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 2012  settembre 05 Mercoledì calendario

ROMA —

«Noi siamo da secoli / Calpesti, derisi, / Perché non siam popolo, / Perché siam divisi». Inizia con alcuni versi dell’inno nazionale il manifesto che l’ex ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, sta preparando per la sua discesa in campo: nessun partito, nessuna corrente. Ma una lista che definisce «aperta» e che non porterà il suo nome. Un manifesto che è «in stato avanzato» di scrittura che prima di tutto è una rivendicazione del diritto delle persone alla sovranità e alla dignità.
Professore, lei pone il tema della sovranità nazionale. Non teme in questo momento di partire da troppo lontano?
«Niente affatto. Parto da ieri (lunedì, ndr), dalla dichiarazione elettorale fatta dalla cancelliera Angela Merkel che ha scoperto che i mercati non sono amici del popolo. Questo segna un progresso nella filosofia politica della Germania dove i socialisti avevano già espresso questo concetto ma la cancelliera aveva detto l’opposto. E cioè che era la democrazia a doversi adattare al mercato finanziario».
Che conseguenze sulle scelte tedesche avrà questa novità?
«Prima della Merkel sono arrivati la sinistra in Francia e i socialdemocratici in Germania. E per andare a destra, il centro studi dei conservatori inglesi critica questo capitalismo perché diventato "bastardo". I liberali inglesi vogliono agire sui profitti di regime. E adesso arriva la Merkel. Segno che questa posizione comincia a essere popolare...».
E in Italia?
«Venti anni fa ho scritto con altri autori il libro Ricchezza senza nazioni e nazioni senza ricchezza. Dal 2008 in poi ho iniziato la mia battaglia all’Ocse per dare regole ai mercati. Ho puntato il dito contro il Financial stability board, che ha agito come "cavallo di Troia" del sistema finanziario per comprare tempo e spiazzare i governi. Vista in Italia è sembrata come una battaglia personale, domestica, non era tale».
Non pensa che almeno la sinistra in Italia abbia avuto posizioni quanto meno di diffidenza nei confronti dei mercati?
«In Italia tutta la legislazione è andata nel senso opposto. Nel ’99 è stata cancellata la legge bancaria del ’36 che diceva: se sei banca e raccogli risparmio puoi usarlo solo per finanziare imprese, lavoratori, famiglie, comunità; non le scommesse del casinò finanziario. Oggi ho presentato una proposta in Parlamento per ripristinare questa legge. Per me questo è uno dei temi fondamentali».
Ammetterà che anche Grillo critica i mercati finanziari.
«Diciamo allora che la Merkel sta convergendo su posizioni alla Grillo. Ma sarebbe meglio dire che è diventata... tremontiana».
Crede che l’attuale governo e la «strana» maggioranza che lo sostiene non si stia muovendo per arginare lo strapotere dei mercati?
«Direi di no. Mi sembra che adesso tutti abbiano alzato le mani davanti ai mercati, ansiosi e succubi come di fronte al portiere di notte, appagati dal ruolo di guardiani dell’argenteria dei signori del castello. Non disturbano l’ordine, si disinteressano di questi temi».
Ma uno Stato da solo può imbrigliare i mercati?
«La politica non si ferma sui confini. La politica di uno Stato collegata a quella degli altri può fare moltissimo. Ma il governo Monti non sta agendo in questo senso».
E quali provvedimenti suggerisce?
«A parte la separazione bancaria di cui ho detto, si possono bloccare i derivati, si può stabilire che i bonus vengano lasciati a garanzia per un po’ di anni. Sono idee dei conservatori inglesi. La cosa curiosa è che tutto questo è fuori dal dibattito in Italia».
Il governo intanto sta affrontando la fase della crescita.
«L’anno scorso l’incertezza era sul cambio euro-dollaro, quest’anno è tra l’euro e qualcos’altro. Con questo tasso nessuno compra, assume e investe. L’incertezza si estende dall’economia alla vita delle persone. Sento parlare di crescita ma con questa instabilità è come costruire sulla sabbia.
Che pensa del piano anti debito rilanciato dal Pdl?
«Pensato come pilastro della campagna elettorale, si presenta come un piano P come Pinocchio: il patrimonio deve essere venduto ma non è possibile farlo nei tempi e nei numeri che sono stati calcolati alla carlona».
Non la convince nemmeno l’attuazione dei provvedimenti che il governo sta cercando d’impostare?
«Si insiste che vengano finalizzate le riforme, le quali si sviluppano su un nucleo di decreti legge base e su 400 decreti attuativi. Ho fatto un calcolo: se lei usa come base la media dei decreti già fatti, il 15%, vede che l’intero apparato legislativo nuovo, decreti legge più decreti attuativi, occupa 180 campi da tennis o quattro campi da calcio, per una lunghezza lineare superiore ai quattro chilometri. Considerando che le norme nuove non sempre abrogano le vecchie ma spesso si raccordano con esse, la domanda è: questo è diritto o è rovescio? Si semplifica o si complica la possibilità di fare impresa?
Intanto la campagna elettorale è alle viste. Porterà i temi della finanza al centro del dibattito?
«Qualcuno potrebbe dire che la politica è altro che è legge elettorale, intercettazioni, che sono i collegi. È vero ma non sono i fondamentali. L’Italia è a una svolta e rischia di tornare a 150 anni fa: "Noi siamo da secoli calpesti, derisi...". È un tornante della storia: o abbiamo la forza di tornare a essere padroni a casa nostra o veniamo colonizzati».
Condurrà la sua battaglia all’interno dei partiti esistenti o creerà una lista nuova?
«Non dentro i partiti vecchi. Non con i generali di armata morta, non con le marionette di se stessi. Comincerò con un manifesto, una lista collettiva, aperta soprattutto ai giovani».
Quali altri temi affronterà nel suo manifesto?
«Il manifesto sarà generale, aperto a ogni tipo di apporto. Ma ciò che serve è il recupero della sovranità nazionale e della dignità personale».
Antonella Baccaro