Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  agosto 29 Mercoledì calendario

GLI SPREAD ALTI DANNEGGIANO TUTTI

Il rilancio della crescita in Italia e la stabilizzazione finanziaria con la riduzione degli spread in Europa: il lavoro del Governo è tutt’altro che finito. E nei prossimi mesi punterà soprattutto su queste due priorità. Con una particolare attenzione all’attuazione delle riforme già approvate. Il presidente del Consiglio Mario Monti, alla vigilia dell’importante incontro oggi a Berlino con Angela Merkel, ha accettato di parlare con il Sole 24 Ore dell’agenda di autunno del suo Governo. Un autunno che sarà decisivo per l’Europa e per l’Italia, alle prese con la crisi dell’euro e con la pressione e le inquietudini dei mercati finanziari. Non a caso sul tavolo del presidente ieri c’erano in buona evidenza i resoconti con i numeri positivi delle aste dei CTz e dei BTp. Una buona notizia. Fabrizio Forquet I l temuto agosto dei mercati finanziari si va chiudendo favorevolmente, ma Monti è per natura cauto: «L’agosto è stato spesso negativo per i mercati e l’Italia. Questa volta non sembra essere stato così. Ma vorrei essere prudente: oggi è 28, mancano ancora tre giorni lavorativi alla fine del mese...». L’andamento delle aste è stato particolarmente positivo. È stata una sorpresa per lei? «Una sorpresa no. La mia percezione è che le risposte di politica economica che stiamo dando comincino a prevalere sulle preoccupazioni e sulle sfide dei mercati. Risposte che sono state date al livello di singoli Paesi, ma anche del complesso dell’Eurozona. I primi, tra cui sicuramente l’Italia, hanno fatto nei mesi scorsi sforzi intensi per realizzare le riforme necessarie e quindi si presentano oggi con il marchio delle cose realizzate. Ma questo non sarebbe bastato se non ci fosse stata la percezione che stava arrivando finalmente anche la risposta europea». Tra mille contraddizioni, per la verità, e numerose resistenze. La risposta europea, infatti, continua ad essere un percorso a ostacoli. «Può essere, ma io credo che il vertice del 28-29 giugno sia stata una vera svolta. Si è riconosciuto che i cosiddetti compiti a casa nei vari paesi sono importanti, ma non bastano. E che la soluzione alle tensioni sugli spread passa necessariamente per uno sforzo collettivo di stabilizzazione e crescita. I meccanismi adottati sono stati poi il prodromo per le decisioni importanti della Bce». Dopo una prima freddezza dei mercati, gli annunci di Draghi hanno contribuito a rasserenare il clima. «In modo rilevante. Direi che non sarebbero arrivati senza la presa di posizione del Consiglio europeo del 28-29. C’è stata una concatenazione positiva di eventi. Non credo che Draghi avrebbe fatto quegli annunci se il vertice del 28-29 non avesse prima fissato l’obiettivo e, a grandi linee, gli strumenti della stabilizzazione dei debiti sovrani. Non è stata una trattativa facile in quella sede, ma abbiamo centrato un buon risultato». Gli spread, però, sono ancora a livelli alti, si dice più di 200 punti oltre quello che suggerirebbero i fondamentali dei Paesi. «È vero. Perché manca ancora l’attuazione di molti strumenti già decisi. Gli spread alti restano un serio problema. Non solo per gli Stati, ma anche per le imprese che si trovano a finanziarsi, in Paesi come il nostro, a un costo troppo elevato. È un fattore che altera gravemente la competizione internazionale tra le imprese. Non c’è solo il Clup (costo del lavoro per unità di prodotto) come svantaggio competitivo, ma possiamo dire che pesa anche il Ccup, il costo del capitale per unità di prodotto. In Germania è bassissimo, in Italia molto alto». Parlerà anche di questo alla Merkel? «Non posso anticipare i temi dei colloqui. Sicuramente è giusto far notare che questo squilibrio è grave per noi, ma è un rischio anche per i Paesi che oggi sembrano beneficiarne». La Germania, appunto. «Certamente l’attuale configurazione degli spread determina in Germania un’elevata crescita dell’offerta di moneta M3, alla quale si associano tassi di interesse artificialmente bassi, prezzi crescenti delle obbligazioni e pressioni verso l’alto dei prezzi degli altri asset, inclusi quelli immobiliari. Questo determina un potenziale di inflazione in Germania, che non credo corrisponda ai desideri né della BCE né del Governo tedesco. Precludere alla BCE, come vorrebbe la Bundesbank, interventi nel mercato dei titoli di Stato volti a moderare gli squilibri, potrebbe rivelarsi, in particolare dal punto di vista tedesco, un autogoal con effetti paradossali». Tra le questioni più spinose per l’Italia c’è la definizione dei contenuti del memorandum of understanding, il documento con gli impegni che va siglato nel caso di richiesta di attivazione dei meccanismi di stabilizzazione finanziaria. C’è chi teme condizioni aggiuntive e gravose. «Qui il lavoro è tutto da fare, il terreno è ancora vergine». La formulazione adottata dal vertice del 28-29 giugno è alquanto vaga. «Dovranno lavorarci i ministri delle finanze. Per quanto riguarda l’Italia, abbiamo dichiarato di non averne attualmente bisogno». E se la situazione dei tassi dovesse aggravarsi? «Di certo non voglio che l’Italia, dopo gli sforzi e i risultati ottenuti, sia sottoposta a una sorta di commissariamento intrusivo come avvenuto per Paesi che avevano bisogno di aiuti per chiudere i propri bilanci. Noi non siamo in quella situazione». Di certo c’è che la Bce interverrà solo dopo una richiesta di attivazione dei Fondi Ue... «Non solo è così, ma Francoforte potrà anche valutare autonomamente se intervenire o meno in caso di richiesta di aiuti. Non ci sono automatismi su questo». Nei vertici internazionali il peso dell’Italia è certamente aumentato, resta però una diffidenza soprattutto nelle opinioni pubbliche di molti paesi europei. «Mi sembra che questa diffidenza sia venuta riducendosi. Gli altri Paesi e le istituzioni internazionali hanno costatato la serietà dell’impegno dell’Italia in questi mesi e i primi risultati raggiunti. Pur muovendo da condizioni di grande fragilità finanziaria, non abbiamo rinunciato a far valere i nostri punti di vista sulle lacune della governance dell’eurozona. Queste lacune sono state un po’ per volta riconosciute e ad esse si sta ponendo rimedio». Secondo alcuni il fatto che i tassi si mantengano alti soprattutto sulle lunghe scadenze è rivelatore di una persistente sfiducia su chi potrà venire dopo. Si dice: Monti va via e torna l’irresponsabilità... «Questa diffidenza mi pare ingiustificata. Il Parlamento e i partiti hanno dato prova di responsabilità. Ma voglio anche dire che per fortuna l’Europa e i suoi trattati offrono una protezione, una sorta di guard rail, che impedisce ai governi che si susseguono nei singoli Paesi eccessi di creatività e fantasia nella gestione dei bilanci pubblici». Intanto Monti ha davanti ancora diversi mesi di attività di governo prima della fine della legislatura. E i compiti a casa ora si chiamano soprattutto crescita. Venerdì scorso se ne è discusso otto ore in Consiglio dei ministri. Un «seminario» si è detto. Presidente, non era meglio mettere meno carne al fuoco e adottare pochi e mirati interventi? «Lo scopo di quell’iniziativa non era decidere cosa fare. Ma mobilitare tutti i ministri e i ministeri a produrre idee che poi si tradurranno in provvedimenti sulla priorità crescita. Quello dello sviluppo è un tema che in realtà portiamo avanti dall’inizio, in particolare con le iniziative del ministro Passera, con l’obiettivo di togliere i vincoli strutturali che oggi frenano la crescita. Sono azioni che non potevano produrre effetti in pochi mesi, ma certamente abbiamo percepito una sottovalutazione di questo sforzo da più parti. Abbiamo allora deciso una sorta di mobilitazione generale». Ma a pochi mesi dalla fine della legislatura è tempo di chirurgica concretezza più che di mobilitazioni. «Abbiamo raccolto idee e anche bozze di decreti e disegni di legge. Importanti le relazioni di Passera, Grilli e Moavero. Che ci hanno dato anche la percezione dei vincoli europei e finanziari. Tutti i ministri hanno fatto un grande lavoro. Capisco che la percezione può essere stata: questi con un programma così pensano di stare qui vent’anni. Ma è chiaro che ora il presidente del Consiglio tirerà le fila per calare nella realtà gli interventi più utili in tempi brevi. Ci tengo a sottolineare però che non si tratta solo di provvedimenti nuovi, c’è un altro sforzo importante da fare: quello dell’attuazione delle misure già adottate». È il vero male italiano: la difficoltà ad implementare le riforme. È come se queste, una volta approvate dal Parlamento, si perdessero in una sorta di fiume carsico. Il Sole 24 Ore ha calcolato che su quasi 400 provvedimenti attuativi ne sono stati adottati in questi mesi solo 40. «Noi italiani, a tutti i livelli, siamo, e siamo considerati, bravi nel proporre, spesso nel decidere, ma piuttosto deboli nel follow-up, nel dare seguito realizzativo alle decisioni. Le leggi troppo spesso si perdono di vista. E questo vale anche per i governi. Noi che abbiamo un tempo breve dobbiamo dare grande attenzione a questo». Vale per i governi, ma anche certamente per l’amministrazione pubblica, che spesso frena, rallenta, blocca, rimanda. «Tra i provvedimenti previsti c’è infatti proprio l’attuazione delle semplificazioni, oltre a interventi anti-burocrazia del tutto nuovi. Il nostro è un Paese complesso. Ci sono troppi apparati che rallentano, c’è anche troppa inefficienza nelle strutture che devono fare i controlli per far rispettare le regole». Ci dica in questo senso tre priorità, tre impegni concreti: «La certificazione unica ambientale, che sarà proposta in Consiglio entro settembre; le nuove regole sugli appalti che saranno applicate dal 1° gennaio 2013; la carta di identità elettronica che sarà operativa a breve». A proposito di attuazione delle riforme, quella del lavoro sta evidenziando problemi in relazione alla stretta sulla flessibilità in entrata... «Abbiamo detto che ci sarà una fase di monitoraggio attento, poi si potrà cambiare quello che non avrà funzionato». Le imprese stanno soffrendo. Ci sono interi settori industriali in crisi. Serve una politica che sia vicina alle aziende in questo momento difficile. Bersani, proprio in un’intervista al Sole, vi ha sollecitato a una più attenta politica industriale. «L’apparato produttivo italiano soffre non tanto per mancanza di programmazione pubblica, quanto per un’insufficiente attenzione al funzionamento dei mercati, in relazione sia ai fattori produttivi, dal lavoro al controllo societario, sia al mercato dei prodotti e dei servizi. L’attività del nostro governo è andata ad intervenire soprattutto in questa direzione». Presidente, ormai il governo ha davanti a sé pochi mesi. Si sta entrando in una campagna elettorale difficile. C’è il rischio che nell’attuare le iniziative di cui ci ha parlato il governo possa incontrare crescenti resistenze tra le forze politiche. Già si vedono le prime avvisaglie. «È possibile che ci saranno. E siamo pronti ad affrontarle. Faccio affidamento che le forze politiche, che hanno dimostrato finora una responsabilità molto apprezzata, continuino a farlo. Certo è probabile che l’avvicinarsi del voto possa portare loro esponenti a posizioni di maggiore differenziazione e critica rispetto al governo. Ma siccome questo è un governo che non aspira ad esserlo di nuovo, io dedicherò la mia attenzione a ottenere il più alto numero di decisioni del Parlamento e ad attuare il più alto numero di riforme già approvate. Per il resto seguirò con attenzione, come ogni cittadino, la campagna elettorale». In Europa già molti dicono che la garanzia per la stabilità dell’Italia è che dopo Monti ci sia ancora Monti: «È solo perché mi conoscono da tempo».