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 2012  agosto 31 Venerdì calendario

L’AMORE SALVATO DA UN CARRO FUNEBRE

[Lui italiano, lei slovena. Nel ’50 il nuovo confine li obbliga alla separazione ma loro fuggono in modo singolare. Una storia di speranza per tanti siriani oggi] –
Chissà quante Giulietta e quanti Romeo stanno piangendo in queste settimane la loro separazione in Siria. Te lo chiedi leggendo ne La domenica delle scope di Roberto Covaz, un giornalista e scrittore di Monfalcone, la storia di Gregorio e di Aniča, lui italiano e lei slovena, che riuscirono a mettere in salvo il loro amore scappando, incredibile ma vero, su un carro funebre.
Gli italiani forse non ricordano cosa accadde quel 13 agosto 1950 lungo l’impenetrabile confine tra Gorizia e la neonata Nova Gorica tracciato in poche ore dalle truppe inglesi il 14 settembre 1947. Confine che consegnava alla Jugoslavia titina il settanta per cento del territorio provinciale e i tre quinti dell’estensione di Gorizia.
A tre anni da quella frattura che aveva separato così traumaticamente i due territori, dividendo famiglie, amici, cugini, fidanzati e perfino qualche casa rimasta con qualche stanza in Italia e qualche altra in Jugoslavia, racconta Covaz, «le autorità italiane e jugoslave avevano acconsentito che i goriziani rimasti di qua e di là del confine potessero incontrarsi, dopo tre anni di assoluta separazione, ma a debita distanza. Vietati i contatti fisici, gli abbracci tra figli e genitori, tra amici, tra fidanzati».

La domenica delle scope. Ma quel 13 agosto le cose sfuggono di mano: a migliaia, i goriziani rimasti in Jugoslavia «abbattono il confine per tornare ad abbracciare amici, parenti e fidanzate, incuranti dei fucili dei soldati jugoslavi, i graniciari, implacabili controllori della frontiera tra l’Occidente democratico e la repubblica di Tito, avamposto dell’Est europeo. Durante la loro permanenza a Gorizia, gli jugoslavi si disperdono nei caffè cittadini, nelle osterie e nei negozi, rimasti aperti vista l’imminenza del Ferragosto».
«È una giornata di festa, di acquisti, di eccessi. Gli empori vengono letteralmente vuotati perché al di là della frontiera, in una Nova Gorica ancora in fase di costruzione e nei paesi limitrofi, non ci sono botteghe e c’è poco o nulla da comprare. Nemmeno una modesta e semplice scopa di saggina, l’articolo che più di tutti viene acquistato in quel memorabile giorno a Gorizia». Da qui il nome che ricorderà quella data indimenticabile: la Domenica delle scope.
Quel giorno, dopo tre anni di interminabile sofferenza, si ritrovano miracolosamente, in mezzo alla folla, appunto, anche Gregorio e Aniča. Lui era un maestro di Assergi, un paese ai piedi del Gran Sasso, che accettando l’offerta del regime (il quale regalava un anno di anzianità ogni cinque a chi si sottoponeva al sacrificio) era andato a insegnare a Savogna, nell’alta valle dell’Isonzo, nelle terre a larga maggioranza slovena che il Duce voleva italianizzare. Lei era una giovane slovena di Moncorona, oggi Kromberk, che si era innamorata di quell’italiano nonostante l’ostilità verso Roma e verso la politica nazionalista fascista che puntava ad annientare la cultura slovena.
Finalmente riuniti dopo quei tre anni tremendi di lontananza, di silenzio, di contatti impossibili, Gregorio e Aniča si lasciarono alle spalle la vecchia stazione dominata da una immensa Stella rossa, e dopo avere vagabondato per ore ammutolendo di terrore al passaggio delle jeep dei militari a caccia di fuggiaschi raggiunsero il Duomo, «si infilarono dentro trafelati e si nascosero sotto l’organo». Passarono la notte lì. La mattina, temendo di essere sorpresi dalla polizia, evitarono i treni e trovarono un passaggio per Monfalcone su un carro funebre il cui autista si era commosso al loro racconto. E lì, a Monfalcone, si imbarcarono clandestini su un mercantile che dopo quattro giorni, una specie di luna di miele anticipata, li sbarcò a Pescara. Sarebbero tornati a Gorizia solo nel 2007, il giorno dell’abbattimento di quell’odiosa frontiera.
Ecco, se c’è una speranza in questi giorni orrendi è che anche in Siria, Paese magnifico e straziato, i carri funebri non servano solo a portar via i cadaveri ma anche a mettere in salvo amori.