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 2012  settembre 05 Mercoledì calendario

PER IL TESORO UN RISPARMIO POTENZIALE DA TRE MILIARDI

Non è la certo la prima volta che una ricerca di un’istituzione punta il dito sul conto più salato che l’Italia deve pagare per effetto del contagio. A luglio il Centro Studi Confindustria aveva per esempio rilevato che se si fosse tenuto conto dei fondamentali macroeconomici il differenziale di rendimento fra i titoli del nostro Paese rispetto ai Bund tedeschi avrebbe dovuto collocarsi ben 300 punti base al di sotto del livello di allora (cioè a 164 punti).
Si tratta in fondo di un valore non poi troppo distante da quei 200 punti al quale fa riferimento lo studio pubblicato ieri dalla Banca d’Italia e che, ovviamente, comporterebbe risparmi importanti per il Tesoro, ma anche per banche, famiglie e imprese che soffrono in via indiretta il caro-spread. Tradurre in soldoni le ricadute benefiche sulle nostre tasche di una riduzione della distanza che ci separa dalla Germania non è però operazione immediata, anche perché occorre ragionare in termini di tassi assoluti anziché sui differenziali: in fondo sono quelli che si pagano.
Sarebbe inoltre troppo semplicistico, oltre che poco corretto, prendere come base l’intera curva dei tassi tedeschi e aggiungere 2 punti percentuali per trovare il «fair value» dei nostri BTp, perché se è vero che la situazione creatasi sui mercati ha gonfiato i rendimenti italiani è altrettanto evidente che la fuga dal rischio degli investitori ha ridotto oltre ogni misura e merito quelli dei Bund. Lo studio Bankitalia individua però un valore equo anche per questi ultimi: il decennale tedesco dovrebbe stare attorno al 2,31% anziché all’1,40% di ieri, il che significa che un tasso corretto per il BTp 10 anni potrebbe essere attorno al 4,30% (invece del 5,67% di ieri).
Volendo fare i conti in tasca al Tesoro, poi, non si può fare a meno di notare che i titoli emessi non sono soltanto a dieci anni, ma hanno scadenze differenti. E visto che la loro media si è abbassata da 6,99 anni di fine 2011 ai 6,65 anni di giugno, si può prendere per semplicità di calcolo un titolo a 7 anni. Rielaborando le indicazioni di Bankitalia si giunge per quest’ultimo a un tasso equo del 3,56% anziché del 5,27% medio di quest’anno (vedi grafico a fianco): un valore che, se applicato ai 180 miliardi di euro di emissioni previste per il 2013, garantirebbe al Tesoro una minor spesa per interessi di circa 3,1 miliardi, un «risparmio» quantomai prezioso di questi tempi.
Anche perché l’effetto di un spread «calmierato» non si ridurrebbe certo soltanto ai conti pubblici. Non è un mistero, infatti, che lo stesso prezzo della sfiducia dei mercati nei confronti dell’Italia venga pagato dalle banche sotto forma di tassi più elevati nella raccolta di denaro. E che poi gli istituti finanziari siano costretti a girare questa maggiorazione sulla clientela, famiglie e imprese, aumentando il costo dei nuovi finanziamenti e contribuendo così a creare quel corto circuito che porta dritto alla recessione.
Oggi un’azienda italiana di dimensioni medio-piccole è costretta a pagare per un finanziamento tra 1 e 5 anni e di importo fino al milione di euro un interesse medio del 6,24% contro il 4,04% di una concorrente tedesca e un nuovo mutuo variabile per la casa viene concesso a un tasso minimo superiore al 3,5% quando gli Euribor sono ormai ridotti a zero. Una forbice che sottrae competitività al nostro tessuto industriale e risorse preziose alle famiglie. E che potrebbe in parte richiudersi se solo la pressione sugli spread riuscisse ad affievolirsi.