruciati. Dunque, Nichi lancia Prodi ver­so la poltrona che fino a primavera è di Giorgio Napolitano. Ma non bi­sogna credere che sia tutta farina del sacco vendoliano. Macché. Prodi si sta muovendo da tempo per costruire un percorso inattac­cabile verso il Colle. Incontri riser­vati, convegni, interviste rare e mi­rate per non mescolarsi troppo con le quisquilie della politichetta quotidiana. Tuttavia negli ultimi giorni ha dovuto moltiplicare la sua presenza mediatica. La situa­zione si stava facendo troppo peri­colosa per le sue ambizioni. Il Pro­fessore doveva intervenire. Che cos’era successo? Il proble­ma sta nella nuova legge elettorale che Pier Luigi Bersani vorrebbe va­rare assieme al Pdl. Lo schema pre­vede un sostanziale ritorno al pro­porzionale con un premio al pri­mo partito, il che significa che le co­alizioni di maggioranza si forme­rebbero dopo il voto, non prima co­me adesso. L’operazione è una mi­na neppure troppo vagante per i progetti del Professore, la cui asce­sa verso il Colle sarebbe logorata da trattative estenuanti. A ciò si ag­giunge il nervosismo dei «rottama­tori » di Renzi, che vorrebbero pen­sionare i democratici che furono ministri di Prodi: figurarsi il pre­mier. Così il Professore ha deciso di muoverelesuepedine.Un’intervi­sta a Radio anch’io , un editoriale sul Messaggero , un’intervista al Corriere della Sera , una capatina a Parigi per un meeting economico, un corso di lezioni a Pechino e in mezzo una lunga chiacchierata a casa sua con Bersani il giorno in cui il segretario del Pd era a Bolo­gna per presentare il libro di Wal­ter Veltroni. L’obiettivo comune dell’offensiva è uno solo: la legge elettorale prossima ventura nefa­sta per i propositi quirinalizi pro­diani. Il 2 settembre sul Messaggero le ragioni contro il«bersanellum»so­no tecniche: «I progetti finora presi in considerazione sono orientati verso sistemi talmente confusi e complicati da essere sostanzial­mente incomprensibili non solo al normale elettore ma anche a molti professionisti della politica- scrive Prodi - La formula del governo sa­rebbe decisa solo dopo le elezioni, in contrasto col sacro principio che a decidere dei destini dell’Ita­lia dovrebbero essere i suoi cittadi­ni ». Un «sacro principio» peraltro disatteso dal ’48 al ’93,visto che tut­ti i governi della Prima repubblica furono eletti settimane e settima­ne dopo la chiusura delle urne pro­prio grazie al proporzionale. Il giorno dopo, sul Corriere , siag­giungono questioni politiche inter­ne alla sinistra: «Se si arriverà a un modello elettorale di tipo propor­zionale, allora lo strumento delle primarie sarà svuotato: a che servi­rebbe chiamare il popolo del cen­trosinistra a scegliere il candidato premier del partito se poi la formu­la di governo viene delegata alla trattativa fra le forze politiche e so­lo dopo le elezioni?». Giusto. E perché sbracciarsi nel­la corsa al Quirinale se poi il presi­dente sarà frutto di una mediazio­ne con il centrodestra? Giovedì scorso, tra le sicure pareti della ca­sa di via Gerusalemme, Prodi avrebbe messo alle strette Bersani: un freno alla nuova legge elettora­le, altrimenti alle primarie il Profes­sore avrebbe fatto votare Renzi. Il segretario deve aver preso atto per­ché lo staff di Prodi ha reso noto l’avvenuto incontro che in origine doveva restare riservato. Un punto a suo favore. E uno per l’aspirante capo dello Stato.