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 2012  agosto 31 Venerdì calendario

«INIZIATIVE PERSONALI, DA WASHINGTON NESSUNA DIRETTIVA»

«Questa è una storia di iniziative personali, del console a Milano Semler prima e dell’ambasciatore a Roma Bartholomew poi. Non è la storia di una interferenza americana nella politica italiana. Il nostro consolato e la nostra ambasciata non appoggiarono né contrastarono Mani Pulite. Non ebbero ordine da Washington di fare né una cosa né l’altra. Non ci fu un grande burattinaio americano in Italia che volle eliminare la Dc o il Psi o chissà chi, come non ci fu una cabina di comando a questo scopo in America. Il consolato si tenne solo informato, e Bartholomew prese le distanze perché i metodi di Di Pietro e la vostra instabilità politica finirono per disturbare il nostro governo».
Al telefono da Washington, Edward Luttwak sostiene che i ricordi di Semler e Bartholomew si prestano a equivoci. Il politologo osserva che il protagonista di Mani Pulite «potrebbe avere interpretato i suoi discreti rapporti con il consolato americano come un incoraggiamento in una fase in cui si sentiva isolato». Ma la realtà, afferma, è che gli Usa «non avevano interesse ad aiutarlo, e si chiedevano a cosa avrebbe portato Mani Pulite se fossero crollati i partiti con cui trattavano da mezzo secolo». In un’intervista a La Stampa, Semler ha però dichiarato che Di Pietro gli piacque e che lo fece invitare in America. «Mettetevi nei panni del nostro console a Milano. Di Pietro era un uomo nuovo, faceva molto rumore nel mondo politico italiano. È normale tenere contatti con lui e tenersi al corrente del suo operato, anche perché se fa rogatorie negli Usa deve passare tramite la nostra diplomazia. È anche normale che Semler segnalasse ogni cosa alla ambasciata a Roma. Non c’è nulla di strano neppure nel suo invito negli Usa: il Dipartimento di Stato ha un programma all’uopo, ‘‘giovani leader’’ o qualcosa di simile, per gente come lui».
Non sostennero Di Pietro altre istituzioni americane come l’Fbi, la Cia, il servizio segreto?
«Assolutamente no. L’agente dell’Fbi a Milano si occupava soltanto di mafia, e quello della Cia soltanto di commerci italo-sovietici durante la Guerra fredda — non voleva che l’Italia esportasse prodotti anche a impiego militare — e soltanto di terrorismo internazionale dopo la sua fine. Al crollo dell’Urss, i legami tra la mafia in Italia e Cosa Nostra in America, nonché il pericolo, reale, che l’Italia si destabilizzasse e che le nostre basi militari ci andassero di mezzo furono il vero motivo di allarme per noi, anche se la corruzione portata alla luce da Mani Pulite ci scandalizzò».
Bartholomew ha detto che bacchettò il consolato a Milano perché troppo vicino a Mani Pulite.
«Non credo che il consolato fosse vicino a Mani Pulite, nonostante ciò che racconta Semler. Ma è vero che per gli Usa Di Pietro era troppo disinvolto nell’impiego degli strumenti giudiziari, cosa che dovette irritare Bartholomew. Per noi è difficile accettare la carcerazione preventiva. Ricordo che invitai alla Georgetown University il giudice della nostra Corte suprema Antonin Scalia per il discorso di Di Pietro: rifiutò di venire perché in dissenso con i suoi sistemi».
Che cosa pensa della simpatia che l’ambasciatore ha professato per D’Alema, un ex comunista?
«Dagli anni Settanta, l’ambasciata americana a Roma cercava il dialogo con il Pci, perché sarebbe stato un vanto staccarla dall’Urss. L’ambasciata non voleva essere monopolio della Dc: perché dedicarsi a un partito filoamericano quando c’era da convertirne un altro? Mani Pulite rese questa strategia più pressante. Mi sembra inoltre che a D’Alema piacesse parlare con gli americani, soprattutto con i falchi, non le colombe. E Bartholomew era un duro, faceva l’interesse nazionale. L’Italia era ed è un alleato troppo prezioso per trascurarne le forze principali».
Ennio Caretto