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 2012  settembre 03 Lunedì calendario

NELLE CITTÀ ITALIANE SI DIFFONDE LA FEBBRE DELL’ORTO

Le zucchine come benefit stanno maturando anche in Italia. Lanciate anni fa dalle multinazionali Usa in crisi per risarcire i dipendenti di mancati bonus e viaggi premio, a Milano hanno trovato chi ha deciso di proporle come investimento sociale e culturale. Non solo zucchine, anche pomodori melanzane e tutto quello che si potrà coltivare in «Orti d’azienda», che è anche il nome della onlus che realizza orti per le società che vorranno cimentarsi nell’autoproduzione. Lo scopo è sociale: diffondere la cultura della filiera corta nei luoghi di lavoro e recuperare spazi abbandonati, riducendo il consumo di suolo. E i vantaggi per l’azienda? «È un benefit per i dipendenti, migliora la “company reputation”, contribuisce a riqualificare le periferie e fa partecipare al progetto “Nutrire il pianeta”, che è poi il tema dell’Expo 2015», si legge sul dépliant.

Uno dei primi «corporate garden» italiani è nato qualche mese fa a Milano, durante il Salone del Mobile. «Lo abbiamo realizzato in Ventura 6 a Lambrate, dove si trovano studi di design e gallerie d’arte», racconta Diego Di Siena, uno dei soci fondatori di Orti d’azienda. «La terrazza era ricoperta da terreno su cui crescevano erbacce. Abbiamo ripulito, delimitato gli spazi e piantato ortaggi, fragole e aromi». Ma il bello dell’orto è che crea subito solidarietà. «Ci siamo trovati fra operai e allestitori del Salone che nei momenti di pausa ci aiutavano. Un idraulico ci ha portato l’allacciamento dell’acqua e un falegname ci ha messo a disposizione la sua professionalità. Il risultato è un orto di 50 mq tuttora condiviso e a disposizione dei condomini».

Ma gli orti aziendali non sono che gli ultimi arrivati in quel grande «orto diffuso» che sta crescendo nelle città italiane. Una selva di piante fiori e in qualche caso alberi che nascono dovunque ci sia un cittadino intenzionato a trasformare in verde la sua parte di grigio urbano. Una rivoluzione non solo cromatica partita dai balconi per scendere giù giù fino alla strada, dal centro alla periferia e verso la campagna. Sul fenomeno è appena uscito un libro, «L’Orto diffuso, dai balconi ai giardini comunitari, come cambiare la città coltivandola» (di Mariella Bussolati, Orme editore) che racconta l’eroica ascesa dell’orto urbano, nel mondo e in Italia; da quelli dei tempi di guerra a quelli del guerrilla gardening. Orti comunali, privati, abusivi, parrocchiali, ora anche aziendali, di cui il progetto «Orto diffuso» cerca di stilare una mappatura da aggiornare online.

Ma a dare un’idea del fenomeno bastano i dati Coldiretti del 2011: un italiano su 4 coltiva orti in città e sei milioni e mezzo di questi sono sui balconi. Oltre un milione in Lombardia, ma il più spettacolare è sui tetti di Torino: è di Gaetano Bruno, fisico in pensione che dai suoi 150 metri al sesto piano ricava ogni anno 300 chili di frutta e verdura.

E gli aspiranti ortisti crescono, mettendosi in lista d’attesa per accedere a un terreno comunale o per affittarne uno privato come quelli di via Chiodi a Milano. Di proprietà di un architetto, sono 130, costano 360 euro l’anno ma vista la richiesta lui sta già pensando di incrementarli in un altro appezzamento. Per affrontare la domanda si è mosso anche il Comune di Milano, con la prima delibera italiana che regola i giardini comunitari e consente ad associazioni di cittadini di prendere in gestione aree pubbliche.

Quanto agli ultimi nati, quelli aziendali, resta da vedere come la prenderanno i dipendenti. Si direbbe bene, sempre che il megadirettore galattico versione «eco» 2012 non costringa nell’orto controvoglia il Fantozzi ormai inurbato, che alla prima «chiamata alle zappe» finirebbe (come nello spot tivù), tragicamente nel compost.