Nicoletta Picchio, Il Sole 24 Ore 26/8/2012, 26 agosto 2012
PECHINO RALLENTA MA RESTA IL MOTORE DEL PIL MONDIALE
La crescita cinese rallenta, ma continuerà a essere la principale fonte di crescita per l’economia mondiale. Non solo: rappresenterà anche in futuro un’opportunità di investimento e di mercato per le imprese italiane. È l’analisi che arriva dal Centro studi di Confindustria, diretto da Luca Paolazzi.
Il ritmo dell’espansione cinese, spiega il Csc, si riduce fisiologicamente perché il Paese sta entrando in una fase più matura di sviluppo. È vero che l’obiettivo minimo fissato da Pechino per il 2012 è del 7,5%, l’incremento più basso dal 1990 ed inferiore al 10,2% medio avuto dal 2000 in avanti. Ma anche se così ridotta la dinamica della Cina, scrive Manuela Marianera nella nota, contribuirà ad un terzo della crescita globale, stimata quest’anno dal Fondo monetario al 3,5%, a causa del maggior peso dell’economia cinese sul Pil mondiale (14,3% nel 2011, 7,1 nel 2000).
La crescita della Cina, secondo il Csc, si basa su alcuni elementi di forza che «ne impediscono il deragliamento»: lo sviluppo delle aree interne che convergono verso i Pil pro capite delle zone costiere, l’inarrestabile processo di urbanizzazione, esteso a tutto il Paese, il costante aumento della produttività, determinante nel generare le risorse per forti aumenti delle retribuzioni. Negli ultimi 40 anni la produttività del lavoro, calcolata come rapporto tra Pil a prezzi costanti e occupati, è cresciuta del 1.500% e dal 2005 al 2011 dell’84%, ad un tasso medio annuo del 10,7 per cento. Questo è stato determinante per l’aumento delle retribuzioni, inoltre il processo, scrive la nota, non accenna ad arrestarsi grazie al continuo spostamento della forza lavoro dall’agricoltura all’industria e al terziario, oltre al riposizionamento della manifattura verso settori a maggior valore aggiunto. Un trend che alimenta il potere d’acquisto delle famiglie e i consumi.
Sono proprio questi ultimi uno dei nodi che la Cina dovrà sciogliere per continuare una «crescita duratura». Occorre un riequilibrio delle componenti della domanda che porti l’economia a fare un maggiore affidamento sui consumi delle famiglie, riequilibrando la domanda interna tra consumi e investimenti (sono stati negli ultimi anni il vero traino dell’economia, il 46% del Pil nominale) e una riforma del sistema bancario che favorisca la libera concorrenza tra imprese statali e non, settore in cui il Governo sta muovendo i primi passi con una graduale liberalizzazione del tasso di interesse sui depositi bancari, attualmente vincolato ad un determinato tetto.
Il modello di crescita, secondo il Csc, è inadeguato rispetto al tasso di sviluppo dell’economia. La Cina non è l’unico esempio: tutti i Paesi che vanno verso la maturità economica sono soggetti a fasi di transizione e discontinuità. È successo negli anni ’60 in Giappone, nel decenio successivo in Corea del Sud, Taiwan e Hong Kong.
Il Governo vuole andare avanti con le riforme, che però sono rallentate perché è in corso il decennale cambio di leadership. Per avere un’accelerazione occorrerà che si insedino i nuovi vertici. Comunque la Cina è una fonte vitale di crescita globale e la sua rilevanza, conclude la nota, è destinata ad aumentare: è il primo esportatore mondiale, 10,4% dell’export nel 2011, prima potenza industriale, 21,7% della produzione mondiale, sta scalando la classifica dei Paesi che generano i maggiori Ide in uscita, salendo nel 2010 al quarto posto, 5,1 per cento.