Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  agosto 30 Giovedì calendario

LE PAURE DEL 2013

[Meglio trattenere ancora il fiato: le prospettive per l’economia restano infatti negative, soprattutto nei paesi mediterranei. L’emergenza non è finita e ci aspetta un autunno difficile in Italia e in Europa, con il rischio di una stagnazione l’anno prossimo. L’America invece continuerà a crescere, anche se a ritmi sempre più lenti. E il resto del mondo andrà avanti a passo spedito, compensando le frenate cinesi con la tenuta del Brasile e la sorpresa dell’Africa. Questa la fotografia scattata per «Panorama» dagli uffici studi delle più grandi banche e case d’investimento del mondo.] –
EUROPA + 3% IN AUTUNNO ORNA L’ALLARME SPAGNOLO
Le banche d’affari vedono nero, fra timori sulle decisioni tedesche ed economia che non riparte.
Le date decisive per le sorti dell’Unione Europea sono due: giovedì 6 settembre, quando, al consiglio direttivo della Banca centrale europea, il suo presidente Mario Draghi dovrà dire se ha davvero in serbo uno scudo per proteggere l’Europa dalla tagliola dello spread; e poi mercoledì 12 settembre, quando la Corte costituzionale tedesca si esprimerà sul fondo salvastati permanente. Una sentenza favorevole darebbe all’Ue un’arma da 500 miliardi di euro, da usare al posto del fondo temporaneo, pistola ormai scarica: aveva 440 miliardi, ma dopo avere aiutato Grecia, Irlanda, Portogallo e le banche spagnole non riuscirebbe più a salvare Spagna e Italia. Non si tratta più di scenari ipotetici: una richiesta d’aiuti da parte di Madrid, per tutti gli analisti, è solo questione di settimane (arriverà al massimo a fine novembre, ritengono dalla banca svizzera Ubs). Un pronunciamento negativo dei giudici tedeschi, invece, «metterebbe in sofferenza il governo di Madrid e spingerebbe l’eurozona verso il baratro» dice a «Panorama» Paul de Grauwe, professore belga della London School of economics. «Basterebbe che la Corte tedesca usasse un po’ di buonsenso. Non è più un problema di conti nazionali in ordine, qui si tratta di prevenire il panico» avvete il professore, che non riesce a essere ottimista: «Il buonsenso, ci insegna la storia, è qualità molto rara». L’altro grande dilemma europeo è l’Italia, dove «le incognite della politica preoccupano più di quelle della finanza» secondo l’Ubs. Gli analisti temono una vittoria dei partiti euroscettici, nel caso si arrivi a elezioni anticipate. In autunno, per Bank of America-Merrill Lynch l’Italia dovrà a ogni modo chiedere un aiuto europeo, che riceverà in cambio di un taglio ai dipendenti pubblici e di un pareggio nei conti prima del previsto. In pratica, le stesse condizioni imposte alla Grecia. Il pil resterebbe negativo, anche se il governo Monti durasse più del previsto: il -2,5 per cento previsto per il 2012 sarà seguito da un -1 per cento nel 2013, dicono dalla banca d’affari Morgan Stanley. Gli americani della J.P. Morgan, intanto, si tutelano: fra marzo e giugno si sono liberati di quasi un terzo dei titoli del debito italiano che avevano nelle loro casse (scesi da 3 a 2,28 miliardi di euro). Invece i banchieri della Goldman Sachs (quelli che dicevano di svolgere un lavoro «simile a quello di Dio») non temono per l’Italia, «che ha un debito elevato, ma da molto tempo». Spiragli anche da Moody’s, che vede una possibile ripresa se verranno rispettati tutti gli impegni programmatici del governo. La Goldman è preoccupata molto di più dalla Spagna, che ha debiti «più elevati di qualsiasi previsione». C’è solo una cosa su cui tutti gli esperti sono d’accordo: «La Bce è tenuta a intervenire, perché la recessione sarà più pesante delle aspettative» prevedono alla Morgan Stanley. E la fase acuta quando arriverà? «È facile immaginarlo » rispondono i francesi di Société Générale, «sarà subito dopo l’estate».
OCEANIA +3% AGLI ANTIPODI ANCHE IN ECONOMIA
In Oceania si fa sentire il calo della domanda cinese di materie prime. Nonostante questo, secondo la banca Hsbc, l’Australia «eviterà una recessione nel 2012, grazie alla diversificazione economica e a una situazione bancaria più prudente di quella europea o nordamericana». Quest’anno l’economia australiana continuerà a crescere: diventerà la dodicesima al mondo, superando la Spagna.
AFRICA +5,3 % IL CONTINENTE NERO E LA NUOVA LOCOMOTIVA
«Il rallentamento dell’economia cinese frenerà la domanda di materie prime» (come il rame, foto) che traina da vent’anni alcune zone dell’Africa, prevedono gli analisti della banca giapponese Nomura. Ma il continente africano abbonda di altre risorse da sfruttare, tanto che, secondo la Banca mondiale, il suo pil complessivo aumenterà del 120 per cento entro il 2025. Il gruppo finanziario Schroders prevede l’arrivo di molti investitori stranieri: «Ci saranno nuovi flussi di capitale, soprattutto dal Sud America. Secondo le nostre previsioni, si tratta di 250 miliardi di dollari da qui al 2018».
USA +1,4 % L’AMERICA STAMPA MONETA E SI SALVA Anche negli Usa si guarda con preoccupazione alle decisioni della Bce e della Corte costituzionale tedesca. Perché, come dicono gli economisti del Fondo monetario internazionale, la ripresa americana dipende dalle sorti dell’Europa. Tanto che la Goldman Sachs, che non si aspetta soluzioni credibili da Francoforte e Bruxelles, ritiene che il prossimo presidente americano, dopo le elezioni del 6 novembre, dovrà fare essenzialmente una cosa: «Proteggere gli Stati Uniti dal contagio europeo». «Stiamo crescendo con una certa indolenza » dice a «Panorama» l’economista della University of California James Hamilton «ma la nostra economia prenderà un buon ritmo quest’autunno, se non arriveranno sorprese dall’Europa». A stimolare la ripresa dovrebbe essere la Federal reserve, pronta a stampare moneta già da settembre (è atteso un annuncio venerdì 31 agosto, al vertice di Jackson Hole). I problemi più spinosi, però, non sono quelli che vengono dall’esterno. Oltre alla disoccupazione, che si mantiene a livelli proibitivi, c’è un colossale problema di bilancio da risolvere entro dicembre. A Capodanno scatta una tagliola che può azzoppare la ripresa: la scadenza degli incentivi fiscali introdotti da George W. Bush si va a sommare all’inizio dei tagli automatici alle spese e all’aumento delle tasse, due misure decise l’anno scorso per limitare l’enorme debito pubblico americano. Se il Congresso non troverà una soluzione in tempo utile, gli Stati Uniti potrebbero morire di tagli alla spesa e d’impennata improvvisa delle imposte. Gli analisti della banca inglese Hsbc sono categorici: «Se i titoli degli Stati Uniti hanno perso la tripla A nell’agosto 2011, per la prima volta nella storia, è stato per colpa del debito. La lezione dovrebbe essergli bastata». C’è il pericolo che le elezioni presidenziali di novembre rallentino il processo di riduzione della spesa pubblica americana. La banca nipponica Nomura suona l’allarme: «Cresce sempre più il rischio che gli Stati Uniti diventino come il Giappone, dove la stagnazione economica si somma a un debito consistente». Studiando la ripresa dopo le recessioni del secolo scorso, due economisti americani, Michael Bordo e Joseph Haubrich, sono arrivati a una tesi controcorrente: il settore immobiliare, che ha fatto scoppiare la crisi, potrebbe dare la scintilla per la ripresa. Ma a una condizione: «Forse i prezzi degli immobili devono calare ancora, fino al punto che tutti riterranno il minimo possibile. A quel punto i prezzi, avendo toccato il fondo, saranno per forza stabili e i costruttori ritornerebbero a investire, così come le banche riprenderebbero a concedere mutui».
ASIA +8,2 % IN CINA C’E’ IL PERICOLO DI UNA BRUSCA FRENATA
Bank of America teme un forte rallentamento. Ma si viaggia all’8 per cento...
La Cina rallenterà, però non si sa ancora quanto: «I tempi della crescita a doppia cifra sono finiti, si scenderà gradualmente verso aumenti del pil tra il 5 e il 7 per cento» dice a Panorama Michael Pettis, analista finanziario e professore alla Peking University di Pechino. La Bank of America-Merrill Lynch si aspetta una frenata brusca già quest’anno , che dovrebbe chiudersi con un aumento del pil sotto le attese (+7,7 per cento, contro il +9,2 dell’anno scorso). Il passaggio più delicato sarà quest’autunno, quando un numero imprecisato di gerarchi del Partito comunista cinese uscirà in fila indiana sul palco della Grande sala del popolo, a Pechino. In base all’ordine si capirà chi sono il presidente e il primo ministro che guideranno la Cina per i prossimi 10 anni. «Tutti i leader cinesi hanno capito che il modello di crescita non è più sostenibile, ma non dobbiamo aspettarci mosse drammatiche: sarà un lento declino» dice Pettis. «Le borse non temono solo l’Europa» aggiunge Stephen L. Jen, già guru del mercato delle valute per la Morgan Stanley, «il rallentamento costante della Cina indebolisce i mercati finanziari, che chiuderanno l’anno a livelli significativamente più bassi di quelli attuali». Fonti bene informate dicono a Panorama che Pechino non si arrenderà al declino: «Il governo proverà a spendere per stimolare l’economia un’altra volta. E a quel punto inizieranno i guai seri». L’altro osservato speciale della regione è l’India, molto esposta alla crisi globale: «Senza riforme strutturali, l’economia indiana potrebbe entrare in stagnazione entro la fine del 2013» ha previsto la banca angloasiatica Hsbc.
SUD AMERICA +4,1 % FORTI INVESTIMENTI E IL BRASILE TIENE
L’America Latina ha fatto i compiti meglio dell’Europa. E cresce.
«Il Brasile rallenta, ma può comunque essere un paese dove la crisi avrà meno effetto» valuta la Deutsche Bank. Per evitare il contagio, il Brasile ha appena lanciato un programma di nuovi investimenti, infrastrutturali e non, per 66 miliardi di dollari. (nella foto, uno stadio in costruzione). Il potere di Brasilia aumenta anche ai tavoli che contano, come quello del Fondo monetario internazionale. Anche Argentina e Uruguay, dopo avere ristrutturato il loro debito, hanno ricominciato a respirare sui mercati obbligazionari. «Economie in sviluppo, nuovi stimoli fiscali agli investimenti, consolidamento delle finanze pubbliche: tutto ciò che è stato fatto da Buenos Aires e Montevideo negli ultimi anni è ciò che dovrebbe essere fatto nell’eurozona » sostengono nel colosso finanziario americano Citigroup.