Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 31/08/2012, 31 agosto 2012
LA BATTAGLIA DI MARANINI CONTRO LA LEGGE PROPORZIONALE - A
proposito della riforma elettorale, è un vero peccato che nessuno dei nostri politici abbia frequentato le lezioni di Giuseppe Maranini, preside della «Cesare Alfieri» di Firenze, grande studioso di Diritto costituzionale. Egli concludeva dicendo che, malgrado qualche insita ingiustizia, il sistema uninominale maggioritario inglese era la soluzione meno peggio tra tutte quelle esistenti. Perché perdere tempo e inventarsi soluzioni di comodo che dispiacciono ora agli uni ora agli altri per non concludere nulla?
Giulio Guidotti
giulio.guidotti@tin.it
Caro Guidotti, la morte di Giuseppe Maranini nel 1969 ci ha privato delle analisi lucide e taglienti con cui avrebbe commentato la lunga maratona elettorale della Seconda repubblica dalla legge del 1993, con cui andammo alle urne nel 1994, a quella con cui, verosimilmente, voteremo nella primavera del 2013. Ma nella sua Storia del potere in Italia 1848-1967, nuovamente pubblicata da Corbaccio nel 1999 con una prefazione di Angelo Panebianco, molte pagine sono dedicate a questo tema. Maranini riconosce che l’Italia del 1948, in quelle particolari condizioni nazionali e internazionali (l’uscita dal fascismo, un forte partito comunista, la Guerra Fredda), non poteva che adottare la legge proporzionale, la sola che assicurasse una fotografia non contestabile della società politica. Ma in altre parti del libro l’autore sostiene che la legge proporzionale servì soprattutto agli apparati dei partiti ed ebbe l’effetto di trasformare l’Italia in una democrazia pseudoparlamentare dove le Camere registrano, con qualche sporadico dissenso, le decisioni concordate fra le segreterie delle maggiori forze politiche nazionali.
Per spezzare l’egemonia dei partiti sul Paese, sosteneva Maranini, occorrono «leggi elettorali che affranchino i parlamentari dalla dipendenza degli apparati». Dopo lo straordinario risultato ottenuto nelle elezioni del 18 aprile 1948, De Gasperi sapeva che il successo non si sarebbe ripetuto e che nelle elezioni successive «la logica distruttrice propria del proporzionalismo avrebbe ripreso i suoi diritti». Per evitarlo occorreva dunque cambiare la legge. Sembra che non fosse contrario «alla riforma della legge elettorale nel senso del collegio uninominale maggioritario; ma forti resistenze di una parte della Democrazia cristiana, e ancor più dei partiti alleati, lo orientarono verso un’altra soluzione», vale a dire verso la legge che fu ingiustamente definita «truffa». La nuova legge fu adottata, ma non produsse il risultato desiderato e fu successivamente soppressa. Il potere era ormai, saldamente, nelle mani dei partiti.
Oggi i partiti hanno perduto buona parte della loro rispettabilità. Ma i tre maggiori (Pdl, Pd e Udc) sono ancora in grado di scegliere la legge con cui voteremo fra qualche mese. E non mancheranno di scegliere quella che maggiormente conviene ai loro interessi.
Sergio Romano