Maurizio Porro, Corriere della Sera 28/8/2012, 28 agosto 2012
IL WATERGATE MOVIE SMASCHERA LA POLITICA
Il cinema americano, negli Anni 70, e naturalmente prima quando Mr. Smith andava a Washington, si occupava di uomini e non solo di alieni, mostri, cartoon, coppiette in calore: esistevano i film politici che rispecchiavano e criticavano la realtà. Gli yankees non hanno mai avuto timori: accuse di corruzione alla polizia, di indagini al di sopra di ogni sospetto, sono nate nei Trenta coi primi gangster movie. Tutti gli uomini del Presidente, ’76, di Alan J. Pakula, prosegue il filone politico sdoganato da Easy rider. Con film come 7 giorni a maggio o Va’ e uccidi Frankenheimer inventò la fantapolitica: un cinema che torna coi piedi per terra, raccontando l’affaire Watergate, scandalo internazionale di intercettazioni (a proposito, benedette) che fece dimettere il presidente Nixon e immortalò i reporter del Washington Post, Woodward e Bernstein.
Il miracolo è che, pur tutti al corrente di come andranno le cose, il film tiene un ritmo incalzante, una carica di tensione che deriva dall’impegno reale nel guardare all’amoralità di quel mondo americano che abbiamo spesso imitato. E poiché tutto si ripete nel Tempo, vale sempre la pena sentire la lezione etica, anche perché Pakula costruisce un film spettacolare con due divi attori bravissimi (Dustin Hoffman e Robert Redford, accaniti liberal, nella foto), andata e ritorno tra le stanze del Palazzo e quelle della redazione del quotidiano, quando il giornalismo d’assalto, anche in Italia, fece una «guerra» d’inchiesta.
E arrivarono quattro Oscar per questo democratico kolossal: attore non protagonista (il direttore Jason Robards), la sceneggiatura di William Goldman, poi scenografia e suono. Per osservare la differenza d’un altro cinema che narra Storia e storie, alle 15.45, su Sky Cinema Classics, si rivede la bella opera prima di Vancini del ’60, la storia ferrarese di Bassani La lunga notte del ’43, durante l’agonia del fascismo dopo l’8 settembre con un episodio di rappresaglia e un audace parallelismo (alla sceneggiatura contribuì Pasolini) tra la bestia fascista di ieri e l’omologante boom dei juke box di oggi che ci fa sentire una hit, Il barattolo. Cast virile di pregio con Salerno, Cervi, Ferzetti, Checchi tra amori, vendette e le nebbie di Ferrara. In attesa che passi la nuttata.