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 2012  agosto 31 Venerdì calendario

DIETROFRONT SULLE DIETE “LE PORZIONI DA FAME NON ALLUNGANO LA VITA”


PER un quarto di secolo alcuni esemplari di macaca mulatta sono stati tenuti in stato di semi- denutrizione. Magri e affamati. Il peso dei maschi è arrivato a scendere a tal punto da essere equiparabile a quello di un uomo alto 1,80 che pesi tra i 54 e i 60 chilogrammi. La speranza, alla base dello studio, era che se le scimmie avessero vissuto una vita più lunga e più sana, mangiando molto meno del normale, allora forse gli esseri umani, i loro cugini nell’evoluzione, le avrebbero imitate. E proprio anticipando tali benefici, alcuni scienziati avevano già iniziato a ridurre sempre più il loro apporto calorico. I tanto attesi risultati di questa lunga ricerca, iniziata nel 1987, sono finalmente arrivati, senza però avvalorare in nessun modo le convinzioni dei patiti della restrizione calorica. Anzi: è risultato che le scimmie pelle e ossa non sono vissute più a lungo di quelle che avevano un peso normale. Alcuni loro parametri clinici indubbiamente sono migliorati, ma soltanto negli esemplari messi a dieta quando erano già molto avanti con gli anni. Le cause di morte — tumori e malattie cardiovascolari — sono rimaste esattamente le medesime, tra le scimmie denutrite e tra le scimmie nutrite normalmente.
Gli esami di laboratorio per esempio hanno evidenziato livelli inferiori di colesterolo e di zucchero
nel sangue nelle scimmie maschio che avevano iniziato in tarda età a vedersi ridurre del 30 per cento l’apporto calorico, ma nelle femmine questo dato non è stato riscontrato. Il responsabile dello studio Rafael de Cabo, che mercoledì ha pubblicato online sulla rivista “Nature” l’esito delle sue ricerche, ha detto di essere stupito e deluso dal fatto che le scimmie nutrite meno non abbiamo vissuto più a lungo. Come molti altri ricercatori specializzati in studi sull’invecchiamento, si era aspettato un risultato simile a quello di uno studio risalente al 2009 ed effettuato dall’Università del Wisconsin, secondo il quale la restrizione calorica effettivamente aveva aumentato gli anni di vita delle scimmie. Su quello studio, però, incombevano vari interrogativi. «Non liquiderei in toto l’idea sulla base di un unico studio, tenuto conto che un altro studio sulla stessa specie animale ha dimostrato un aumento della durata
della vita» ha detto Eric Ravussin, direttore del centro di ricerca nutrizionale sull’obesità della Louisiana. «Sono ancora disposto a scommettere su un allungamento della vita media».
L’idea che un regime alimentare ipocalorico possa allungare la durata della vita si palesò per la prima volta negli anni Trenta, con uno studio su cavie da laboratorio. Ma la teoria decollò soltanto a partire dagli anni Ottanta: gli scienziati riferirono che in specie diverse — dai lieviti ai moscerini, dai vermi ai topi — mangiare meno equivaleva a vivere più a lungo. Inoltre, almeno nei topi, un regime alimentare ipocalorico corrispondeva anche a una minore incidenza del cancro. Non si sapeva tuttavia se la
stessa cosa si sarebbe rivelata vera anche negli esseri umani. Per Mark Mattson, direttore del laboratorio di scienze neurologiche del National Institute on Ageing, la restrizione calorica ha comunque i suoi meriti: gioverebbe al cervello, renderebbe le persone più sane e quasi certamente le farebbe vivere più a lungo. Il dottor Mattson, alto quasi un metro e 80, pesa 59 chilogrammi, nei giorni feriali salta colazione e pranzo mentre nei weekend salta la colazione. «Sì, sono un po’ affamato » ha ammesso. «Ma noi crediamo che essere affamati sia un bene».
(Traduzione di Anna Bissanti © 2012, The New York Times)