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 2012  agosto 25 Sabato calendario

Zagrebelsky, il giurista militante che ha dilaniato i salotti rossi - Della sinistra, che i suoi articoli han­no spaccato come un melone, rap­presenta l’ala giacobina, elitaria, meno legata all’ortodossia del vecchio Pci

Zagrebelsky, il giurista militante che ha dilaniato i salotti rossi - Della sinistra, che i suoi articoli han­no spaccato come un melone, rap­presenta l’ala giacobina, elitaria, meno legata all’ortodossia del vecchio Pci. Gustavo Zagrebelsky, cognome di origine russa che sibila fra i denti ma formazione piemontese doc, è da sempre uno dei punti di riferimento di quelle minoranze, illumi­nate per autodefinizione, che si sono mes­se in testa di costruire una nuova Italia a lo­ro immagine e somiglianza. Naturalmente tutto il resto del Paese, quello che non rien­tra nel perimetro stretto se non claustrofo­bico dei loro salotti, è un gradino più in bas­so, se non è da disprezzare. Perché in realtà esistono due Italie: quella più progredita che poi coincide con loro e i loro amici, e il Paese alle vongole. Una folla di straccioni da rieducare. Del resto questi maestri, qua­si profeti per i loro discepoli, vivono nel cul­to di Norberto Bobbio, di Piero Gobetti e del­la sua rivoluzione liberale, del professor Au­gusto Monti e delle sue mitiche lezioni al li­ceo D’Azeglio. Borghesia sabauda, fodera­ta di libri e di buoni propositi. Comunismo liberale, per dirla con un ossimoro in voga che è peggio di un rompicapo. Sappiamo come sia andata avanti questa storia intran­sigente e ingombrante, ma anche attraver­sata da lampi di rara intelligenza. Zagrebel­sky, classe 1943, fratello dell’altrettanto ce­lebre Vladimiro, magistrato di grande spes­sore e lunga carriera, è un professorone dal curriculum sterminato, con titoli nelle ca­selle giuste dell’editoria, a cominciare dal­l’immancabile struzzo einaudiano. Ma poi il collante di questo mondo, quello dei Vio­lante, dei Caselli, dei Neppi Modona è stato l’antiberlusconismo. Sicuramente pensa­va an­che a lui il Cavaliere quando maledice­va la Consulta che gli smontava le leggi, pu­re qualche volta raffazzonate, e pareva il prolungamento del sempre evocato parti­to dei giudici. E lui, il professorone, era una delle figure più autorevoli della Corte dove è rimasto i nove anni canonici: dal 9 settem­bre 1995, quando fu catapultato alla Con­sulta da Oscar Luigi Scalfaro, al 14 settem­bre 2004. Quando se n’è andato dopo aver presieduto l’alto organismo per alcuni me­si. Non è rimasto con le mani in mano. Non ha aperto la mano per chiedere l’auto e l’au­tista, i benefit a vita (oggi non più) che pure gli sarebbero spettati come emerito, ma ha continuato a distillare i suoi giudizi scriven­do dotte articolesse fra Stampa e Repubbli­ca . Eccolo attaccare il Cavaliere con un pa­ragone sinceramente democratico: «La pre­tesa di Berlusconi di governare con decreti ricorda la Germania del 1933, quando il Rei­chstag diede a Hitler il potere di decretazio­ne ». Sobrio. Come sempre. Anche quando immagina a modo suo il finale del Caima­no, assai diverso da quello morettiano: «Berlusconi finirà come Craxi. Il tiranno di Siracusa Gerone dice: non ho nemmeno la possibilità di ritirarmi a vita privata perché sarei inseguito da tutti coloro verso i quali ho commesso soprusi. Posso solo scegliere di sparire». È l’Apocalisse silenziosa. L’8 ottobre 2011 compone un peana in onore della cimice che nemmeno il magi­strato più duro e puro sottoscriverebbe: «Si dice che bisogna distruggere le intercetta­zioni che non hanno rilievo penale. E per­ché, quelle che hanno rilievo sociale e politi­co, invece? No... Ma in democrazia i cittadi­ni hanno bisogno di conoscere il più possi­bile tutto quello che ha rilievo sociale e poli­tico ». Sembra un’anticipazione delle pole­miche durissime, sotto la levigatura di una scrittura colta, di queste settimane. Berlu­sconi non è più a Palazzo Chigi e la colla che ha tenuto insieme professori e toghe per tanti anni non regge più. L’inchiesta sulla trattativa fra Stato e mafia è l’occasione per un conflitto devastante. La procura di Paler­mo intercetta il Quirinale e antiche allean­ze e consuetudini saltano di botto: Violante contro Ingroia e il partito dei giudici, Casel­li contro Violante e Zagrebelsky contro Scal­fari, con una sfida a puntate che si annuncia interminabile, come una saga. Alla fine tut­ti contro tutti nell’esplosione di un cosmo che sembrava un monolite ed era invece la somma di tanti violini solisti.