Maria Serena Natale, Corriere della Sera 5/9/2012, 5 settembre 2012
DAL NOSTRO INVIATO
LONDRA — «Ilsa, le cose da eroe non mi piacciono. Ma i problemi di tre piccole persone come noi non contano niente in questa immensa tragedia. Un giorno capirai... Buona fortuna, bambina». Ammettiamolo, se non fosse stato per quel cappello sbilenco, quella punta d’ironia mista a desiderio in fondo agli occhi e quel trench portato con tanta regale trasandatezza, una frase così avrebbe avvilito anche la più irrecuperabile delle «bambine». Quel trench è diventato un’icona, per sempre legato all’addio tra Humphrey Bogart e Ingrid Bergman sulla pista di Casablanca.
Settant’anni dopo, il soprabito è tornato al centro di un più prosaico intrigo internazionale, partito dalla «libera America» sognata da Ilsa, dove ci si affronta su interessi commerciali e copyright.
I curatori della pagina Facebook dello storico marchio britannico Burberry, che ha fatto del trench uno dei suoi capi-simbolo, hanno utilizzato la scena finale del film culto di Michael Curtiz in una galleria fotografica che ripercorreva le tappe principali di un secolo e mezzo di stile. Ufficialmente, nessun intento promozionale. I diritti della foto erano stati regolarmente acquistati presso l’agenzia Corbis. I curatori dei diritti della famiglia Bogart, non interpellati da Burberry, la vedono diversamente.
«La manovra commerciale e non autorizzata per associare il marchio al nome e all’immagine di Humphrey Bogart è irrispettosa e preoccupante — ha dichiarato Stephen, il primogenito di Humphrey e Lauren Bacall —. Ed è risaputo che mio padre fosse cliente affezionato di Aquascutum».
Precisazione filiale che pesa nella disputa, mai chiusa, sulla paternità del trench rivendicato negli anni da entrambe le case britanniche. Dopo aver fedelmente servito personaggi come Winston Churchill e Cary Grant, Aquascutum, rimasta indietro nella corsa all’aggiornamento tecnologico, è stata venduta lo scorso aprile a una società cinese. Burberry ha invece puntato da subito sulle potenzialità dei social network, frontiera relativamente nuova per i marchi del lusso. Il caso Bogart, emerso in una fase di transizione, è destinato a fare scuola. Il nodo giuridico sta nella scivolosa distinzione tra uso editoriale e commerciale delle immagini scaricate e diffuse sui social media. In assenza di regole chiare e condivise sta alla sensibilità delle singole aziende trovare un linguaggio che mantenga l’equilibrio tra autopromozione e comunicazione senza confondere, in maniera più o meno subdola, i registri.
Cinema-moda, sfida tra classici. La Bogart LLC ha chiesto i danni materiali e un’ingiunzione a Burberry per prevenire future strumentalizzazioni del mito hollywoodiano: il procedimento è stato avviato in California, Stato americano dove il copyright sull’immagine scade a settant’anni dalla morte. «Bogie» è scomparso nel 1957. Da Londra Burberry ha intentato una contro-causa presso una Corte federale di Manhattan. Le parti hanno infine raggiunto un «accordo amichevole» del quale non sono stati resi noti i termini.
«I problemi mondiali non sono di mia competenza, io gestisco un locale», bluffava Humphrey Bogart-Rick con Paul Henreid-Victor. Chi non gestisce i problemi di un grande business potrà qui sorvolare sulla questione aperta della «proprietà» di un capolavoro. Noi, «avremo sempre Parigi».
Maria Serena Natale
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