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 2012  agosto 29 Mercoledì calendario

Durante un viaggio in Norvegia ho scoperto che Knut Hamsun è addirittura venerato dai suoi connazionali

Durante un viaggio in Norvegia ho scoperto che Knut Hamsun è addirittura venerato dai suoi connazionali. D’accordo che è stato premio Nobel, ma come giudicare il suo sostegno alla Germania nazista durante la Seconda guerra mondiale? Vittoria Anselmi Bergamo Cara Signora, K nut Hamsun (1859- 1952) non fu soltanto il più amato degli scrittori norvegesi. Fu anche amato e ammirato da molti scrittori europei e americani della sua generazione e quella successiva. Piacque per il suo stile fantasioso e sensuale, per la sua grande capacità di ritrarre la condizione umana nelle grandi città americane e nella severa natura del suo Paese, per la sua vita avventurosa e per le dure esperienze (la fame, ad esempio) da cui aveva tratto materia per racconti e romanzi. Aggiungo che piacque anche per le idee politiche e sociali che erano la musica di fondo della sua narrativa. Dall’emigrazione negli Stati Uniti, dove visse per qualche anno, era tornato con una forte antipatia per il capitalismo americano e per la tirannia del denaro. Le sue idee sull’usura ricordano quelle contemporanee di Ezra Pound e furono, come nel caso del poeta americano, uno dei due motivi che lo spinsero a simpatizzare, negli anni Trenta, per il nazionalsocialismo. Il secondo motivo fu una sorta di religione delle radici. Amava appassionatamente la Norvegia dei Vichinghi e pensava che la sua patria, grazie alla vittoria tedesca, avrebbe avuto una posizione eminente nella grande Europa germanizzata del Dopoguerra. Ebbe un solo incontro con Hitler e non fu particolarmente colpito dal piccolo austriaco che non corrispondeva in nulla alla sua rappresentazione della razza nordica. Ma sino al maggio del 1945 continuò a elogiarlo pubblicamente per la sua lotta contro il bolscevismo. Non sembra che abbia aderito al partito nazionalsocialista di Vidkun Quisling, Primo ministro norvegese dal 1942 al 1945, ma durante la guerra scrisse regolarmente per Aftenposten, il maggiore quotidiano di Oslo, articoli in cui esortava i suoi connazionali a collaborare con i tedeschi. Terminato il conflitto, fu confinato per qualche settimana nella sua casa, poi separato dalla moglie, che fu inviata in un carcere femminile, e trasferito in un asilo psichiatrico. Il governo della liberazione sperava probabilmente di dimostrare (come gli americani nel caso di Pound) che Hamsun era fuori di senno. Si chiuse nella sua sordità come in una fortezza, fece lunghe passeggiate, ma continuò a parlare con se stesso e scrisse un diario (Paa Gjengrodde stier, Su sentieri ricoperti di erba) che è apparso in italiano presso l’editore Ciarrapico in una collana di «classici della controinformazione» diretta da Marcello Veneziani. Quando giunsero alla conclusione che non era pazzo, lo processarono. Nel diario scrisse che la sordità gli aveva impedito di ascoltare gli argomenti dell’accusa e si limitò a riprodurre il resoconto stenografico della sua difesa. Disse che aveva sempre amato la sua patria e rivendicò il merito di non averla abbandonata mentre altri (la famiglia reale ad esempio) fuggivano in Inghilterra. Aggiunse di avere creduto nel futuro germanico del suo Paese e raccontò infine di essersi quotidianamente impegnato a favore dei suoi connazionali arrestati, imprigionati, condannati a morte. La pena fu soltanto pecuniaria e poté trascorrere nella sua casa gli ultimi anni della sua lunga vita. Era indubbiamente sordo, ma credo che si sia servito della sordità per sottrarsi a qualsiasi confronto sulla natura e sui misfatti del regime nazista. I norvegesi conoscono le sue colpe, ma non vogliono perdere il loro grande scrittore e gli hanno reso omaggio in occasione del centocinquantesimo anniversario della sua nascita anche con la costruzione di una bella casa museo nel nord del Paese. Ma a Oslo, salvo errore, non esiste una via intitolata al suo nome.