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 2012  settembre 02 Domenica calendario

SE LA SCRITTRICE RINGRAZIA IN UN LIBRO LE APP CHE BLOCCANO INTERNET

Sempre più scrittori amano chiudere i loro romanzi, come un tributo finale pressoché obbligatorio, con i ringraziamenti a papà e mamma per la fiducia mai venuta meno, al consorte per l’incoraggiamento sincero, ai figli per la pazienza insospettabile, oppure ai fidanzati e alle fidanzate perché loro sanno perché, agli amici per i preziosi consigli, magari all’editor per l’attenta cura e così via. Qualche settimana fa Sebastiano Vassalli, sul Corriere, non risparmiava la sua ironia al vezzo dei titoli di coda (sempre beffardi, allusivi, lirici, compiacenti, soprattutto autocompiaciuti) accuratamente piazzati in ogni sorta di libro.
Ora però, a quanto pare, l’omaggio tracima dal cerchio familiare o amicale e si estende alla sfera tecnologica. Con un paradosso. La famosa ex giovane scrittrice inglese Zadie Smith chiude il suo nuovo romanzo, intitolato NW (le iniziali del North West di Londra, dove ha vissuto la sua infanzia), con un omaggio curioso: a Freedom e Selfcontrol, due applicazioni che bloccano l’accesso a internet o a specifici siti web per un certo periodo. Motivazione prevedibile. Letteralmente: «Per aver creato il tempo» (sottinteso: per scrivere). In altre parole, per avere evitato alla scrittrice, concentrata nella stesura della sua opera, di distrarsi cadendo nella tentazione irresistibile e dispersiva del cyberspazio. Dicono che anche un altro scrittore inglese, Nick Hornby, sia abituato a chiedere aiuto a Freedom (libertà) e Selfcontrol (autocontrollo) per riconquistare libertà e autocontrollo tenendo a bada la sua dipendenza da internet. Del resto, il creatore di app «censuranti» o «disintossicanti» come Freedom e Anti-Social, Fred Stutzman, avrebbe inventato questi servizi digitali per poter scrivere in santa pace la sua tesi di laurea.
È certo un paradosso il fatto di ricorrere a internet per ovviare ai (presunti) danni di internet. Succede per i virus digitali che si insinuano nella blogsfera e che vengono sconfitti da antivirus sempre digitali: una sorta di omeopatia tecnologica. Ma è davvero curioso che la dipendenza da internet sviluppi una dipendenza da internet al quadrato (la dipendenza dalle app censorie presenti su internet). Ed è addirittura comico che per risolvere questo gran subbuglio interiore provocato dal web non si possa semplicemente decidere, con un discreto slancio di carattere e di orgoglio, di interrompere il collegamento durante la stesura del romanzo. Esattamente come si potrebbe decidere, per esempio, di chiudere la porta dello studio per evitare l’intrusione di estranei mentre si lavora. Né d’altra parte si è mai visto che uno scrittore rendesse omaggio alla porta perché gli ha permesso la massima concentrazione nella stesura del libro.
Le reazioni di alcuni colleghi di Zadie Smith sono comprensibilmente divertite. C’è chi le consiglia, per il prossimo romanzo, di limitarsi a usare una buona macchina per scrivere. È pur vero, in fondo, che rimanere connessi a internet non dovrebbe essere indispensabile alla scrittura creativa: potrebbe anche bastare un buon vocabolario e un’ottima tastiera. Qualcuno addirittura suggerisce alla scrittrice che si rivelò al pubblico con Denti bianchi di tornare alla scrittura a mano, che ha degli ovvi svantaggi, ma presenta il grosso pregio di non creare alcuna dipendenza tecnologica. Oppure altri ancora le ricordano che il suo collega americano Jonathan Franzen durante l’elaborazione delle sue opere ha deciso, in coerenza con il suo temperamento, non solo di bandire internet ma anche di usare i tappi auricolari e in certi momenti di indossare una benda nera sugli occhi per ritrovare la concentrazione, affidandosi solo al tatto cieco dei polpastrelli sulla tastiera. Non risulta però che abbia mai ringraziato né i tappi né le bende. Né i suoi polpastrelli per l’abilità e l’intuito.
Paolo Di Stefano