1 settembre 2012
APPUNTI PER GAZZETTA - ROMNEY CANDIDATO REPUBBLICANO ALLE PRESIDENZIALI USA
REPUBBLICA.IT
UN GIUDICE federale ha stabilito che l’early voting - la possibilità di votare in anticipo - in Ohio sarà possibile anche nei tre giorni precedenti il voto del 6 novembre. Una decisione che è un’importante vittoria della campagna di Barack Obama in uno degli Stati che saranno decisivi per l’elezione presidenziale.
Quella dell’early voting è una possibilità molto diffusa negli Stati Uniti, ma l’Ohio in questa legislatura ha cambiato la legge precedente, vietandolo nei tre giorni precedenti al giorno del voto. Visto che negli Usa si vota di martedì, sarebbero stato impossibile votare sabato, domenica e lunedì. Ma sono proprio quei giorni quelli in cui una fetta importante dell’elettorato democratico - cittadini di colore o con basso reddito - si recano alle urne. Per dare un numero, nel 2008, dei 200mila elettori che hanno votato Barack Obama, oltre 90mila aveva votato prima del martedì canonico.
Con la conclusione della convention repubblicana 1 - e in attesa dell’inizio di quella democratica, lunedì - Romney ha definitivamente lanciato la volata di una campagna elettorale già lunghissima, come usanza degli Stati Uniti, dove le primarie si trasformano lentamente (anche se quest’anno senza sorprese) nella campagna vera e propria. I primi sondaggi pubblicati dopo la Convention - e quindi effettuati durante la kermesse - vedono il candidato
repubblicano farsi avanti: ormai ha annullato di fatto il vantaggio che Obama conservava da mesi. E la destra avanza anche in due Stati come Michigan e Nevada che prima veniva considerati ’obamiani’.
Romney, nel suo discorso conclusivo, ha attaccato Obama sull’economia, che in queste elezioni in tempo di crisi è il suo tallone d’achille, e ha puntato molto sulla grandezza passata degli Stati Uniti e il declino invece causato dalla presidenza Obama. Accuse queste a cui il presidente ha risposto parlando ai soldati di Fort Bliss, in Texas: "Oggi l’America è più sicura e rispettata. Finire le guerre in Iraq e in Afghanistan in maniera responsabile ci ha resi più sicuri. Se sentite qualcuno dire che l’America è in declino o che la nostra influenza sta svanendo, non credetegli".
E ancora: "Nel mondo c’è un nuovo atteggiamento nei confronti dell’America, una nuova fiducia nella nostra leadership. Quando viene chiesto quale paese è il più ammirato, è una nazionale quella più citata: gli Stati Uniti. Oggi Al Qaeda è sulla strada della sconfitta, ma noi restiamo vigili".
Inoltre, in uno spot diffuso oggi, la campagna di Obama sottolinea ciò "che Mitt Romney non ha detto". Ovvero i tagli alle tasse per i ricchi, la riforma del medicare verso una sanità più privata, la riduzione degli incentivi per le rinnovabili ma più libertà per le grandi aziende petrolifere, e ha ignorato l’Afghanistan, senza proporre un piano per il ritiro. Ed è la prima volta dal 1952 che un repubblicano non usa la parole ’guerra’ nel suo discorso d’accettazione.
Ma a far parlare i media è soprattutto la risposta data a Clint Eastwood 3. Il grande attore e regista ha dato vita sul palco di Tampa a un colloquio con una sedia vuota, a rappresentare la presunta mancanza di leadership del presidente. Obama, da grande comunicatore quale è, ha pubblicato online sul suo account Twitter una foto che sembra tratta da un film, in cui si vede una grande poltrona ripresa di spalle, da cui compare la sua sagoma inconfondibile. E sotto la didascalia: "Questo posto è occupato". Come dire, una cosa sono gli attacchi politici e gli scontri quotidiani. Altra, ben più grave, delegittimare l’inquilino della Casa Bianca.
E la ’sedia vuota’ è diventata anche oggetto d’ironia per la rete che ha dato vita a un ’movimento’ chiamato Eastwooding: migliaia di utenti hanno pubblicato foto di sedie vuote, diventando trending topic su Twitter.
Oggi Romney è andato in Louisiana a visitare le zone colpite dall’uragano Isaac, tappa che invece Obama farà lunedì prima di andare a Charlotte dove inizia la convention democratica. E nella campagna irrompe Pechino: il governo cinese critica le accuse "senza fondamento" rivolte al gigante asiatico dall’ex governatore del Massachussetts, Mitt Romney, nel suo discorso alla convention.
Il governo cinese ha chiesto ai politici statunitensi di osservare il Paese "in modo obiettivo e razionale: i politici statunitensi devono cessare di fare accuse senza fondamento contro la Cina e contribuire di più alla fiducia e collaborazione reciproca", ha detto il portavoce del ministero degli Esteri, Hong Lei, in un comunicato. Romney aveva detto: "Faremo funzionare il commercio americano stringendo nuovi accordi. E quando una nazione imbroglia, ci saranno conseguenze inequivocabili", riferendosi proprio a Pechino.
PEZZO DI RAMPINI SULLA CONCLUSIONE DELLA CONVENTION AMERICANA (31 AGOSTO)
TAMPA - "Quattro anni fa mi augurai che Barack Obama riuscisse nella sua sfida, perché amo l’America. Oggi dico: è tempo di voltare pagina, le sue politiche sono fallite. Dobbiamo metterci dietro le spalle quattro anni di delusione. Da presidente io ricostruirò la grande promessa americana". Mitt Romney chiude così la convention repubblicana a Tampa, con un discorso efficace perché attacca l’avversario sul suo punto debole: il bilancio di governo. Promette 12 milioni di posti di lavoro nel corso del suo mandato, se il 6 novembre conquisterà la Casa Bianca. Il primo candidato mormone nella storia d’America tocca le corde del patriottismo, della nostalgia per i tempi dorati della crescita e delle aspettative di un costante progresso nel tenore di vita da una generazione all’altra. Si fa introdurre da un Clint Eastwood invecchiato e a tratti patetico nella sua retorica sciovinista (l’attore arriva a rimproverare Obama per la guerra in Afghanistan), poi dal giovane senatore della Florida Marco Rubio che per le sue origini cubane corteggia l’elettorato ispanico.
Romney era atteso a questa prova, la più importante della sua vita. Doveva convincere come futuro leader, doveva sforzarsi di essere anche un po’ simpatico, sfoggiare un senso dell’umorismo che gli fa difetto. Ci è riuscito, con un discorso sapientemente dosato: "Quattro anni fa gli americani hanno eletto un presidente che prometteva di fermare l’avanzata degli oceani. Io prometto di aiutare le vostre famiglie". Ha evocato in modo pudico la sua religione mormone citando a più riprese "le tante fedi religiose che fanno parte della nostra vita, della nostra comunità, del nostro modo di unirci tra americani". Ha esibito con orgoglio le proprie credenziali di businessman, vantandosi di avere creato o risanato aziende, di avere generato ricchezza. Proprio quel suo passato da finanziere-avvoltoio, che i democratici gli rinfacciano, lo ha rivendicato come un titolo di merito: "In America noi celebriamo il successo, non ce ne vergognamo". Ed è proprio sulla base della sua esperienza di businessman che ha più volte sferrato l’affondo contro Obama, "uno che non ha mai avuto esperienze dell’economia reale, non ha mai gestito un business in vita sua, è arrivato impreparato alla sua missione". Romney ha saputo evitare l’aggressività, verso il presidente ha usato piuttosto i toni della condiscendenza, evocandolo come un incompetente, con una visione non-americana dell’economia. "Questa è una nazione che ha costruito la sua grandezza sullo spirito d’intrapresa, la propensione al rischio. Steve Jobs fu licenziato da Apple, poi tornò e la salvò, ne fece l’azienda più grande del mondo". Insomma una nazione fondata sul business, che l’intellettuale élitario Obama non può né capire né tantomeno guidare fuori da una grave crisi.
"Ogni presidente che chiede agli elettori un secondo mandato - ha detto il candidato repubblicano - solitamente si fa forte di avere consegnato ai suoi cittadini un paese migliore, un benessere superiore a quando fu eletto. Ci sono due eccezioni: Jimmy Carter e Barack Obama. Con questo presidente l’America ha il massimo numero di poveri nella sua storia. Se vince lui aumenterà le tasse e ci impoverirà ancora di più".
Romney ha presentato il suo piano in cinque punti per creare 12 milioni di posti. Indipendenza petrolifera (attraverso la totale libertà di trivellare). Facoltà di scegliere dappertutto le scuole migliori (cioè private). Ritorsioni commerciali contro la Cina e chiunque faccia "concorrenza sleale". Bilancio in pareggio "per non fare la fine della Grecia". Infine la massima deregulation per le imprese, unita a sgravi fiscali e all’abrogazione della riforma sanitaria di Obama sempre per ridurre i costi del lavoro. E’ un piano ispirato al più puro e intransigente neoliberismo. Non è inedito: da Ronald Reagan a George Bush, è stato questo il filo conduttore delle politiche economiche della destra negli ultimi trent’anni. Con che risultati? Ieri tra gli oratori che hanno scaldato la platea prima della conclusione di Romney è intervenuto anche Jeb Bush, fratello di George ed ex governatore della Florida. Jeb ha difeso il fratello e ha detto: "E’ ora che Obama la smetta di attribuire la crisi al suo predecessore, e se ne assuma la responsabilità". Ma fu proprio George Bush a governare l’America per gli otto anni nei quali maturò la più grave recessione dopo la Grande Depressione degli anni Trenta. Romney promette di ricominciare daccapo, con le stesse ricette. C’è il rischio concreto che sia lui il prossimo presidente degli Stati Uniti. Gli elettori hanno memoria corta. E di certo l’atmosfera di delusione verso Obama che Romney ha descritto ieri, non è una sua invenzione.
(31 agosto 2012)
REPUBBLICA.IT - I SONDAGGI
I SONDAGGI nelle elezioni per la Casa Bianca vanno sempre guardati con sospetto, perché decisivi sono gli Stati chiave. Certo, i ’poll’ nazionali danno un’idea, e dicono che Romney ha praticamente annullato lo svantaggio che aveva rispetto a Obama negli ultimi mesi, con uno sprint negli ultimi giorni durante la convention. Infatti dei sondaggi pubblicati dopo la chiusura dell’evento di Tampa, tre vedono il candidato repubblicano avanti (45-44, 44-42), mentre solo uno vede il presidente in carica ancora avanti (47-46).
Così la media (come calcolata da Huffington Post) vede Obama avanti di un misero 0,4%, che è totalmente insignificante da un punto di vista statistico. Ma a livello di Stati chiave la situazione è un po’ diversa.
Il sistema elettorale Usa. Come è noto, essendo gli Stati Uniti una repubblica federale, il sistema elettorale è su base regionale. Questo significa che i voti dei cittadini non finiscono virtualmente in una stessa urna, ma in 50 urne diverse, una per ogni Stato, sulla base del quale si assegnano dei delegati. Gli Stati più popolosi eleggono più "grandi elettori", come vengono chiamati. Per essere eletti, un candidato deve ottenere almeno 270 grandi elettori su 538.
Essendo quindi molti degli Stati "nettamente democratici" o "nettamente repubblicani", tanto che quei delegati si considerano già assegnati a un candidato a meno di sorprese o rivoluzioni, il numero di Stati in bilico che possono decidere l’elezione è molto limitato. E spesso sono sempre gli stessi.
LA SITUAZIONE
In questa fase, nella sfida tra Barack Obama e Mitt Romney, sono solo sette o otto gli Stati che esperti e sondaggisti considerano in bilico (o tossup, come si dice in inglese).
Si tratta di Florida (29 grandi elettori), Ohio (18), North Carolina (15), Virginia (13), Wisconsin (10), Colorado (9), Iowa (6). A questi si sono aggiunti il Michigan (16) e il Nevada (6), che prima era considerato "abbastanza democratico" e che ora invece secondo i media americani vanno classificati in bilico perché i sondaggi vedono ridotto il vantaggio di Obama a soli 3 punti percentuali.
IL FRONTE DEMOCRATICO - 225 grandi elettori
Gli Stati considerati "fortemente democratici" sono New York, California, Oregon, Washington, New Mexico, Illinois, Maine, Vermont, Massachussetts, Rhode Island, Connecticut, New Jersey, Delaware, Maryland, District of Columbia. A cui si aggiungono Minnesota, Pennsylvania, New Hampshire che, dai sondaggi, risultano "abbastanza democratici" e non dovrebbero riservare sorprese. Questi Stati valgono al momento 225 grandi elettori.
IL FRONTE REPUBBLICANO - 191 grandi elettori
Il Great Old Party può contare invece su una solida maggioranza in Texas, Alaska, Montana, Idaho, Utah, Arizona, Wyoming, North Dakota, South Dakota, Nebraska, Kansas, Oklahoma, Arkansas, Louisiana, Alabama, Georgia, South Carolina, West Virginia, Kentucky, Tennessee, Indiana. Il Missouri è l’unico Stato che può essere definito "abbastanza repubblicano" da non preoccupare, anche se la polemica sull’aborto 1 ha ridotto il vantaggio del candidato repubblicano al Senato e potrebbe aver danneggiato Romney. Questi Stati, numerosi ma in gran parte poco popolosi, valgono 191 grandi elettori.
GLI STATI TOSSUP
Se gli Stati ’stabili’ fossero tutti confermati, a Obama basterebbe anche vincere nella sola Florida per garantirsi la rielezione. Questo perché la Florida vale 29 grandi elettori, che porterebbero Obama esattamente a quota 270, il numero necessario di grandi elettori per tornare alla Casa Bianca.
Proprio dalla Florida arrivano però brutte notizia per il Presidente: i sondaggi indicano un assottigliamento del vantaggio, che si è - nella media delle ultime rilevazioni considerate dall’HuffPo - praticamente annullato (46,9% contro 46,2%). "Too close too call" direbbero gli americani. La speranza per Obama risiede in un altro sondaggio, quello del Pew Research Center, che testimonia come gli americani non apprezzino il piano repubblicano 2sull’assistenza sanitaria agli anziani. Dati importanti in uno Stato demograficamente anziano.
Come andrebbe negli altri stati in bilico? L’Ohio verso Obama per 2 punti percentuali, il Colorado ancora a Obama (poco più di un punto di vantaggio), North Carolina a Romney (48% a 46%), Virginia verso Obama (47% a 45%), in Wisconsin recupera Romney ma Obama è ancora avanti, in Iowa i due candidati sono troppo vicini. Per quanto riguarda il Michigan e in Nevada, Obama avrebbe tre punti di vantaggio.
Ma non sono stati ancora fatti sondaggi in questi Stati in seguito alla Convention repubblicana, quindi bisognerà aspettare qualche giorno per valutare appieno gli effetti della kermesse di Tampa. E con vantaggi così stretti, ancora a due mesi dalle elezioni, i sondaggi valgono fino a un certo punto.
Ovunque la tendenza è quella di un avvicinamento di Romney. Ma facendo i conti oggi - e ignorando Florida e Iowa - Obama arriverebbe comunque a 297 grandi elettori (contro 206 di Romney), oltre la soglia dei 270 necessari per l’elezione. Barack Obama ancora avanti quindi, ma da qui al 6 novembre, giorno del voto, tutto può cambiare.
(01 settembre 2012)
GAGGI SU CORRIERE.IT
TAMPA (Florida) – «Non abbiate remore ad abbandonare Obama anche se quattro anni fa siete stati orgogliosi di votare per il primo presidente nero della nostra storia: sapete bene che ha sbagliato. Da americano speravo avesse successo, ma ci ha deluso. Mettiamoci alle spalle tutte queste delusioni, finiamola con le divisioni e le recriminazioni. Ora è il momento di alzarsi e dire: sono un cittadino di questa grande nazione, sono capace di plasmare il mio destino e merito qualcosa di meglio, per me e per i miei figli. Ora è il momento di riprenderci la promessa dell’America».
Così, con un discorso efficace ma meno incisivo di quello che era stato annunciato, Mitt Romney ha accettato ieri notte a Tampa l’investitura repubblicana per la corsa alla Casa Bianca.
PROMESSE - Dal palco il leader mormone (che ha appena menzionato la sua fede per poi insistere sull’impegno a garantire la piena libertà religiosa) ha cercato di rassicurare gli elettori della destra sulla sua affidabilità di vero conservatore. Ma poi, dopo aver promesso severità e il coraggio di dire verità difficili, ha presentato un programma «in rosa», zeppo di promesse per tutti, da 12 milioni di nuovi posti di lavoro a scuole capaci di offrire un «futuro luminoso» a tutti i giovani, mentre «nessun anziano dovrà temere di non avere la pensione». E alla fine, più ancora sulla forza della sua proposta, è sembrato puntare sulla disillusione di un’America «sedotta e abbandonata» dal suo attuale presidente.
LA SEDIA VUOTA - Se la strategia ha pagato, lo diranno i sondaggi. La sensazione a caldo è che, ancora una volta, il suo popolo abbia stentato a mettersi in sintonia con un leader che gli rimane in qualche misura lontano se non proprio estraneo. Ovazioni più calde le ha avute il giovane senatore della Florida Marco Rubio, che ha introdotto Romney. Per non parlare del «mostro sacro» di Hollywood Clint Eastwood, arrivato a sorpresa sul palco per partecipare all’«incoronazione» dell’ex governatore del Massachusetts con una «performance» che ha mandato in visibilio la platea, anche se non è stata priva di momenti grotteschi: il grande attore e regista ha intervistato una sedia vuota fingendo che ci fosse seduto Obama. Si è fatto domande e ha dato le risposte, ha ironizzato sulle lacrime di commozione per l’elezione di Barack, 4 anni, fa e su quelle dei 23 milioni di disoccupati che vagano oggi per l’America in cerca di lavoro. Concludendo con un rude «Obama, stai diventando peggio del tuo vice Biden».
FAMIGLIE - Prima ancora era toccato all’ex governatore della Florida Jeb Bush che ha tratteggiato le figure dei due presidenti di famiglia: il padre dipinto come un gigante della politica e il fratello «che amo e che ha tenuto il Paese unito in un momento molto difficile» dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. Alla fine ha chiesto a Obama di smetterla di scaricare le sue responsabilità sull’eredità lasciata dal suo predecessore. La serata è stata conclusa dalla tradizionale cascata di palloncini e coriandoli rossi bianchi e blu sulla platea e sul palco riempito dalle famiglie Romney e Ryan al gran completo, e dalla benedizione del cardinale di New York, Timothy Dolan. Il compito di «umanizzare» la figura del candidato è stato affidato a una serie di filmati sulla storia della sua famgilia, con Mitt e Ann a parlare d’amore e a coccolare i cinque figli appena nati e poi nella loro adolescenza, trasmessi a intervalli sui megaschermi del Tampa Bay Times Forum durante tutta la serata.