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 2012  settembre 02 Domenica calendario

ALCOA AVVIA IL PROCESSO DI CHIUSURA - È

partito lo spegnimento delle celle dell’Alcoa di Portovesme. La prima su cui è stato effettuato il processo, ieri sera, dagli operai del turno iniziato alle 14, era una vasca "tentennante", di cui era già prevista la cessazione nel normale ciclo produttivo. Il processo andrà a regime già a partire da domani e prevede «lo spegnimento di 5 celle al giorno – afferma Alessandro Profili, responsabile affari europei di Alcoa –. La fermata dello smelter, della fonderia e del reparto produzione anodi richiederà alcune settimane per essere completato, il termine per l’azienda è il 10 ottobre. Per eseguirlo verranno impiegati tutti i dipendenti, compresi i contrattisti. Poi dal 10 ottobre inizierà la messa in sicurezza per la quale l’azienda si è impegnata a fare collaborare tutti, anche se non sarebbe necessario». Procedendo secondo questo schema il 31 dicembre il processo sarà completato e il sito chiuso. «Alcoa si è comunque impegnata a svolgere la manutenzione, che chiederà l’impiego di una trentina di persone, per tutto il 2013», dice Profili.
Gli operai nell’assemblea sindacale di ieri hanno manifestato forte disappunto rispetto alla decisione che dal loro punto di vista ha molto più che una valenza tecnica e funzionale. Lo spegnimento delle celle, per chi lavora a Portovesme, significa veder fermare a poco a poco lo stabilimento. Adesso, come hanno spiegato ieri sera i delegati delle Rsu, tutte le speranze sono riposte nell’incontro del 5 settembre (i sindacati hanno annunciato una nuova manifestazione a Roma con 400 operai) e nella risposta di Glencore. L’operazione, per la multinazionale americana, però «non si può più rimandare perché ogni tonnellata di alluminio prodotta a Portovesme per noi è in perdita – osserva Profili –. Al London metal exchange viene quotata 1.850 dollari, mentre nel sito in Sardegna costa ben oltre 2mila dollari produrla, soltanto considerando i costi delle materie prime». Per Profili va inoltre sottolineato che è un’operazione «necessaria per far ripartire il sito senza problemi».
Per capire perché, secondo quanto spiega Alcoa, bisogna pensare al funzionamento di ogni singola cella per la produzione dell’alluminio che avviene attraverso un processo chimico e uno elettrolitico, quello appunto che ha luogo nello smelter. Con una forte semplificazione, una cella si può paragonare a una vasca che al suo interno contiene un bagno di polvere di allumina, disciolta in un solvente. Al suo interno viene inserito un anodo di carbone che a poco a poco si consuma e spezza la molecola di ossido di alluminio. Sul fondo si deposita poi il metallo. L’alluminio fuso viene prelevato dal fondo della cella e poi colato sotto forma di pani o lingotti, o trasferito nei forni di alligazione. Tutto il processo chiede un alto consumo di energia visto che avviene a oltre 700 gradi di temperatura. Come spiega Profili, «se si taglia la corrente all’improvviso tutta la cella passa da una fase liquida a una solida e quindi cella e contenuto diventano irrecuperabili». Al contrario se invece «si svuota la cella e quindi viene recuperato il metallo e si lascia la cella pulita, allora la cella potrà essere recuperata in futuro – continua il manager –. Questo è quanto prevede di fare Alcoa per far sì che le celle possano poi essere riutilizzate e l’impianto riavviato». Non è la prima volta che un processo simile viene realizzato e, a questo proposito, Profili cita il caso della Trimet di Amburgo che venne fermata con una procedura controllata e poi riavviata dopo quasi due anni.
Una storia che in prospettiva potrebbe ripetersi anche a Portovesme, a patto di trovare un investitore. Ancora però nessuno ha siglato alcuna lettera di intenti e «l’ultima novità di un investitore cinese interessato ci è stata comunicata dalla Regione senza però specificare neppure il nome dell’interessato», osserva Profili. In piedi c’è soltanto l’interesse di Glencore che si è riservata una settimana per decidere.
Intanto, dopo gli incontri al Mise cala la tensione nella miniera di carbone a Nuraxi Figus e lunedì i minatori potrebbero decidere di sciogliere il presidio e fermare l’occupazione dei pozzi a meno 373 metri, secondo fonti sindacali. Dal Mise, il sottosegretario Claudio De Vincenti, spiega che «non è mai esistita e non esiste una scadenza per la vita della miniera di Nuraxi Figus. La miniera resta aperta, senza scadenze e la proroga, di cui si è parlato nel vertice istituzionale al ministero, riguarda esclusivamente la scadenza del bando per la realizzazione del progetto del cosiddetto carbone pulito». Ma il ministro dell’Ambiente Corrado Clini ieri ha ribadito che sulla «possibilità di fare il sequestro di CO2 nel Sulcis ci sono molte perplessità dal punto di vista della fattibilità. Io credo che il lavoro sempre vada difeso e protetto avendo però in mente una prospettiva».