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 2012  settembre 02 Domenica calendario

DA FELLINI ALLA COCAINA, LA TRATTORIA DEI VIP ROMANI

Il cameriere in livrea s’accompagna a un sorriso piuttosto artefatto: “Vuole assaggiare la maestà?”, e con una battuta che ripeterà ogni giorno di ogni anno si congeda persino il sorriso. Il mare è nervoso, magliette slavate di azzurro o di grigio s’aggirano per i saloni mezzi vuoti e mezzi desolati. Al ristorante “Mastino” a Fregene, fuga d’emergenza per i romani stabili e transitori, le facce scolpite dal potere e dal vippume sono un pezzo d’arredamento. Quel particolare che l’occhio ignorava, però, adesso t’abbaglia: le casette intorno di legno scuro, il vicino rifugio per i ricchi proprietari. In quelle casette, in quelle stanze moderne, Camillo detto Lillo Mastino, indagato per spaccio di stupefacenti (gruppo di nove, compresa la figlia 22enne, racconta il Corriere edizione romana), custodiva il digestivo colombiano ( Spinoza.it  ): la vippissima cocaina, merce svalutata per le classi medie e basse, ormai. E ti chiedi, sempre con quell’occhio svuotato di ammirazione per i passanti in passerella, perché qui servono la maestosa bruschetta con le telline e poi accanto sigillano in cassaforte la cocaina anziché un carico di molluschi. Il Mastino è un lascito di Federico Fellini, un’intuizione che poteva capitare soltanto negli anni 60, esattamente nel ’61 quando Camillo detto Lillo era un bambino. Fellini girava Lo sceicco bianco tra le steppe perlate di Fregene, un piattume senza orizzonte, e sfamava lo squadrone con il pescato di Ignazio Mastino, lupo di mare e di cucina. La trattoria fu la conquista di una stirpe di dieci fratelli che impresse il proprio cognome a uno slargo in faccia al Tirreno. Un punto d’incontro inevitabile per la politica e l’imprenditoria romana che soppiantarono le grigliate di pesce che piacevano, indistintamente, a Gian Maria Volontè, Gillo Pontecorvo, Vittorio Gassman, Ennio Flaiano, Alberto Moravia, Mario Monicelli, Dino Risi, Alberto Ronchey. Anche l’avvocato Gianni Agnelli, in trasferta a Roma, sostava a Fregene per gli spaghetti con le vongole veraci.
L’inchiesta che segue, la droga tagliata e l’erba rollata, e neppure sfiora il ristorante (tranne Camillo, sempre attivo tra i tavoli), fa temere la presenza di qualche vippetto all’occorrenza cliente abituale. Al Mastino non mancano le telline, i pranzi lenti di Paolo Bonaiuti (che qui gioca a carte con un pescatore), di Francesco Gaetano Caltagirone (che qui sfoggia la giovane compagna bionda). Le cene impomatate di Luca Cordero di Montezemolo, Gianfranco Fini, Mauro Masi (“Rare volte”), Gianni De Michelis, Marina Ripa di Meana. La scrittrice Camilla Baresani, per la Domenica del Sole 24 Ore, si spinse ai confini di Fregene: distrusse le portate del Mastino e l’igiene dei camerieri. Una distruzione ben congegnata, un’esplosione controllata che fa crollare i palazzi in verticale. E in questa circostanza, un monumento culinario: “Ecco cosa offre il locale ai suoi sostenitori. Dal punto di vista architettonico, una concrezione di baracche germinate da una baracca primaria, con quell’aria di finto-provvisorio ed eventualmente smontabile che permette di espandersi dove non sarebbe consentito ma di fatto lo è, o lo diventa. (…) Quando il cameriere viene a sparecchiare, prende il piatto col pollice ben sporto dentro e lo fa oscillare constatando che dal brodetto pomodoroso tracimano scampi e gamberi ancora interi: ‘Finido? Siguraa?’”. Le lame di Camilla Baresani fecero sanguinare i fedelissimi del Mastino. Che non si chiamano più Flaiano, Moravia o Gassman. E non germinano da loro come le baracche. Vanno sinuosa-mente da Walter Veltroni a Federico Moccia. Come scambiare le vongole con le telline.