Erri De Luca, GQ 31/8/2012, 31 agosto 2012
NESSUN ABBRACCIO SI CONQUISTA CON L’ASSEDIO
Mia sorella, corteggiata da un uomo, mi raccontava di una cena con aragosta e luci sul mare. A conclusione disse per commento: «Le mura di Gerico non s’abbattono in una sera». Citazione corretta. Il libro di Giosuè, sesto dell’Antico Testamento, narra di un accerchiamento di sette giorni, al termine bastò un urlo a provocare il crollo. Non so se al pretendente di mia sorella sono poi servite sette sere e sette aragoste. Mi incuriosisce di più la formula da lei usata: le mura di Gerico, l’assedio di un popolo ostile, il crollo di bastioni e difese murarie prima di eventuali abbracci. Di questa antica schermaglia tra i sessi mai sono stato capace. Ho di sicuro offerto qualche cena a qualche donna, ma per cortesia meridionale, perché all’uomo spetta regolare il conto, come dare precedenza nel sedersi o alzarsi all’arrivo di una signora al tavolo.
L’idea, galante o bellicosa, di un assedio alla fortezza femminile, però non rientra nella mia immaginazione. Se un’attrazione è reciproca, c’è solo da assecondarla. Se non c’è, o non c’è ancora, meglio lasciare in pace. Nessun abbraccio è scaturito da un mio assedio. Il pensiero che la mia presenza accanto a una sconosciuta sia intesa come un sopralluogo a una fortificazione, mi fa togliere dai paraggi.
La frase di mia sorella dimostra che evidentemente ignoro lo scambio amoroso tra i sessi. C’è una schermaglia che precede e prevede un rituale. C’è un cerimoniale a lume di bicchieri che si toccano, premessa di altri tocchi e rintocchi. Il corteggiamento presenta la candidatura di se stessi, un curriculum di sospiri e sguardi. Me ne sento incapace per difetto di fabbrica. Non ho potuto essere geloso di una donna per la ragione elementare di non potermi attribuire il diritto all’esclusiva. Non provo gelosia perché so di non poter bastare a una donna.
Qualcosa di simile mi è capitato con i libri. Non ho praticato assedi spedendo a editori incartamenti speranzosi d’accoglienza. Il caso m’ha portato la prima pubblicazione, la sfacciataggine mi ha fatto proseguire. La frase di un saggio francese, morto suicida, mi ha insegnato questo modo di guardare alle occasioni: «La fortuna per arrivare a me dovrà sottostare alle condizioni che le stabilisco». Non ho questa spavalderia. Ho invece idea che la fortuna, versione laica della grazia, sia indifferente al modo per procurarsela e al merito. Ma so che un’occasione perduta mi resta tra le mani più a lungo e in nulla è inferiore a una afferrata. Mi tiene compagnia con un po’ d’ironia, diventa un soprammobile del mio arredo interno.
Nives Meroi, la più grande scalatrice in circolazione, ha detto: «Io sono le montagne che non ho scalato». Intende che i fallimenti sono stati per lei più importanti dei traguardi, raggiunti dove l’aria fa boccheggiare a vuoto come un pesce all’asciutto. Posso dire di essere la somma delle occasioni che ho tralasciato, per distrazione o scelta. Il dado non tirato conterrà per sempre le sei possibilità delle sue facce.