Tomaso Clavarino, la Stampa 31/8/2012, 31 agosto 2012
LA VOCE STORICA DEGLI ITALIANI A TUNISI RISCHIA DI SPEGNERSI
È l’ultimo baluardo del giornalismo in lingua italiana nei paesi arabi, l’ultima voce tricolore sull’altra sponda del Mediterraneo, una voce che la scarsità di fondi rischia ora di zittire cancellando una storia unica a cavallo del Mediterraneo. Il Corriere di Tunisi è anche la vicenda centenaria che lega indissolubilmente una famiglia livornese alla Tunisia. Un’avventura cominciata quando la Tunisia era sotto l’autorità del Bey che potrebbe arrivare all’indomani della rivoluzione dei gelsomini ai titoli di coda come successo agli altri giornali italiani nel mondo arabo, rimasti senza soldi.
Giulio Finzi, rilegatore di professione, livornese, carbonaro, sbarcò a Tunisi dopo il fallimento dei moti carbonari del 1820-1821. Nel 1829 aprì la prima tipografia privata della Tunisia, con sede nella Medina della capitale, nel quartiere detto «franco». Aveva sede in un lato del Palazzo Gnecco (celebre per essere stata la sede della sezione di Tunisi della Giovane Italia di Giuseppe Mazzini e perché ospitò nel 1838 Garibaldi). Con un gruppo di emigranti italiani contribuì alla modernizzazione del paese, partecipando alla costruzione di infrastrutture, ospedali, scuole e banche. E anche alla fondazione di quello che è, ancora oggi, il Corriere di Tunisi. Era il 1869 quando venne dato alle stampe il primo numero del giornale. Ma durò pochi anni. Nel 1881, quando la Tunisia divenne un protettorato francese il Corriere di Tunisi cessò le pubblicazioni. Un silenzio lungo, dovuto anche alla volontà da parte delle autorità coloniali francesi di vietare, a partire dalla Seconda Guerra Mondiale, qualsiasi pubblicazione in lingua italiana. Fu con l’indipendenza della Tunisia, nel 1956, che il Corriere di Tunisi riprese ad uscire con regolarità dando alla folta comunità italiana, nel dopoguerra erano circa 80 mila gli italiani residenti in Tunisia, una voce libera.
«In quasi 60 anni di esistenza il nuovo Corriere di Tunisi è riuscito a sopravvivere non senza difficoltà e sacrifici – spiega Elia Finzi, 86enne, attuale direttore, affiancato da una redazione di 4 persone compresa sua figlia Silvia -. Crediamo che le minoranze culturali, linguistiche e religiose siano una garanzia di libertà per le maggioranze e vogliamo che il Corriere di Tunisi possa rimanere la memoria, fuori e in Italia, della storia dell’emigrazione italiana in Tunisia, soprattutto quando questa storia è slegata dall’avventura coloniale come invece è stato per la Libia». Finzi ricorda un solo caso di censura dal 1956 ad oggi: la disputa di parecchi anni fa tra Italia e Tunisia sullo sfruttamento del tratto di mare chiamato il Mammellone: «Fummo gentilmente invitati a non occuparci di certe faccende, ma sono passati ormai molti anni ed è stato un caso più unico che raro».
Nel corso degli anni il Corriere di Tunisi ha anche visto mutare in parte il proprio pubblico di lettori, dagli italiani residenti in Tunisia ai tunisini italofoni. «Credo che il giornale sia stato un tramite importante nei rapporti tra la Tunisia e l’Italia spiega Finzi -. Il fatto che sia nato con l’indipendenza testimonia una volontà di stabilire dei rapporti di reale partenariato con il paese per poter creare una coscienza nuova della mediterraneità concepita soprattutto come la necessità di una convivenza pacifica».
Il Corriere è passato indenne attraverso la recente rivoluzione dei gelsomini, senza smettere di fare sentire la sua voce. «La necessità per un paese come la Tunisia di una transizione democratica ci sembra necessaria e da sostenere - spiega - ora però vediamo che i meccanismi del vecchio regime non sono estinti anche se altre figure hanno sostituito quelle passate. L’adozione da parte dell’Assemblea Costituente dell’articolo 27 della nuova Costituzione che contro il principio di parità di genere vorrebbe sancire il principio di complementarità dei sessi rischia di portare il Paese indietro di 60 anni».