Sergio Romano, Corriere della Sera 5/9/2012, 5 settembre 2012
Quest’anno ricorre il bicentenario dell’attacco di Napoleone alla Russia. In Italia la ricorrenza è passata del tutto inosservata
Quest’anno ricorre il bicentenario dell’attacco di Napoleone alla Russia. In Italia la ricorrenza è passata del tutto inosservata. Eppure la partecipazione italiana all’invasione fu significativa. All’incirca 27.000 al comando del principe Eugenio viceré del Regno d’Italia e diecimila soldati del Regno di Napoli ai quali vanno aggiunti tutti gli italiani chiamati, per obbligo di coscrizione, a servire direttamente nell’esercito francese dalle Regioni direttamente annesse alla Francia (Piemonte, Liguria, Toscana, Parma e Piacenza, Roma). Alcuni parlano di 70.000 italiani presenti complessivamente nella campagna, di cui solo poche migliaia fecero ritorno (Carlo Zaghi, Con Napoleone nella campagna di Russia). Inoltre la sconfitta napoleonica ebbe conseguenze decisive per la nostra penisola con la fine del Regno d’Italia, la restaurazione di alcuni dei vecchi Stati, l’accentuata presenza austriaca, solo per citarne qualcuna. Come spiega questa indifferenza? Stefano Pizzorno Wellinton@libero.it Caro Pizzorno, Se Milano volesse commemorare il duecentesimo anniversario della campagna di Russia, disporrebbe di luogo ideale in cui scoprire una lapide o deporre una corona. Non so in quali altre città italiane esista una via della Moscova e temo che il suo nome abbia perduto, col tempo, una parte del suo impatto originario. Ma Moscova è il termine lungamente usato da francesi e italiani per definire una battaglia meglio conosciuta oggi con il nome di Borodino, da quello del villaggio a 100 chilometri da Mosca in cui la Grande Armée di Napole0ne si scontrò nel settembre 1812 con l’esercito del generale Kutuzov. L’intestazione della via milanese avvenne evidentemente in un’epoca in cui gli italiani erano maggiormente consapevoli dell’importanza che quella battaglia ha avuto nella storia del Risorgimento. Furono più di 25.000, come lei ricorda, quelli che parteciparono alla spedizione nel contingente del Regno Italico, comandato dal viceré Eugenio di Beauharnais; e furono circa 9.000 quelli che appartenevano al contingente napoletano di Gioacchino Murat. Portavano uniformi italiane, erano guidati da ufficiali italiani, obbedivano a comandi in lingua italiana. Quelli del Regno italico, in particolare, erano cittadini di uno Stato che contava sei milioni di abitanti. Il suo re era Napoleone, il suo viceré era francese, ma nelle sue istituzioni, nel dinamismo della sua borghesia, nelle opere realizzate in quegli anni (fra cui la grande strada del Sempione) e nei criteri adottati per l’educazione civile e militare dei suoi giovani vi era la promessa di uno Stato italiano. La sua creazione rispondeva indubbiamente agli interessi politici dell’imperatore dei francesi, ma vi fu allora, per la prima volta nella penisola, uno Stato che non era soggetto né a un governo oligarchico né a una opprimente influenza clericale. In un bel libro, oggi ingiustamente dimenticato («L’età del Risorgimento italiano»), Adolfo Omodeo ha ricordato che anche Ugo Foscolo, oppositore dei francesi, ne fu consapevole: «Io chiamo nostra libertà il non avere (tranne Bonaparte) niun magistrato che italiano non sia, niun capitano che non sia cittadino». Fu questa la ragione per cui i milanesi decisero di avere una «via della Moscova». Quella battaglia ha un posto nella nostra storia.