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 2012  agosto 27 Lunedì calendario

Quelle bufale del pentito gustose solo per i giudici - Non era vero. Il re della moz­zarella Giuseppe Manda­ra non era in affari con i clan della camorra

Quelle bufale del pentito gustose solo per i giudici - Non era vero. Il re della moz­zarella Giuseppe Manda­ra non era in affari con i clan della camorra. Altro che favo­reggiamento. Altro che disponibi­lità. Altro che capitali da riciclare. Tutto falso. Tutto costruito su pre­supposti inesistenti. Tutto capo­volto, in un mondo alla rovescia. Si resta senza parole nel leggere pagine con cui il tribunale del Rie­same di Napoli fa letteralmente a pezzi l’ordinanza con cui il gip a lu­gl­io aveva spedito in carcere Man­dara e dato uno schiaffone a una delle eccellenze del made in Italy. La manette a Mandara e il com­missariamento dello stabilimen­to di Mondragone avevano fatto il giro del mondo e ora sarà difficile ricostruire l’immagine, compro­messa, di un prodotto che tutti ci invidiano. Fra l’altro nel groviglio di accuse assemblate dalla Procu­ra distrettuale antimafia di Napoli era finito davvero di tutto: persino il presunto cinismo di Mandara che decideva di lasciare in com­mercio una partita di formaggi contenente un pezzo di ceramica pericolosissimo per la salute; e ad­dirittura l’utilizzo di latte di quali­tà inferiore, vaccino, truffando co­sì il consumatore. Il Riesame non affronta direttamente questi epi­sodi ma lo studio attento delle in­tercettazioni - incredibilmente Mandara e il suo staff sono stati ascoltati per anni e anni - fa scric­chiolare anche la lettura devastan­te arrivata sui giornali. Il collegio prende di petto Augu­sto La Torre, il camorrista che, nel 2011, dopo anni e anni di carcere e l’ennesimo pentimento, ritrova improvvisamente la memoria e racconta di aver immesso negli an­ni Ottanta settecento milioni nel capitale del caseificio di Mondra­gone. Peccato che la sua confessio­ne non trovi riscontro nella realtà. Mandara, che ha avuto la sfortuna di operare in una terra bellissima ma disgraziata, infestata dalla ma­lapianta della criminalità, si è ri­trovato come vicini proprio i La Torre.Forse all’inizio ha coltivato con leggerezza la loro amicizia, poi è finito, come tanti industriali del Sud, nell’imbuto delle estor­sioni e delle umiliazioni finchè, nel 2003, si è ribellato e ha avuto il coraggio di denunciare il boss. Ec­co allora che lo spartito va rove­sciato: il re della mozzarella non era un complice ma, semmai, una vittima. «La Torre Augusto- scrive il riesame - -è stato già ritenuto soggettivamente inaffidabile in più provvedimenti giudiziari e nei suoi confronti si è più volte proce­duto per calunnia. Il programma di protezione in corso fu revocato soprattutto grazie alla denuncia del Mandara, per la estorsione ten­tata, commessa in costanza di con­tratto collaborativo. La Torre Au­gusto è, ad avviso di questo colle­gio, del tutto inaffidabile nella qualità di teste, la sua storia crimi­nale (per tale intendendo anche l’intervallo collaborativo che non ha sedato gli entusiasmi delin­quenziali del soggetto) è talmente costellata di costruzioni artefatte (oltre che di estorsioni e di omici­di a dozzine) da rendere sospetto e non credibile ogni suo movimen­to labiale ed ogni suo scritto». Ep­pure i suoi movimenti labiali, per usare le parole ironiche del riesa­me, sono i pilastri di questa inchie­sta. Non solo, il collegio fa un cal­colo semplice semplice: l’azienda fu acquistata, nel marzo dell’83, per «215 milioni di lire, dei quali solo 7 pagati in contanti, tutta la re­stante parte pagata con accollo di un mutuo e il rilascio di effetti cam­biari ». Insomma, il racconto di La Torre, con quei fantomatici 700 milioni, fa acqua da tutte le parti. Ma c’è di più, in un crescendo surreale; Mandara è finito in car­cere per essere membro di un clan che però non esiste più da molto tempo: «Si può fondatamente rite­nere che il clan La Torre non sia più operativo da almeno dieci an­ni. Si è detto altresì che nel 2003 so­no cessate le contribuzioni ( estor­sive) del Mandara al clan. Ebbene il gip ritiene di applicare la misura coercitiva per la partecipazione di due soggetti( (Mandara e il suo col­laboratore Vincenzo Musella, n.d.r.) ad un clan che non esiste più da oltre dieci anni e, nel rende­re ragione di tale necessità caute­lare, scrive che non si rileva alcun elemento di recisione di tali vinco­li. Sono parole - prosegue il riesa­me - che... non sembrano potersi spiegare altrimenti che con l’evi­denza di un “refuso“, non cancel­lato dal file precedentemente in uso». Sconcertante. E quantomeno controversa è an­ch­e la lettura delle telefonate avve­nute nell’estate del 2008. Davvero l’azienda ha messo sul mercato le mozzarelle contenenti un pezzo di ceramica? Il geometra Pasquale Franzese afferma: «Aspettiamo un attimo».Finoallamattinasuccessi­va, par di capire. Per poter prima cercare il frammento, che poi non è di ceramica ma di plastica,all’in­terno dell’impastatrice e bloccare, semmai in seguito, le mozzarelle sospette, ancora ferme nel deposi­to di Pistoia. Ma l’indomani i Nas sequestrano il formaggio. Che quattro anni dopo è ancora in un frigorifero in attesa di analisi. E an­che il campione di latte vaccino, pe­raltro percentualmente modestis­simo, muove i collaboratori di Mandara, pure loro perennemen­te­intercettati, all’indignazione nei confronti del fornitore disonesto: «Li minacci- dice una certa Anna­io il latte non lo prendo più». Vallo a spiegare agli americani e ai tede­schi che ora non si fidano più delle bufale made in Italy.