Giovanni Bucchi , ItaliaOggi 28/8/2012, 28 agosto 2012
Il posto di lavoro lo si costruisce Non cade dal cielo, ma è frutto di disponibilità, ricerca, passione Pagina a cura di Giovanni Bucchi Quella frase proununciata due mesi fa al Wall Stree Journal, il ministro Elsa Fornero non s’è azzardata a ripeterla venerdì scorso al Meeting di Rimini
Il posto di lavoro lo si costruisce Non cade dal cielo, ma è frutto di disponibilità, ricerca, passione Pagina a cura di Giovanni Bucchi Quella frase proununciata due mesi fa al Wall Stree Journal, il ministro Elsa Fornero non s’è azzardata a ripeterla venerdì scorso al Meeting di Rimini. Eppure, dalla platea di Cl la titolare del Welfare avrebbe probabilmente ricevuto più di un applauso nello scandire che «il posto di lavoro non è un diritto, deve essere guadagnato, anche attraverso il sacrificio». La mostra «L’imprevedibile istante. Giovani per la crescita», visitata dallo stesso premier Mario Monti, racconta sostanzialmente questo. Storie di donne e uomini, soprattutto giovani, impegnati nella scuola, nell’Università e nelle piccole imprese, e costretti dall’attuale crisi economica a mettere in discussione le loro aspirazioni, le loro professionalità, i loro stessi diritti per trovare un ambito della società nel quale realizzarsi. Se c’è infatti un diritto che la mostra della Fondazione per la sussidiarietà rivendica, è quello non al «posto» quanto al «percorso» di lavoro, inteso come possibilità per il giovane di sperimentare un itinerario di carriera in crescita, acquisendo competenze spendibili nel mercato e imparando da un «maestro». Il tutto in un ambiente di flessibilità e dinamismo, altra roba rispetto al precariato. Sono infatti la garanzia del posto fisso e la mentalità assistenzialista a cozzare con la nuova realtà delle cose. «Oggi risulta pressoché impensabile – dicono i curatori della mostra – per le persone puntare esclusivamente sulla ricerca del ’posto di lavoro’ che dura una vita, all’interno della stessa organizzazione, con la garanzia di una crescita professionale lenta e strutturata. È invece più probabile che gli individui intraprendano un ’percorso lavorativo’ che può svolgersi in settori e con mansioni molto diverse, e che richiede competenze e conoscenze piuttosto distanti tra loro”. Spuntano così i racconti di vita di chi si è rimboccato le maniche dopo aver intuito che qualcosa sta cambiando. Dalla fisioterapista catapultata a fare la badante di anziani all’operatore finanziario che balbetta e proprio per questo fonda una scuola per balbuzienti a Londra, fino all’insegnante di Lettere in un istituto professionale decisa a sfidare quegli irrecuperabili studenti con una nuova metolodogia. Nulla di eccezionale, soltanto storie di dura e appassionata quotidianità, troppo spesso snobbate dalla grande stampa. Perché ancora si crede che chi si sbatte per far ripartire il Paese non faccia notizia. Ma tant’è. I «suggerimenti operativi» della mostra sono poi quel manifesto di principi che i sindacati non vorrebbero mai firmare: innanzitutto, «non si è mai veramente precari perché non è il contratto di lavoro o lo stipendio che rende precari, se si ha la coscienza che quella è una condizione all’interno di un percorso». Poi: «È meglio un lavoro qualunque che nessun lavoro perché il lavoro ha un valore in sé», «qualunque lavoro ha una dignità e si può imparare da tutto», «occorre cercare a ogni livello maestri disposti a insegnare», e infine «gli errori che si fanno sono una delle occasioni più importanti per imparare».