Maria Laura Rodotà, Corriere della Sera 31/08/2012, 31 agosto 2012
PANTALONI KAKI E BLAZER BLU. I CINQUE CLONI DI MITT —
Forse non ci vorrebbe la penna del Salgari (come diceva Gian Burrasca), ma quella di un Thomas Mann pratico di ricchi americani mormoni, per descrivere la famiglia Romney. E quei cinque figli maschi che sembrano tutti uguali. Grandi grossi e belli, quattro su cinque bruni ma tutti parecchio reminiscenti di quei tedeschi bene «biondi, occhi azzurrini e felici» che deprimevano il manniano Tonio Kröger. Solidi e uniti, ma poi vai a sapere, magari con dinamiche interne complicate da dinastia alto-borghese, tipo i sempre manniani Buddenbrook. Comunque, i giovani Romneybrook sono a Tampa; hanno colonizzato l’hotel Marriott che ora sembra il quartier generale della rivincita dei preppies. Sono tutti in pantaloni kaki e blazer blu, con mogli preferibilmente bionde e aria contenta; di chi sta per ristabilire un’egemonia culturale (più economica, però). Media e curiosi li osservano: si muovono in branco, hanno un’aria da fraternity universitaria di bianchi (nelle primarie 2008 erano molto visibili; quest’anno, finora, sono stati sottotono per non impaurire le minoranze sensibili; hanno partecipato in gruppo a programmi satirici per autosdrammatizzarsi). Il maggiore è Tagg, 42 anni, coetaneo di Paul Ryan. È il più visibile e controverso: ha creato Solamere, un fondo d’investimento a cui hanno dato 240 milioni vari finanziatori della campagna di suo padre. I suoi ultimi tre figli (ne ha sei), sono nati con fecondazione in vitro e madri surrogate, pratiche non amate dalla destra religiosa, che implicano sacrifici di embrioni. Poi c’è Matt, 41, tre figli, vive a San Diego, anche lui è nella finanza, fa scherzi al padre che poi mette in tv per renderlo umano. Il terzo è Josh, 37, cinque figli, immobiliarista, cattivissimo (il preferito dei miliardari teapartisti fratelli Koch), vive nello Utah. Il quarto è Ben, 35, il biondo e buono, un figlio solo, medico a Boston. L’ultimo è Craig, 31, ex discografico, due figli, trasferito da New York a San Diego, considerato il più simpatico (ha introdotto lui il padre alla convention, con un video). È il preferito delle delegazioni a Tampa, molestate dai giovani Romney mentre fanno colazione. Più di Josh, prossimo a fare politica, fresco di battutone arrogante: parlando delle critiche a suo padre per i molti soldi e il successo, ha chiesto «preferireste che il candidato fosse un perdente, per interagire meglio col pubblico?», e la frase non è stata presa bene. Se Romney vincerà, è quasi certo un effetto clan Kennedy ultraconservatore. E molti Romney sulla scena pubblica. D’altra parte, babbo Mitt era figlio di George, governatore del Michigan. D’altra parte, la pulsione dinastica è storicamente presente nella politica americana (alimentata dal culto delle celebrità, prole inclusa). Sul New York Times, Frank Bruni immagina future sfide presidenziali monopolizzate da figli di: Tagg Romney alle primarie repubblicane contro George P. Bush, mentre tra i democratici si affrontano Chelsea Clinton, Beau Biden, Malia Obama (poi magari succede veramente).
Maria Laura Rodotà