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 2012  agosto 27 Lunedì calendario

LABORATORIO NEW YORK IL TENNIS VIAGGIA NEL FUTURO


Si giocherà con racchette-computer, capaci di consigliare in tempo reale qual è il colpo più efficace da tirare. Non ci saranno più set veri e propri, ma tie-break lampo che renderanno le partite simili a frenetiche ordalie. Il Roland Garros, Wimbledon e gli Us Open si disputeranno in enormi arene coperte, con megaschermi al plasma e campi sintetici, mentre gli Australian Open saranno rimpiazzati da un quarto Slam organizzato in Arabia oppure a Shanghai.

Fantatennis? Forse, ma non del tutto. Oggi alle 17 a New York partono gli Us Open, l’ultimo dei quattro grandi tornei dell’anno – i “majors” come li chiamano gli americani – e il tennis di fine 2012 si interroga sul domani. Non solo su quanto potrà durare ancora la splendida longevità di Roger Federer, o su quali sono le vere condizioni di Rafael Nadal, il grande assente a Flushing Meadows, o ancora sulle chance di Andy Murray di afferrare, dopo l’oro olimpico, anche il primo Slam della carriera. I gesti bianchi sono ormai uno sport globalizzato, un successone planetario, ma il futuro, ai tempi della recessione, non è più quello di una volta - un placido extended-play delle care, vecchie tradizioni. È diventato una variabile del marketing che va letta, interpretata, anticipata. Se non si vuole finire come il croquet o il tiro alla fune occorre immaginare e progettare un’evoluzione. Gli States, nel tennis come in tutto il resto, sono stati spesso l’incubatrice del Nuovo: dal tie-break, inventato nel 1970 dall’americano Jimmy Van Alen (che le televisioni gliene rendano grazie), al Team Tennis, il tennis di squadra, dove il pubblico può infischiarsene del silenzio e i giocatori essere sostituiti a partita in corso come nel calcio o nel basket. E da New York e dalla molto yankee-oriented Atp, l’associazione dei tennisti professionisti, è arrivata pochi giorni fa l’istituzione di una nuova commissione tecnica – il Competition Committee – che avrà il compito di elaborare le regole del tennis del Terzo Millennio. Sei membri, fra i quali l’italiano Sergio Palmieri, dal 2003 direttore degli Internazionali d’Italia, con un potere per il momento solo consultivo. «Non vogliamo stravolgere il tennis» spiega uno dei membri del Committee Graham Pearce «ma gli appassionati più giovani si aspettano uno spettacolo più eccitante in tempi più ridotti. Ed è in questa direzione che ci m u o v e r e m o » . Uno degli ex presidenti dell’Atp, il sudafricano Etienne De Villiers, una mente (molto fantasiosa) sottratta alla Walt Disney, tentò di stravolgere il tennis adottando una formula similChampions League a gironi per i tornei, ma l’ideona gli procurò una raffica di contumelie. E gli costò il posto. Ora però a sparare sul format “antiquato” dello sport è nientemeno che la National Collegiate Athletic Association, ovvero la NCAA, la potentissima lega che governa tutto lo sport universitario americano, dal basket al football, dal baseball al tennis. Per il suo presidente Myles Brand i match di tennis fra College, che negli Usa sono una cosa seria, sono però anche «lenti» e «noiosi», e scoraggiano le tv. Soluzione: a partire dal 2014 terzo set ridotto a un super tie-break ai 10 punti, niente riscaldamento, cambio campo di 60 secondi (invece che 90) e un solo set per le partite di doppio.

Apriti Twitter. Molti tennisti, fra cui il top-10 americano John Isner (quello del match più lungo della storia), si sono ribellati usando come megafono i social network, la federtennis Usa ha disseppellito il manico di guerra. Ma la questione resta, e l’iniziativa dell’Atp dimostra che l’argomento è sensibile anche per i tennisti postlaureati che guadagnano decine di milioni di dollari all’anno. E che, fra l’altro, non si accontentano della paghetta allungata loro dai quattro «majors». Uno dei temi caldi di conversazione nei refrigeratissimi corridoi di Flushing Meadows, con il “sindacalista” Federer in testa, sarà infatti il possibile boicottaggio degli Australian Open. Forse lo Slam con meno appeal mediatico e che sconta una data poco gradita ai tennisti (seconda metà di gennaio), i quali gradirebbero più vacanze e come montepremi una fetta maggiore (oggi è attorno al 20 per cento) degli introiti degli Slam.

Wimbledon, Roland Garros e Us Open hanno già ritoccato la cifra quest’anno a Flushing saranno distribuiti complessivamente 25,5 milioni di dollari (1,9 a testa ai vincitori). Melbourne sta investendo molto in infrastrutture ma in futuro potrebbe pagare la concorrenza dei petroldollari del Dubai e di un circuito di tornei collegati in medio ed estremo oriente, che sul piatto metterebbero più pecunia e meno fusi orari del più periferico degli Slam. Infine, la tecnologia. I tetti retrattili degli Australian Open e di Wimbledon hanno già impresso una svolta indoor al Grande Slam – quest’anno Federer ha vinto a Church Road la sua settima finale, la prima della storia disputata al coperto -, nel 2017 anche il Roland Garros avrà un centrale dotato di tetto. E proprio a Parigi la Babolat ha presentato in primavera una racchetta dotata di sensori e in grado di valutare i parametri di ogni giocata (punto d’impatto, tipologia di colpo, potenza ed effetto) e suggerire la scelta migliore. Buon Us Open. E buon tennis futuro.