Alberto Pinna, Corriere della Sera 5/9/2012, 5 settembre 2012
CAGLIARI —
Sulla piattaforma di una grossa cisterna, a quota 70 metri, si sono arrampicati in tre. «Siamo pronti a tutto. Il lavoro è il nostro pane». Gli operai dell’Alcoa di Portovesme come i minatori di Nuraxi Figus: «Loro sotto terra, noi sul serbatoio della torre. La fabbrica, come la miniera, non deve chiudere. E che nessun si azzardi a salire quassù. Non possiamo mollare», hanno risposto al telefono ai compagni che, sospesa l’assemblea, cercavano di convincerli a desistere. E per dimostrare che facevano sul serio, due, incappucciati, si sono messi a cavalcioni sotto il parapetto, sporgendosi pericolosamente. Uno è cardiopatico. Il terzo operaio quasi non si è visto. È voluto salire lassù anche se soffre di vertigini, è rimasto quasi tutto il giorno sdraiato, ogni tanto si è messo seduto.
Ore decisive per lo stabilimento d’alluminio. «È una situazione quasi impossibile, c’è estrema difficoltà a trovare investitori disposti a portare avanti il progetto». Le parole del ministro dello sviluppo economico Corrado Passera sono benzina sul Sulcis già in fiamme. E una sua successiva puntualizzazione («Continuiamo a lavorare, fino a dicembre e se necessario anche tutto il prossimo anno. Vogliamo mantenere i patti») non scalfisce disperazione e rabbia. «Parla proprio lui, che in questi otto mesi avrebbe dovuto trovare gli investitori. Se non risolverà il problema dell’energia a basso costo — ha replicato Rino Barca, Cisl — non si troverà mai nessuno disposto a rilevare la fabbrica». Il deputato Pdl Mauro Pili, che è stato quattro giorno nelle gallerie accanto ai minatori, da il via al dissenso, unanime, della politica: «Passera prende tempo e perde tempo». Il pd Dino Sinefra rincara: «Il ministro non fugga da responsabilità; è come Schettino, fugge dalla nave che affonda». Critiche anche dalla Regione Sardegna: «Bisogna fare l’impossibile. Cominci il governo: eviti — rimprovera il governatore Cappellacci — di esasperare il clima».
Eppure in mattinata un piccolo varco sembrava essersi aperto con gli incontri a Roma dei delegati sindacali, che hanno parlato, separatamente, con i leader della maggioranza Alfano, Casini e Bersani, che, pur non nascondendo le criticità della vertenza, hanno riconosciuto il valore strategico, l’interesse a mantenere in attività le sole fabbriche che in Italia producono alluminio e l’esigenza di indurre il governo a insistere nella ricerca di soluzioni.
Poi le dichiarazioni di Passera e la protesta degli operai in cima ai serbatoi. È una situazione di stallo, almeno fino a venerdì e poi al lunedì successivo, quando il ministero dello sviluppo economico confermerà se ci sono o no offerte per la fabbrica. «Alcoa insiste nel fermare le celle elettrolitiche prima ancora che si sappia se c‘è qualcuno interessato ad acquistare. Perché? Noi sappiamo — obietta Franco Bardi, Cgil — che la multinazionale Glencore ha intenzione di farsi avanti ma non muoverà un passo fino a che il governo non sarà chiaro sul prezzo dell’energia».
Insomma, situazione di stallo. E mentre gli operai si mobilitano («A Roma saremo più di mille e ci dovranno ascoltare»), i tre sulla cisterna hanno chiesto coperte, sacchi a pelo, acqua. Nella notte piove, spira un vento freddo, i parapetti sul serbatoio, da tempo abbandonati, sono arrugginiti e precari ma loro sono decisissimi: «Staremo qui a oltranza». Intanto a Porto Torres gli operai delle Vinyls (quelli che per più di un anno si erano insediati all’Asinara, diventata l’isola dei cassintegrati) si sono asserragliati nella torre aragonese che si affaccia sullo scalo marittimo, dalla quale hanno «impiccato» 13 manichini bianchi con la scritta «Volete questo?». Minacciano di appendersi anche loro se gli impianti, dopo il fallimento della società, dovessero essere smantellati o trasferiti, come pare, in Brasile.
Alberto Pinna