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 2012  settembre 05 Mercoledì calendario

DAL NOSTRO INVIATO

BRUXELLES — L’idillio è finito, a Est l’euro non seduce più. Così sembrano dire gli ultimi messaggi lanciati dalla Polonia, dalla Lituania, dalla Lettonia, e ora dalla Bulgaria: tutte annunciano che hanno rallentato o bloccato la loro marcia verso la moneta comune, perché l’incertezza nell’Eurozona è oggi troppo alta. Si sono spaventate, insomma. E il caso più clamoroso è proprio l’ultimo in ordine di tempo, cioè quello bulgaro: intervistati dal Wall Street Journal, il presidente Boyko Borisov e il vicepresidente (nonché ministro delle Finanze) Simeon Djankov fanno sapere che il progetto di adesione all’euro è stato «congelato indefinitamente».
Colpo di timone, rotta capovolta del tutto: perché la Bulgaria, statisticamente la più povera nazione della Ue, è però anche quella che in tre anni di austerità ha rimesso molti conti in ordine (deficit ridotto, crescita prevista all’1,5% nel 2012), e fra i Paesi aspiranti all’euro è quello che per Bruxelles soddisfa ormai tutte le condizioni. Infatti la data per l’adesione di Sofia al meccanismo dei cambi europei — primo passo verso l’euro — è, anzi era, già fissata per il primo gennaio 2013, con traguardo finale a fine 2014. Era stato perfino già scelto il simbolo da incidere sulle monete: il «cavaliere di Madara», monumento medievale che rappresenta un guerriero a cavallo nell’atto di colpire con la sua lancia un leone. Ma tre mesi prima del Capodanno 2013, ecco la frenata. Che però, sia pure in termini più blandi e meno ufficiali, era già stata preannunciata un paio di anni fa, e ancora nel 2011: il grande amore era da tempo in via di raffreddamento.
Che cosa sia accaduto, lo spiega ora senza tanti giri di parole il ministro Djankov al giornale americano: «C’è stato un cambio di orientamento nelle nostre riflessioni e in quelle dell’opinione pubblica. Oggi come oggi, non vedo alcun beneficio nell’adesione all’euro, ma solo dei costi». E ancora: «Giustamente, il pubblico vuole sapere: chi dovremo trovarci a salvare, quando entreremo nel sistema? È troppo rischioso per noi e poi non è certo quali siano le regole o quali saranno nel giro di un anno o due». I leader bulgari non parlano di altri problemi sullo sfondo, anche se completamente diversi: per esempio, Bruxelles ha più volte stigmatizzato la corruzione e la criminalità organizzata dilaganti a Sofia, fattori non certo invitanti per la moneta comune.
Il primo ministro Borisov aggiunge ora di suo che lo preoccupano le divisioni fra i Paesi rigoristi e quelli più favorevoli alla crescita: «Vedremo una divisione sempre più profonda perché molti governi non sono preparati a digerire le difficili decisioni che devono prendere. È come quando un bambino viziato non vuole andare dal dentista per farsi curare i denti guasti, anche se l’operazione è necessaria». E nel dir questo, Borisov e Jankov fanno anche capire di parteggiare per le cure severe invocate da Angela Merkel. Le condividono, ma nello stesso tempo forse le temono: o temono la sventatezza degli altri, dei compagni di viaggio; così, nell’incertezza, pestano sul freno.
In altre parti dell’Est, si percepisce la stessa voglia di ripensamenti. Per esempio, a Varsavia: la Polonia, un motore economico che la crisi non ha sfiancato, oggi fa dire al suo ministro degli esteri Radoslav Sikorski che aderirà all’euro solo quando la stessa crisi sarà finita. Più o meno un identico annuncio arriva da Vilnius, Lituania: solo «Quando l’Europa sarà pronta», dice il premier Andrius Kubilius, si accetterà la moneta comune. La Romania ha comunque da pensare altro, con i terremoti istituzionali al suo interno. La Lettonia, già impegnatasi ad adottare l’euro per il 2014, ora avverte che dovrà riflettere bene, nel corso del 2013. E per tutti, i miraggi sono svaniti anche quando gli immigrati hanno cominciato a raccontare della vita sempre più difficile a Roma, Berlino, Parigi. Se davvero non è finito, il grande idillio, certo non sfocerà nelle feste di nozze che già sembravano scontate.
Luigi Offeddu
loffeddu@corriere.it