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 2012  agosto 31 Venerdì calendario

ANCHE L’INDIA HA IL FIATO GROSSO

L’India comincia a diventare meno attraente per gli investitori stranieri. In giugno gli investimenti provenienti da oltreconfine sono crollati del 78% rispetto a un anno prima, passando da 5,66 a 1,24 miliardi di dollari (4,53-0,99 mld euro). L’India, pur restando uno dei paesi ad avere ancora un tasso di sviluppo sostenuto anche se in rallentamento, risente in maniera tangibile della corruzione e della paralisi politica che blocca qualsiasi tentativo di riforma.

A risentire maggiormente della frenata sono il comparto minerario, quello delle costruzioni e quello immobiliare: proprio quelli che recentemente sono stati interessati da fenomeni di malaffare.

L’organismo indipendente che controlla le finanze pubbliche ha puntato il dito contro il governo di Delhi, accusato aver fatto perdere allo Stato 27 miliardi di euro affidando alcune miniere di carbone a gruppi industriali privati senza ricorrere a una gara d’asta. Se il parlamento decidesse di avviare un procedimento giudiziario, decine di concessioni rischierebbero di saltare.

Gli stranieri, prima di portare i loro capitali nella nazione asiatica, vogliono essere sicuri di poter contare su un ambiente economico e sociale che favorisca le loro operazioni. Invece, da tre anni a questa parte, si continua ad annunciare provvedimenti per modernizzare il paese, che poi regolarmente non hanno alcun seguito. Un esempio riguarda la grande distribuzione: a inizio anno l’esecutivo aveva annunciato che il capitale dei gruppi indiani sarebbe stato aperto agli stranieri fino al 51%, salvo poi fare dietrofront a causa delle forti polemiche scoppiate.

Anche il settore aereo, alle prese con una dura crisi, attende il semaforo verde per l’ingresso di capitali freschi.

In ambito industriale le complesse procedure di acquisizione dei terreni scoraggiano eventuali soggetti interessati. Tata Motors è penalizzata da una vecchia legge, che a parole tutti vorrebbero riformare e che l’ha costretta a rinunciare alla costruzione di una fabbrica nel Bengala occidentale.

Alcuni settori non potrebbero svilupparsi senza l’apporto di capitali stranieri. È il caso delle infrastrutture, dove servono circa mille miliardi di dollari (800 mld euro) per sostenere la crescita dell’India. Basti pensare che Delhi, paradossamente, importa ogni anno 70 milioni di tonnellate di carbone, mentre detiene riserve per 114 mld di tonnellate.

Anche la burocrazia ci mette lo zampino: le lungaggini e la disorganizzazione rallentano il rilascio delle autorizzazioni e la partenza di collaborazioni pubblico-private. La banca centrale di Delhi ha avvertito che occorre adottare modelli come quello di Singapore, dove le varie autorità e i ministeri si siedono allo stesso tavolo per decidere velocemente sui progetti di investimento.