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 2012  agosto 30 Giovedì calendario

Il decreto salvastati? Per Elena di Troia Uno dei nodi del dibattito politico, econo­mico e sociale di questi tempi è il debito pubblico: quando e chi lo ha formato, quali le possibili soluzioni per sanarlo, quali ri­cadute ha sulla collettività

Il decreto salvastati? Per Elena di Troia Uno dei nodi del dibattito politico, econo­mico e sociale di questi tempi è il debito pubblico: quando e chi lo ha formato, quali le possibili soluzioni per sanarlo, quali ri­cadute ha sulla collettività. Per capirne le origini «storiche», e per riflettere sul fatto che in forme diverse il «debito pubblico» è sempre esistito, il classicista Ezio Savino ce ne racconta l’essenza (in tre puntate), dall’antica Grecia all’Italia moderna. *** Il debito sta alle calcagna del­lo Stato come un mastino pronto a strappare pezzi di carne. Da sempre. Lo Stato è una macchina. Per funzionare, in­ghiotte carburante. Se i serbatoi vanno in secca, tutto s’inceppa: è il default. Il debito pubblico è lo spet­tro permanente dei governanti, quelli di oggi e di ieri. Così la sto­ria del debito (e dei rime­di per fronteggiarlo) coincide con quella del potere, della po­litica, degli Stati. Vediamo cosa e ac­cadeva nell’anti­chità. Ai tempi omerici, Agamennone era un capodiStato. Guidòcon­tro Troia «mille e mille navi», come avrebbe detto il poeta Mar­lowe. Non era un mordi e fuggi. Era un’impresa di Stato, decennale, la prima a cui l’Europa assistesse. A quali fonti attingeva il re di Micene per far fronte alle spese straordina­rie del Paese? Ci fossero stati i distri­butori, avrebbe calato sulla benzi­na le accise (dal latino, accìdere , ta­gliare), come facemmo noi, nel 1935, per finanziare la campagna d’Etiopia: le stiamo ancora pagan­do. Ma le sue entrate erano altre: il bottino e il dono. Il primo era un ele­mento strutturale del suo regno. Tutti i principi del tempo erano pira­ti: in maschere d’oro, da defunti, e travestiti da eroi grazie ai poeti di corte, ma sempre briganti. Ingrassa­vano il tesoro (l’erario) con la raz­zia, il rapimento e il riscatto. Il dono rientrava nel costume. Era una so­cietà esibizionista, la loro, in parte si­mile alla nostra: più «si compare», piùsiconta. Ilregalomagnificoèau­topromozione pura. Tutti ne parla­no. Quello offerto dai vassalli al re doveva stupire. Quando l’armata greca salpò per Troia, i soldati erano volontari, or­de in caccia di avventure e guada­gni, come il nerbo dei crociati e gli spagnoli al seguito dei conquistado­res . Gli alleati offrirono in dono allo Stato-guida di Agamennone navi, mezzi, organizza­zione. Il capo contava inoltre su un cespi­te morale: il giura­mento. Tutti i pre­te­ndentidellabel­la Elena (la crema dell’aristocrazia) si erano impegnati con sacri riti a dar manforte al fortunato che l’avesse impalmata, se qualcosa fosse andato storto. Quan­do Paride di Troia la sedusse, Mene­lao, il marito offeso, fratello di Aga­mennone, fece valere i diritti. Era un legame religioso. Tutti risposero all’appello,una coalizione di ferro a difesa dell’onore.I potenti di oggi se lo sognano, un simile scudo salva­stati. Stipulano trattati, firmano pro­tocolli, ma la politica è proprio l’ar­te di manipolarli a difesa di interessi insorgenti. Venne poi la polis , la città-Stato, la matrice dell’istituzione. Il debito era sempre in agguato. Solone, il più illuminato legislatore ateniese, gli dichiarò una guerra santa. Nella sua Atene, il debito pubblico era la somma di quelli individuali. Con il debito non si scherzava:l’insolven­te finiva ai ferri o, peggio, schiavo del debitore. In tempi di carestia, i contadini poveri, indebitati con i proprietariterrieri,piombavanoal­l’ultimo gradino della scala sociale: lo Stato, da assemblea di liberi, di­ventavaunergastolo. Soloneinven­tò la seisàchtheia , «lo scuotimento dei debiti», il sogno odierno di tutti gli oppressi dai mutui galoppanti. Abbassò di un quarto il valore degli oneri: chi doveva 100, versava 75. Cancellò le ipoteche per debito sul­le terre e sulle persone: ridiede gli ateniesi a se stessi. Galvanizzò il suo Stato con la più efficace delle entra­te: la fiducia nella fine di una crisi, l’avvisaglia di un domani migliore. Ma era anche un pragmatico. Divi­se il popolo in quattro classi, e le tas­sò in base all’imponibile. «Ho verga­to regole imparziali per l’umile e per il potente» scrisse in una poesia autocelebrativa «adattando la giu­stizia a ciascuno, equa». Ci saranno stati anche allora gli evasori, ma Atene si avviava alla sua età d’oro. Qui incontriamo Pericle, più spregiudicato. Plasmò uno Sta­to spendaccione. Non esisteva un vero e proprio welfare (nessuna pensione, lescuoleeranoprivate, la sanità era in mano a guaritori prez­zolati), ma la cassa pubblica era un colabrodo. Fare di Atene la città più bella del mondo con l’acropoli mo­numentale, il Partenone e le statue di Fidia costava una follia. Pericle grandeggiò in regalie popolari: pa­gò i giudici dei tribunali di quartiere (prima lavoravano gratis), e regalò il biglietto per gli spettacoli, come se oggi il ministro di turno spalan­casseperdecretoicancellideglista­di. L’esborso più pesante era la guer­ra con Sparta. Lo statista non ebbe scrupoli. Spostò all’ombra del Par­tenone, sotto il suo controllo, il «te­soro della lega ».La lega era un’alle­anza, in origine paritaria, fra Atene e gli stati isolani dell’Egeo, in funzione antispartana. Tutti i membri contri­buivano a una cassa comune, una spe­ciediBCEdell’epo­ca, collocata in ter­ritorio neutrale. Ma Pericle se l’acca­parrò. Era un’entra­ta straordinaria, un’iniezione di liquidità per costruire fortezze, forgiare armi, varare navi. Alle strette, ne pensò un’altra: allungare le mani sul«tesoro della dea»,sacro e intoc­cabile. Era una montagna di talenti d’oro (la moneta forte)chiusa nella cella del Partenone. Cresceva di giorno in giorno, perché vi finivano le decime delle multe e dei tributi cittadini. Le leggi vietavano di attin­gervi. Ma Pericle le stravolse. Morì prima di incamerare i santi miliar­di. I successori sfruttarono il prece­dente. Lochiamarono «prestitodal­la dea »: un sacrilegio. Ne successero altri, nella storia. Napoleone era un maestro nel met­tere questo genere di pezza al debi­to pubblico, con la spoliazione di cattedrali e conventi. Ma Atene ave­va altri assi nella manica. Il più frutti­fero era la «liturgia»: il cittadino ab­biente si sostituiva allo Stato in un «servizio». Per esempio, finanziava una trireme,una nave da guerra,pa­ga all’equipaggio compresa. Era un grosso esborso. In cambio, reputa­zione, onori, credito personale. Og­gi c­apita che un imprenditore si as­suma il restauro di un monumento. Toccherebbe allo Stato, ma la cassa piange, e allora subentra il privato, che ne ha un ritorno d’immagine. Nella sua vicenda millenaria, Ro­ma ha collezionato debiti e ogni ge­neredirimedi. L’«impostasulleper­sone fisiche »è un’invenzione roma­na: si chiamava tributum , e gravava sui capita ,sulle«teste»deicongiun­ti di un pater familias . Era il versa­mento più odiato. Al centro del mondo e dei com­merci, Roma drenava entrate con i dazi. Man mano che conquistava province, imponeva tasse. E allora entravano in scena i publicani, gli antenati delle Agenzie delle Entra­te. Lavoravano in appalto. Lo Stato pattuiva con loro una quota di getti­to dal territorio di competenza: se gli esattori ne spremevano di più, si tenevano il surplus . Possiamo solo immaginarne le angherie. Molte zo­ne furono strangolate dagli avidi funzionari. In piene guerre civili, le liste di proscri­zione garantivano un introito irrorato di sangue. Le inau­gurò Silla. Si pub­blicavano all’al­bo gli elenchi no­minativi degli av­versari politici. Si dava facoltà a tutti di eliminarli e di incame­rarne il patrimonio, versando­ne una parte allo Stato. Nel giro di pochi giorni, l’opposizione era spazzata via, e il fiscum ripianava gli ammanchi. Tutti gli imperatori lot­tarono con il debito. C’era chi, co­meVespasiano, tassavatutto, perfi­no le pubbliche latrine, perché i sol­di non puzzano, e chi, come Caligo­laeNerone, sifacevaintestareleere­dità dei dissidenti mandati al pati­bolo. Storia vecchia, quella del debi­to pubblico. (1. Continua)