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 2012  agosto 27 Lunedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - IL PUNTO SULLA GERMANIA


ANCORA deve approvare il fiscal compact e già la Germania va oltre, ad un nuovo trattato che finalmente crei un’unione politica. E delinei con maggior chiarezza, nelle intenzioni di Angela Merkel che ha lanciato la proposta, la ripartizione di competenze fra Bruxelles e Francoforte mettendo fine alle strazianti polemiche sollevate dalla Bundesbank e da politici di qualsiasi livello, tedeschi ma non solo.

Un’Europa più matura, insomma, soprattutto più funzionante e più simile agli Stati Uniti. Non a caso il politico più citato a Berlino è Alexander Hamilton, primo segretario al Tesoro Usa, artefice del "voluntary compact" da cui nacque lo Stato federale: e alla Philadelphia Convention si ispira la costituente che la Merkel avrebbe in animo di lanciare in dicembre.

Lo strappo della cancelliera probabilmente ora incontrerà i consueti distinguo legati alla cessione di sovranità (e ai timori di prepotenze tedesche) ma è dettato tra l’altro dalla necessità di andare oltre i tortuosi meccanismi dei fondi salva Stati. Non a caso "Angie" ha anche proposto che venga semplificato l’intervento della Bce sui titoli sovrani. Resta da capire come sarà armonizzato il trattato "finale" con il fiscal compact (ammesso che da Karlsruhe arrivi il 12 settembre il via libera).

Se dovranno coesistere, si complicherà l’opera di selezione delle norme Paese per Paese: come ha ricordato l’Ocse nel suo ultimo outlook, già oggi esistono diverse discipline fiscali imposte dall’Europa in altrettanti atti legislativi a volte in contrasto fra loro. Deve prevalere sempre la più severa? E come interpretare le singole esigenze e le eventuali deroghe? È un problema che riguarda da vicino l’Italia, alle prese con la famigerata norma sulla riduzione del debito di 1/20 l’anno imposta dal fiscal compact, che motiva l’accelerazione del ministro Grilli sulle privatizzazioni (anticipata al nostro giornale il 12 agosto) ma che più volte Monti si è impegnato a far alleggerire.

L’unione fiscale
Limiti uguali per la spesa sociale
e via a politiche anti-cicliche
L’esistenza di un bilancio federale come sarà quello dell’unione politica che si vuole disegnare, è condizione base per realizzare l’unione fiscale che ne è la sua manifestazione più cogente e importante. Non significa tanto mettere in comune delle tasse, se non quelle indirette come l’Iva e alcune altre, quanto fissare dei parametri di copertura statale per sanità, welfare, pensioni. Una bella rivoluzione, però come in ogni Stato decentrato, Italia compresa, i dettagli verranno affidati alle amministrazioni locali, vincolate comunque ad una disciplina di fondo. Ma un’unione fiscale vuol dire anche più solidarietà: secondo diversi osservatori, a quel punto sarà più difficile tirarsi indietro quando qualcuno sarà in difficoltà. Così come sarà possibile studiare e finanziare più efficaci politiche fiscali "anticicliche", insomma misure straordinarie (investimenti pubblici, tutele dei lavoratori, esenzioni fiscali) per tamponare le emergenze. Come diceva Jacques Delors, "una politica fiscale comunitaria per la stabilizzazione è un elemento chiave dell’integrazione europea".

L’unione politica
Bruxelles diventa la capitale
le istituzioni hanno pari grado
Cuore di tutto è l’unione politica, cioè la trasformazione dell’Unione europea in un vero Stato federale. La Germania non ha mai fatto mistero che questo è il suo obiettivo, sostenendo con crescente enfasi negli ultimi mesi che solo quando sarà stato compiuto lo storico passo sarà possibile risolvere la crisi del debito. Tutti gli altri membri, pur essendo in linea di massima favorevoli a una maggior compattezza, temono che la Germania (e gli eventuali alleati) a quel punto detterebbe legge in modo ancora più risoluto di oggi. L’unione come l’immagina Berlino dovrebbe essere in grado di coordinare con maggior efficacia le politiche non solo economiche dei Paesi membri, e a quel punto le varie articolazioni comunitarie esistenti troverebbero tutte una nuova dignità: il Parlamento di Strasburgo approva centralmente i vincoli di bilancio come accade oggi con la legge Finanziaria di ogni Paese, la Corte di Giustizia del Lussemburgo esamina i casi di inadempienza, la Bce diventa la vera banca centrale di uno Stato che finora non c’era (pur circoscritta ai 17 Paesi dell’euro) e le vengono garantite indipendenza e autorità.

La Bce
L’Eurotower dovrà poter agire
come un vero istituto di credito
Come accadde in Italia vent’anni fa con il "divorzio" Tesoro-Bankitalia, la Bce risulterebbe, a quanto è dato capire del nuovo trattato come lo vogliono i tedeschi, non più sottoposta alle decisioni dei vari consigli dei ministri finanziari ma in possesso di totale autonomia. Il che, dato che sarebbe a quel punto chiamata ad operare sui mercati come una vera banca, garantisce efficacia e rapidità efficacia di esecuzione. Verrebbe anche risolto il problema Bundesbank perché le decisioni saranno prese a maggioranza e slegate da ogni vincolo o imbarazzo politico. In quanto banca, poi, potrà comprare i famosi titoli sul mercato, primario o secondario che sia, in maggior libertà a seconda dei rischi per la stabilità dell’eurozona che vede, e quando li compra questi titoli non hanno nessuna seniority ("garanzia") speciale. Se si fa un consolidamento modello greco vengono trattati come tutti gli altri titoli in circolazione: quando ci fu l’haircut del 50% per la Grecia, questo fu insufficiente perché l’esenzione garantita ai creditori "ufficiali" (Bce e Stati) lo rese troppo limitato.

Gli eurobond
Cadrebbe l’ultimo ostacolo
alla nascita dei titoli comuni
Come ha recentemente ammesso la stessa Merkel, l’unione politica è il presupposto necessario e sufficiente per gli eurobond. Come ogni Stato federale, la nuova Europa emetterà dei titoli, appunto euro-securities. Anche Draghi nella conferenza stampa del 2 agosto ha fatto capire che definire misure non convenzionali di politica monetaria in un quadro come quello europeo è difficile perché i paesi membri sono tanti e i titoli dei diversi paesi hanno rischiosità diversa. Gli eurobond permetterebbero di superare questo problema, senza contare che renderebbero obsoleti in diversi casi i vischiosi meccanismi di intervento dei vari fondi salva Stati. Un anno fa il commissario Olli Rehn preannunciò al Parlamento europeo "uno studio di fattibilità per mettere a punto un sistema di emissioni comuni": allora venne stoppato dalla solita Germania, ma ora avrebbe via libera. Resta da verificare se una volta avviato il sofferto meccanismo, Bruxelles intenderà riassorbire anche una parte dei vecchi debiti statali per assumerseli nelle sue casse. Ma con un’unione politica tutto sarà più facile.

BUNDESBANK CONTRO BCE (REPUBBLICA.IT)
BERLINO - L’invito è netto. "Ciascuno dovrebbe pesare molto bene le parole". La cancelliera Angela Merkel commenta così le richieste di uscita di Atene dall’euro da parte della Csu. Poi aggiunge: "Abbiamo responsabilità gli uni verso gli altri in Europa, che non è solo una unione monetaria ma un’unione politica". E bisognerebbe tenere questo in mente molto attentamente, "sapendo quanti cambiamenti sono necessari in Grecia, hanno ancora molto da fare. Ma i loro sforzi sono molto seri". Poi il sostegno al presidente della Bundesbank: "Credo sia un bene che Weidmann metta in guardia i politici. Lo sostengo Weidmann e credo sia un bene che egli, come capo della Bundesbank, abbia molta influenza nella Bce". La cancelliera ha anche ribadito la propria fiducia in Mario Draghi: "La Bce è indipendente. Ha però un mandato molto chiaro e strettamente limitato per contribuire alla stabilità della valuta. Io ho fiducia ora come prima del fatto che le sue decisioni siano prese sulla base del suo mandato, e così ha detto anche Mario Draghi", ha detto.

E il fronte di chi vuole la linea dura sembra però almeno in parte incrinarsi. Dopo che il premier greco Antonis Samaras ha fatto visita alla cancelliera tedesca Angela Merkel 1 e al presidente francese Francois Hollande 2 ottenendo parole di incoraggiamento, ma nessun impegno preciso, a scendere in campo in maniera più netta a sostegno della Grecia è stato oggi a sorpresa il cancelliere austriaco Werner Faymann. Faymann si è detto favorevole alla concessione di tempi più lunghi alla Grecia per ripagare il proprio debito, "anche due o tre anni", a patto che Atene rispetti gli impegni sulle riforme e sui tagli alla spesa concordati con l’Ue. Ma la linea dura è sostenuta da Philipp Roesler, liberale, vicencancelliere tedesco. Che dice: "Un proroga, che sia di sei mesi o di due anni, per la Grecia non è fattibile".

E torna a far discutere il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, l’unico membro del Consiglio direttivo della Bce che lo scorso 2 agosto ha votato contro la proposta di acquistare titoli sovrani "a breve" in quantità illimitate. Oggi, in un intervista allo Spiegel, spiega di non sentirsi però come l’ultimo dei Mohicani all’interno della Bce e di non avere alcuna intenzione di gettare la spugna. "Non sono stato affatto il solo a giudicare criticamente l’acquisto di bond compiuti finora". Per me una politica del genere equivale ad un finanziamento di Stato compiuto stampando denaro. In questo modo la Bce non può risolvere durevolmente i problemi, corre invece il rischio di crearne di nuovi".

E all’obiezione che finora nella Bce è sempre stato considerato un tabù portare all’esterno le divergenze interne, il presidente della Bundesbank replica che "il board della Bce non è un Politburo, negli Stati Uniti i verbali delle sedute della Fed vengono addirittura pubblicati". A Francoforte, lamenta, serve più trasparenza verso l’esterno. All’osservazione che Draghi lo ha recentemente indicato come un avversario dei suoi piani, Weidmann spiega che non si tratta della rottura di un tabù, "al contrario, considero importante la trasparenza nel momento attuale. Nella banca centrale stiamo agendo attualmente in una zona limite e con ciò emergono sempre di più questioni fondamentali, per questo dobbiamo essere pronti a spiegare pubblicamente le convinzioni che abbiamo difeso all’interno del board".

Il banchiere sottolinea poi che il governo italiano sta lavorando bene, ma non tocca alla Bce fissare un tetto allo spread. "Irlanda e Portogallo hanno già ottenuto rimarchevoli progressi con le loro riforme, valuto positivamente anche le misure prese in Spagna e in Italia", afferma. "Ciò su cui non sono d’accordo", precisa però Weidmann, "è il fatto che in questa crisi qualcuno vuole far credere che sia solo la Banca centrale a poter impedire un aumento dei tassi di interesse considerato critico. Il modo migliore per ridurre durevolmente lo spread è la decisa applicazione delle promesse e degli accordi". "Le cause della crisi risiedono nell’elevato grado di indebitamento, nella scarsa competitività di alcuni Paesi membri e non da ultimo anche nella perduta fiducia nell’architettura dell’unione monetaria", sottolinea Weidmann, secondo il quale "questi problemi di fondo devono essere affrontati tutti in modo fermo, senza esitazioni e con un lungo respiro. E’ quanto serve per la tenuta e per la credibilità dell’unione monetaria".
(26 agosto 2012)

COMMENTO DI MASSIMO GIANNINI SU REP DI STAMATTINA
IL CONFLITTO istituzionale che sta dilaniando la Bce non ha precedenti. Non era forse mai capitato che il rappresentante di una singola banca centrale sparasse contro il “quartier generale”. L’accusa che il rappresentante della Bundesbank Jens Weidmann rivolge al presidente dell’Eurotower Draghi ricorda quella che Guido Carli usò ironicamente contro se stesso negli anni ’70, chiedendosi se la Banca d’Italia dovesse cedere alle pressioni della politica, e creare base monetaria per sostenere la finanza pubblica: «atti sediziosi ».
La Bundesbank è un’istituzione prestigiosa. Nella tormentata storia della democrazia tedesca ha sempre svolto un ruolo fondamentale, per la rigorosa custodia dell’ortodossia monetaria: la banca centrale ha solo un obiettivo, il controllo dei prezzi e della base monetaria. Ogni altro compito spetta ai governi. La Bundesbank è anche un’istituzione preziosa: nella tormentata storia della costruzione europea ha sempre svolto una funzione cruciale, a difesa dell’autonomia della politica monetaria dalla politica politicante. Spesso la sua acribia ha rasentato la miopia. È accaduto negli Anni Novanta, quando la «Buba» era diventata la bestia nera del Club Med che arrancava per entrare nell’euro, e l’allora governatore Hans Tietmeyer non gli risparmiava la tortura delle critiche quotidiane.
Ma oggi la Bundesbank sta diventando un’istituzione tecnicamente «pericolosa». La «Stabilitaet Kultur», la teutonica cultura della stabilità che ha meritoriamente riversato nella casa comune europea, rischia di cozzare contro il principio di realtà. Weidmann accusa a viso aperto Draghi di aver trasformato la Bce in un «Pantalone» degli Stati dissoluti di Eurolandia. Contesta gli acquisti di titoli di Stato che l’Eurotower ha effettuato nei mesi scorsi e si oppone all’ulteriore acquisto di bond per ristabilire il corretto funzionamento degli ingranaggi di politica monetaria inceppati dal micidiale effetto degli spread. Per la Bundesbank, questo è solo un modo surrettizio di finanziare gli Stati. Per Weidmann, che rivendica il suo diritto a dissentire rievocando addirittura il «Politburo sovietico», il differenziale dei tassi non si restringe con la «droga» della liquidità, ma con la «cura » delle riforme strutturali dei governi. Una posizione legittima, visto che in passato qualche Stato-cicala ha approfittato di politiche monetarie troppo concilianti. Ma una posizione sbagliata, oggi, per due ragioni di fondo.
La prima ragione è l’evidente malfunzionamento dei mercati di questi ultimi mesi. Gli spread non riflettono più in modo così automatico la sfiducia degli investitori sulla tenuta di questo o di quel Paese. Le manovre compiute dalla Bce sulla leva dei tassi di interesse non producono più alcun effetto. Il differenziale tra i rendimenti sta generando un’allocazione distorta dei capitali e delle provviste bancarie: fisiologica in un regime di cambio diversificato, patologica in un sistema valutario unificato. Dunque, per la Bce comprare bond in questa fase serve solo a ripulire gli ingranaggi e a far ripartire la macchina della politica monetaria. Non certo a finanziare i deficit degli «Stati canaglia». La seconda ragione è che la Bce può liberamente acquistare bond sul secondario. La misura e la frequenza degli acquisti è discrezionale, e per decidere gli interventi non ha bisogno di un «mandato speciale». Se lo fa, si muove nel rispetto delle regole fissate dai Trattati e dal suo Statuto. Se non lo fa, è solo perché Draghi da un lato rispetta la posizione tedesca, dall’altro aspetta il Consiglio direttivo fissato per il 6 settembre, e soprattutto la decisione della Corte di Karlsrhue sui Fondi salva-Stati prevista per il 12 settembre. Ma è proprio in vista di questi appuntamenti decisivi che i tedeschi, ancorati alla Bundesbank e caricati dalla loro campagna elettorale, lanciano l’assedio all’Eurotower, per blindarne le mosse.
Ma questa volta non si scherza. È chiaro a tutti che se dal consiglio del 6 settembre la Bce uscirà un’altra «fumata grigia», senza decisioni concrete sulla soglia degli interventi e sui volumi d’acquisto, sulle scadenze dei bond da comprare e sulle altre misure «non convenzionali» già annunciate ai primi di agosto, non saranno solo i soliti «Piigs» a crollare, ma l’intero edificio monetario europeo. Allora sorge un dubbio: i veri «atti sediziosi » sono quelli di Draghi o quelli di Weidmann?
m.giannini@repubblica.it

INTERVISTA DELLA MERKEL ALLA RETE ARD

RAINALD BECKER ULRICH DEPPENDORF
BERLINO
— «La Bce è indipendente e secondo me Draghi agisce nel rispetto del suo mandato, ma io sostengo Jens Weidmann, e credo sia una buona cosa che lui come presidente della Bundesbank abbia influenza nella Bce e invii ripetutamente i suoi moniti ai politici». Ecco l’intervento a caldo di Angela Merkel in persona, in questa intervista concessa al primo canale tv pubblico
Ard.
Signora , dai ranghi della maggioranza, per esempio dalla Csu bavarese, vengono nuove voci contro una permanenza della Grecia nell’euro. Non è pericoloso parlare così?
«Noi ci troviamo in una fase estremamente decisiva della lotta
contro la crisi dei debiti sovrani nell’area euro, e per questo credo che ognuno di noi dovrebbe ben soppesare a fondo le sue parole, prima di parlare. Tutti noi europei abbiamo responsabilità reciproche, l’uno verso l’altro. L’Europa non è solo un’unione monetaria, è una comunità di destini politici che per decenni ci ha assicurato la pace. Per questo bisogna stare molto attenti ogni volta che si parla. Dobbiamo sempre ricordare quanti cambiamenti duri, difficili siano necessari oggi in Grecia. Io sono stata la prima a dire al premier ellenico Samaras che alle parole devono seguire i fatti, ma proprio per questo chiedo a ognuno di pensare a fondo prima di pronunciare ogni parola ».
Ma molti nel campo Cdu-Csu sono critici. La sua maggioranza la segue sulla Grecia e la eurocrisi o si sente un po’di solitudine attorno?
«No, non penso di essere sola. Sulla Grecia, come ho detto, dobbiamo aspettare il giudizio della Trojka. Sono loro che si recheranno
sul posto a valutare i progressi delle riforme. Io ho detto al premier greco e anche ad altri che resta ancora molto da fare. Ma insisto, se noi vogliamo dagli altri attendibilità, affidabilità. Se noi chiediamo fatti ai greci i greci hanno anche diritto di aspettarsi che noi attendiamo il giudizio della Trojka e non ci abbandoniamo a certe dichiarazioni. Stiamo attenti, molto è in gioco quando parliamo della Grecia».
Lei si fida del premier ellenico Samaras?
«Ho parlato a lungo con lui, ho ricavato l’impressione che si stia impegnando molto, seriamente, a fondo. Naturalmente, molta fiducia è andata perduta negli ultimi due anni e mezzo, e per questo conta ogni giorno per rafforzare gli sforzi e salvare il salvabile».
Come sarà il futuro della Grecia:
dracma o euro? E lei pensa solo all’euro o anche alla drammatica situazione della gente in
Grecia?
«Io penso a come va alla gente, al paese reale, qui da noi come in Grecia. Ma dobbiamo anche creare una situazione in cui la fiducia reciproca sia possibile. Io capisco le preoccupazioni per il dramma della gente in Grecia, penso bene a quante sofferenze i greci affrontano, e trovo ingiusto che i ricchi abbiano già provveduto a mettere i soldi al sicuro all’estero, mentre la gente semplice deve affrontare rinunce in ogni campo della vita. Ma ciò malgrado io sono convinta che l’euro potrà essere una valuta stabile quando tutti noi europei riconquisteremo la credibilità perduta».
Ci saranno concessioni di tempo o nelle somme alla Grecia?
«Il rapporto della Trojka dovrà dirci a che punto è l’attuazione delle condizioni poste per il secondo pacchetto d’aiuti già concesso. Ho pregato Samaras di tradurre in atto al massimo quegli impegni, poi leggerò il rapporto
della Trojka».
La Bce andrà ad acquisti massicci di titoli sovrani per sostenere Spagna e Italia?
«La questione è quale responsabilità abbiano le diverse istituzioni davanti alla crisi dei debiti sovrani. Ci sono gli strumenti di salvataggio, cioè il futuro Esm e il Efsf, avremo il 12 settembre il verdetto della Corte costituzionale. Il mandato della Bce è molto chiaro: deve preoccuparsi della stabilità monetaria. La nostra responsabilità di politici è di correggere gli errori originari dell’unione con una maggiore cooperazione
politica. La Bce è indipendente, ma ha un mandato molto chiaro e limitato, difendere la stabilità monetaria. Oggi come ieri confido che la Bce rispetterà il quadro di questo suo mandato, Mario Draghi lo ha detto. Ma ancor più importante è per me come leader politico che tutti noi politici in Europa facciamo ognuno a casa sua il proprio dovere, e anche che insieme come Eurogruppo lavoriamo meglio insieme per rendere l’Europa più competitiva».
Il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, ha sottolineato di essere contro l’acquisto di titoli sovrani. Ha il suo appoggio?
«L’appoggio lo posso volentieri esprimere in quest’intervista. Trovo sia bene che Jens Weidmann lanci e ripeta i suoi moniti ai politici, oggi ha detto che il fiscal
compact è solo un primo passo ma non sufficiente, ha sottolineato che dobbiamo migliorare la competitività e anche usare gli strumenti anticrisi quando necessario. Non trovo inabituale che nella Bce, così come accade nei vertici dei leader dell’eurozona, ci siano discussioni. Che Jens Weidmann come nostro presidente della Bundesbank abbia quanto più influenza possibile nel consiglio della Bce lo ritengo cosa buona».
Si aspetta sorprese dalla sentenza della Corte costituzionale sullo Esm attesa per il 12 settembre?
«Ho parlato del tema con tutti, ne abbiamo discusso a fondo. Ora tocca alla Corte decidere. Abbiamo portato loro buoni argomenti per spiegare che un meccanismo di salvataggio permanente è necessario per la credibilità dell’euro. Non si tratta di finanziare gli altri Stati: è nell’interesse tedesco fare tutto per un euro stabile. Aspetto il verdetto».
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Angela Merkel, cancelliera tedesca, in carica dal 28 ottobre 2009

ANDREA TARQUINI SU REPUBBLICA DI STAMATTINA

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
BERLINO
— Jens Weidmann scende in campo, con tutto il peso e l’autorità di presidente della Bundesbank. Dice no all’acquisto di titoli sovrani da parte della Banca centrale europea, «perché i finanziamenti della Banca centrale assomiglierebbero a un finanziamento degli Stati stampando moneta, e renderebbero i governi tossicodipendenti, come da una droga». Rifiuta l’idea che la Eurotower fissi un tetto — confidenziale o dichiarato — allo spread o differenziale tra gli interessi dei titoli sovrani, bassi o nulli quelli dei Bund tedeschi e alti quelli italiani o spagnoli, perché è un’idea scabrosa. Lo scontro tra rigoristi e interventisti dunque sta portando sia i governi europei, sia il vertice della Banca centrale, a un passo da una spaccatura. La contestazione della strategia del presidente Bce Mario Draghi da parte di Weidmann, espressa con una lunga intervista uscita ieri sul settimanale
Der Spiegel,
è più
aperta, precisa e dura che mai.
Il contrattacco rigorista arriva pochi giorni prima del vertice tra la cancelliera Angela Merkel e il presidente del Consiglio Mario Monti, dopodomani qui a Berlino. Weidmann è intervenuto proprio mentre il cancelliere austriaco, il socialdemocratico Werner Feymann, si diceva favorevole a concedere alla Grecia più tempo per ripagare il proprio debito, «anche due o tre anni, a condizione che Atene rispetti gli impegni sulle riforme e sui tagli alla spesa concordati con l’Unione europea». E contemporaneamente il premier ellenico Antonis Samaras, rientrato in patria dopo i vertici con Merkel e Hollande a Berlino e Parigi, esprimeva la speranza che i suoi colloqui «portino almeno al risultato di calmare le acque».
Uno scontro tra Draghi e Weidmann non promette certo di calmare le acque. «Il Consiglio della Bce non è un Politburo alla sovietica, una trasparenza nel dibattito è un bene», insiste il presidente della Bundesbank. Poi difende la sua linea, con precisione e fermezza. Non è questione di egemonia del modello tedesco, egli spiega. È questione di rispettare i Trattati di Maastricht: finché non c’è l’unione politica, i Trattati impediscono che le conseguenze di una cattiva politica di Bilancio di uno Stato
siano gettate sulle spalle di altri. Ho sempre visto in modo critico gli acquisti di titoli sovrani, e non sono stato solo. In quel modo la Bce non risolve i problemi di fondo, e corre il rischio di creare problemi.
Lo statuto della Bce, egli continua, non prevede né che l’istituto fissi gli interessi dei titoli sovrani. Io voglio evitare che la politica monetaria cada sotto il dominio della politica finanziaria.
E nel rispetto della democrazia, valore costitutivo dell’Europa, spetta ai Parlamenti e non alle banche centrali decidere se introdurre o no una politica di messa in comune dei debiti sovrani. Infine ma non ultimo, ammonisce Weidmann, tocca ai governi e non alle banche centrali decidere quali paesi possano far parte dell’unione monetaria, e se la Banca centrale si conferisse il dovere di garantire con ogni
mezzo la permanenza di paesi nell’eurozona, potrebbe entrare in conflitto col suo compito prioritario, la difesa della stabilità dei prezzi. Il macigno è lanciato nello stagno. Tutto indica che il vertice Merkel-Monti dopodomani e poi la prossima seduta del consiglio bce il 6 settembre saranno ben altro che facili. E tra poche ore verrà il primo verdetto, dalla riapertura dei mercati.
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PRO GRECIA
Reinhold Lopatka, il segretario di stato austriaco designato.
L’Austria è l’unico paese che offre un’apertura alla Grecia.
In alto, Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea
LA RIVOLTA
“La rivolta della Bundesbank”, titolo di
Der Spiegel
con l’intervista a Jens Weidmann nella quale il presidente della Buba attacca il presidente della Bce Mario Draghi
Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, dice no all’acquisto di titoli sovrani da parte della Banca centrale europea,
FOTO: ANSA/EPA/ROESSLER

CLERICETTI SU REPUBBLICA DI STAMATTINA
Eh, sì. Anche lei. Anche la Bundesbank, che oggi impartisce all’Europa e alla stessa Bce lezioni di teutonica coerenza, anche lei ha peccato, ha infranto il suo sacro statuto e ha finanziato creando moneta il deficit pubblico tedesco. Lo ha fatto soltanto una volta, ma una volta è quella che basta a perdere la verginità per sempre. E lo ha fatto in una situazione che - scontate le debite differenze - somiglia moltissimo alla situazione dell’Europa di oggi.
A ricordarselo è stato un economista tedesco, Peter Bofinger, a cui ha fatto seguito una nota di Evelyn Herrmann di Bnp Paribas. Joseph Cotterill ne ha scritto sul Financial Times e l’economista della Sapienza Mario Nuti ne ha parlato in un suo intervento. Insomma, la storia si sta diffondendo e di certo il super-falco Jens Weidmann dovrà tenerne conto prima di sparare la sua prossima bordata contro qualsiasi ipotesi di intervento della Bce sul problema degli spread e dei debiti sovrani.
Il fatto è avvenuto nel 1975. La Germania era in una pessima situazione congiunturale, quella che si definisce "stagflazione", ossia stagnazione della crescita (il Pil in quell’anno arretrò dello 0,9%) e inflazione (i tassi a lungo termine sul debito
erano arrivati al 10,74% nella media dell’anno precedente e tendevano a salire ancora). Nell’estate del ’75 la domanda di titoli a lungo termine cadde, perché gli investitori temevano che l’inflazione futura sarebbe stata superiore ai rendimenti. E allora la Bundesbank, scrive Herrmann, "acquistò titoli, per un importo pari a circa l’1% del Pil, con maturity 6 anni e oltre" (bisogna considerare che la maturity è minore rispetto alla scadenza nominale dei titoli). La Herrmann sottolinea che così facendo la Bundesbank contravvenne al suo statuto, che le vieta la "monetizzazione del debito", che è ciò che avviene se la Banca centrale compra titoli del suo paese. E infatti vi furono reazioni politiche negative.
Ma la Bundesbank giustificò la sua mossa, affidando la difesa al suo capo economista e membro del board: si trattava di Helmut Schlesinger, che in seguito sarebbe asceso alla presidenza della Banca. "Le nostre politiche di mercato aperto - affermò Schlesinger - non sono dirette a finanziare il deficit pubblico, ma solo a regolare il mercato monetario". Chiosa la Herrmann: "In altre parole, la Bundesbank aveva bisogno di acquistare bond allo scopo di mantenere efficiente il canale di trasmissione della politica monetaria".
Come, come? Ma questa frase ne ricorda un’altra molto più vicina nel tempo, di appena un mese fa: La soluzione del problema degli spread, e quindi di rendimenti troppo elevati sul debito sovrano di alcuni paesi dell’Eurozona, "rientra nel mandato della Bce, nella misura in cui il livello di questi premi di rischio impedisce la giusta trasmissione delle decisioni di politica monetaria". Lo ha detto Mario Draghi, presidente della Bce, nella sua famosa conferenza a Londra del 26 luglio, la stessa in cui ha affermato che la Bce avrebbe fatto "tutto il necessario" per risolvere la crisi dell’euro; "e, credetemi, sarà sufficiente".
Stesso problema, dunque: si è creata una situazione che impedisce alla Banca centrale una corretta trasmissione della politica monetaria. E anche la soluzione appare simile: si tratta di acquistare titoli di Stato, in una quantità "sufficiente" a risolvere il problema. Un atto, dunque, che non ha a che fare con la mutualizzazione del debito o con la sua monetizzazione, come la stessa Bundesbank sostenne allora, ma con il compito primo e principale di qualsiasi Banca centrale, che è quello di rendere efficiente la sua politica monetaria.
Draghi, dunque, ha inquadrato il problema perfettamente, e Weidmann può dargli torto solo rinnegando la storia recente della sua stessa Banca centrale. Poi, però, il presidente della Bce ha preso altre due posizioni che sono politicamente abili, ma deleterie per la sbandierata indipendenza politica della Bce. La prima: gli interventi avverranno solo dopo una formale richiesta di aiuto da parte degli Stati interessati, a cui saranno poste delle condizioni. Ma questa è la procedura stabilita per gli interventi dei Fondi "salva-Stati" (Efsf e, quando ci sarà, Esm). Che c’entra con quello che la Banca centrale ritiene di dover fare? E se nessuno chiede aiuto la politica monetaria può continuare ad essere inefficace? Il fatto è che quella era la linea indicata dalla Cancelliera Merkel. Della quale si è detto che è poi intervenuta ad appoggiare Draghi: ci sarebbe mancato altro, visto che era stato Draghi ad accettare la sua linea!
La seconda posizione è quella che riguarda l’accesso del Fondo salva-Stati ai finanziamenti della Bce. Quasi tutti i commentatori affermano che, per renderlo possibile, va concessa al Fondo la licenza bancaria e Draghi aggiunge che senza di essa - che è competenza dei governi concedere - la Bce non può finanziarlo, richiamandosi a un parere legale espresso sulla base dell’articolo 123 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea del 2009. Ebbene, questo non è vero: come sottolinea Mario Nuti, il primo comma di quell’articolo sembrerebbe in effetti escludere organismi di quel tipo, ma il secondo comma recita: "Il paragrafo 1 può non essere applicato alle istituzioni di credito pubbliche che, nel contesto dell’offerta di riserve da parte della Banca centrale, potranno avere lo stesso trattamento degli istituti di credito privati". La Bce dunque avrebbe tutto il potere, a norma di Trattato, per decidere in materia. Se non lo fa è perché aspetta che sul problema gli Stati si mettano d’accordo, cosa che finora non è avvenuta essenzialmente per l’opposizione tedesca. Una seconda, pesante concessione al "primato della politica".
D’altronde, se Draghi siede su quella poltrona non è solo per le sue universalmente riconosciute capacità tecniche. Sarà forse il più autorevole tecnico oggi in circolazione nel mondo, ma questo non sarebbe bastato senza il consenso politico di chi conta di più in Europa, ossia dei tedeschi. E il realismo insegna che è abbastanza inutile aver ragione, se poi non si riesce a farla valere.
Certo, può arrivare un momento in cui si deve scegliere tra il fare qualcosa che appare ormai indispensabile e il mantenere una copertura politica a costo di rischiare il disastro. Speriamo che, quando arriverà quel momento, Draghi scelga bene.
(26 agosto 2012)