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 2012  agosto 30 Giovedì calendario

Lo strano legame degli Usa con il pool di Mani pulite - La regia degli Usa dietro Ma­ni pulite. O meglio, un lega­me troppo stretto fra Washington e il Pool di Antonio Di Pietro

Lo strano legame degli Usa con il pool di Mani pulite - La regia degli Usa dietro Ma­ni pulite. O meglio, un lega­me troppo stretto fra Washington e il Pool di Antonio Di Pietro. Una liason che passava attraverso il consolato di Milano. È una voce autorevole, anzi auto­revolissima, quella che a tanti an­ni di distanza dà corpo a una delle leggende che accompagnarono la Rivoluzione italiana: quella che sosteneva la vicinanza fra l’ esta­blishment statunitense e i pm del­la Procura di Milano. A conferma­re quella lettura inquietante di uno dei periodi più controversi e drammatici della storia italiana è, nientemeno,l’ex ambasciatore in Italia Reginald Bartholomew. Le sue parole sono state raccolte cir­ca un mese fa da Maurizio Molina­ri della Stampa e il colloquio è stata pubblica­to ieri d­al quoti­diano torinese, tre giorni dopo la morte del di­plomatico, av­venuta dome­nica a 76 anni in un ospedale di New York. Bartholo­mew, ricorda Molinari, fu ca­tapultato a Ro­ma in piena tempesta. Ma­ni pulite era scoppiata il 17 febbraio del­l’anno prece­dente, il 1992, con l’arresto di Mario Chiesa e il Pool macina­va arresti su ar­resti. L’Italia era di fatto nel­le mani di un gruppetto di magistrati, osannato dall’opinione pubblica: Antonio Di Pietro, Piercamillo Da­vigo, Gherardo Colombo, Gerar­do D’Ambrosio, il coordinatore, il procuratore della Repubblica Francesco Saverio Borrelli. Clin­ton, preoccupatissimo per la pie­ga che aveva preso il nostro Paese, di fatto in decomposizione, deci­se di puntare su un ambasciatore non politico. Finalmente nel ’93 ecco il vete­rano del Foreign Service in Via Ve­neto. «Qualcosa non quadrava - è il suo racconto - nel rapporto fra il consolato Usa di Milano e il pool Mani pulite», un gruppo di magi­strati «che nell’intento di combat­tere la corruzione dilagante era a­n­dato ben oltre violando sistemati­camente i diritti di difesa degli im­putati in maniera inaccettabile in una democrazia come l’Italia, a cui ogni americano si sente lega­to ». Dunque, come si può capire, la realtà era molto complessa. Ma la sostanza era che l’allora console generale a Milano Peter Semler aveva dato disco verde a Borrelli e ai suoi pm. E questo per Bartholo­mew era inaccettabile. Se il suo predecessore a Villa Taverna ave­va lasciato fare, lui decise che così non si poteva andare avanti. Bar­tholomew, su cui Clinton aveva scommesso, era convinto che la nuova Italia, uscita dalle macerie della prima repubblica, dovesse essere disegnata da una nuova classe politica e non da un mani­polo di toghe. «D’ora in avanti ­svela il diplomatico, riferendosi a quel rapporto speciale fra il conso­lato e il palazzo di giustizia - tutto ciò con me cessò». Anzi, Bartholomew prese alcu­ne iniziative per sensibilizzare l’ establishment americano su quel che stava avvenendo nelle au­le di giustizia italiane. Qualcosa che andava ben oltre i confini del­lo stato di diritto. Così l’ambascia­tore fece venire a Villa Taverna «il giudice della Corte Suprema Anto­nino Scalia, sfruttando una sua vi­sita in Italia, per fargli incontrare sette importanti giudici italiani e spingerli a confrontarsi con la vio­lazione dei diritti di difesa da par­te di Mani pulite». Infine Bartholomew parla di quel che accadde nel’94 con l’avvi­so di garanzia a Berlusconi e in re­altà sembra pasticciare con le da­te mescolando l’arrivo in Italia per il G7 di Clinton, nell’estate, e l’emissione del provvedimento giudiziario che colpì il premier, re­capitato direttamente in edicola dal Corriere della Sera in autunno, nel corso di una conferenza inter­nazionale contro al criminalità. «Si trattò - spiega lui - di un’offesa al presidente degli Stati Uniti, per­ché era al vertice e il pool di Mani pulite aveva deciso di sfruttarlo per aumentare l’impatto della sua iniziativa contro Berlusconi». «Gliela feci pagare- è la secca con­clusione - a Mani pulite». Come? Forse altre rivelazioni ar­riveranno con una seconda proba­bile puntata, ma certo Barholo­mew racconta di aver tessuto fre­neticamente la tela dei rapporti con i politici emergenti:D’Alema, Berlusconi, Fini. Ignorò invece completamente Di Pietro e soci. «Queste cose dette da una perso­na che oggi non c’è più - ribatte ai microfoni di Radio24 Antonio Di Pietro-mi spingono a dire pace al­l’anima sua. Altrimenti l’avrem­mo chiamato immediatamente a rispondere delle sue affermazioni per dirci chi, come, dove e quan­do. Io - aggiunge l’ex pm- non ho mai incontrato questo Bartholo­mew, invece so che gli Usa all’epo­ca furono mol­to collaborativi per quanto ri­guarda le roga­torie ». Ancora più duro Fran­cesco Saverio Borrelli: «Mi stupiscono queste dichia­razioni perché provengono da un america­no e se ci sono prassi polizie­sche o carcerarie contrarie ai dirit­ti dell’uomo sono proprio certe prassi seguite negli Usa. Non vo­glio polemizzare con un defunto, ma respingo quelle dichiarazioni e valutazioni radicalmente, per­ché non c’è nulla di fondato». Per Bobo Craxi, figlio di Bettino, Bartholomew narra invece quel che si è sempre sospettato:«La ma­no straniera che­ha orientato il gol­pe non è un’invenzione e esprime­re stupore e sorpresa per l’intervi­sta sarebbe persino riduttivo ». E il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto si sofferma sui «singolari rapporti fra il consolato di Milano e Di Pietro», ripropo­nendo una domanda antica: «Ma chi era Di Pietro?».