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 2012  agosto 25 Sabato calendario

IL METODO MAURO: CON NAPOLITANO MA ANCHE CONTRO

È davvero insuperabile come il tonno, quello degli spot in tivù, Ezio Mauro, il direttore di Repubblica, chiamato Topolino per la velocità un tempo mostrata nel lavoro da cronista. Insuperabile e dunque imbattibile per aver saputo sottrarsi alla diatriba sorta fra due super editorialisti del suo giornale, il cardinale Eugenio e monsignor Gustavo, al secolo Scalfari e Zagrebelsky. Ormai impegnati a duellare uno contro l’altro su un problema gigantesco: la trattativa fra lo Stato e la mafia. Un mistero che oggi dà esca all’indagine della Procura di Palermo, arrivata a lambire niente meno che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Nel duello fra le due eccellenze non si era compreso da che parte stesse Mauro. Lui taceva, forse inghiottito dalle vacanze in un paese lontano, si dice l’Alaska. Il suo silenzio aveva provocato una domanda di chiarimenti sempre più pressante. Il Foglio di Giuliano Ferrara si era deciso a ripresentarla ogni giorno. Chiedendo a Topolino se per caso non fosse schierato a fianco di monsignor Gustavo. E se anche lui ritenesse il Quirinale e il fondatore di Repubblica il perno di una sordida campagna di intimidazione nei confronti dei pubblici ministeri che cercano la verità sul rapporto fra uomini dello Stato e il vertice di Cosa nostra.
Ieri, finalmente, per mezzo di un editoriale sterminato, Topolino ha sciolto l’enigma. Lui sta con entrambi i suoi editorialisti. Sta persino dalla parte della Procura di Palermo, sia pure con qualche riserva sull’estremismo investigativo di Antonio Ingroia. Poi mettendo in mostra una straordinaria sapienza nel compiere la mossa del cavallo, ha scartato di lato e ha aperto il fuoco contro un altro quotidiano, il Fatto, guidato dalla coppia Padellaro & Travaglio.
Perché scatenarsi contro un giornale che ha un peso ridotto?Come ho constatato di persona nei tanti anni di lavoro a Repubblica, una vecchia regola di Scalfari recitava:«Non si deve mai aprire una polemica con una testata minore, bisogna attaccare soltanto chi è più forte di te». Mauro ha trasgredito questa norma astuta. E se lo ha fatto, significa che aveva un motivo più che buono per non osservarla.
Il motivo mi sembra chiaro: la concorrenza del Fatto nei confronti di Repubblica. La prima testata è assai più piccola del giornalone sotto il comando di Topolino. Però insiste sulla stessa area politica che è anche la medesima area di lettura. Entrambi i quotidiani si rivolgono a un Pubblico identico. È quello della sinistra più scaldata, senza se e senza ma, di derivazione girotondina con innesti radical chic. Una folla che, dopo aver combattuto per anni contro il cavalier Berlusconi, adesso sembra ammosciata dall’assenza di un nemico da abbattere.
Per la verità, il Fatto questo avversario lo ha trovato: è il presidente Napolitano, un bersaglio che più grande non si può. Repubblica, invece, traccheggia. Non può assalire il capo dello Stato perché una quota dei suoi lettori si ribellerebbe. Ma può farlo attaccare a metà, da monsignor Gustavo, e farlo difendere sempre a metà dal cardinal Eugenio.
Ma così agendo, Topolino non elimina del tutto il rischio di vedersi rubare qualche copia dall’imbarcazione pirata di Padellaro & Travaglio. E allora che tattica s’inventa la corazzata di Mauro? Decide che il Fatto non è un giornale di sinistra. Bensì l’organo di una nuova destra, assai più pericolosa di quella spompata del cavalier Berlusconi.
La scomunica di Topolino è apparsa ieri, al termine dell’editoriale che ho ricordato, dal titolo generico-furbesco: «Un giornale, le procure e il Quirinale». Tre parole che, lì per lì, mi scoraggiavano dall’affrontare la lettura. Un po’ come mi accade con i pezzi di Zagrebelsky. L’llustre giurista sarà pure un presidente emerito della Corte costituzionale, però ha una prosa capace di addormentare una rabbiosa squadra di rugby.
Ma Topolino è un giornalista con i controcazzi e sa come cucinare i piatti per i suoi lettori. Il bombardamento sul Fatto è davvero a tappeto, un’incursione da Fortezze volanti. Quel giornale rappresenta una destra persino più repellente di quella del Caimano. Una sentìna di tutti i vizi: «Zero spirito repubblicano, senso istituzionale sottozero, totale insensibilità ai temi del lavoro, della disuguaglianza e della emancipazione, delega alle Procure non per la giustizia, ma per la redenzione della politica, considerata tutta da buttare, come una cosa sporca».
Manca soltanto il plotone di esecuzione per le camicie nere del Fatto. Se ci fosse, la faccenda si chiuderebbe lì. Ma in Italia non esistono più le corti marziali, a parte quella della cosiddetta giustizia stile Federcalcio. Dunque l’anatema va reso pesante. E il giornale di Padellaro & Travaglio deve essere messo alla gogna anche per il suo stile canaglia.
Le accuse elencate da Topolino sono senza attenuanti: «Un linguaggio da Bagaglino, che deride i nomi degli avversari, scherzando con i loro difetti fisici, stilemi tipici di sempre della destra peggiore. Non quella di Montanelli, per favore,ma del Borghese degli anni più torvi».
I lettori giovani di Repubblica si chiederanno: «Ma questo Borghese che cos’era?». Una domanda più che legittima per chi non è un ultra sessantenne come Mauro. Era un settimanale di destra estrema. Diretto da un reduce della Repubblica sociale, Mario Tedeschi. E aveva come star una donna più aggressiva di tre maschi: Gianna Preda, una fascista iper faziosa, ma indimenticabile.
Nell’anatema di Topolino c’è anche un’imputazione colta. Il Fatto è colpevole di «calandrinismo», un vizio derivato da un personaggio del Decameron di Boccaccio. Era lo sciocco della coppia Buffalmacco e Calandrino. Scommetto che è stato Zagrebelsky a suggerirla. Soltanto un intellettuale come lui poteva ideare un capo d’accusa che piacerà un sacco ai piccoli Torquemada neo-staliniani di Libertà e giustizia, almeno a quelli laureati in lettere.
Lo stile da Bagaglino e il calandrinismo immagino siano riferiti a messer Travaglio. Ma Topolino si guarda bene dal fare nomi, cognomi e testate. È lo stile della Repubblica mauresca. Lo conosco bene. Il silenzio è la loro arma migliore contro avversari che debbono restare nel pozzo dell’anonimato. Allo stesso modo conosco alla perfezione l’arroganza di Mauro nel decidere chi è buono e chi è cattivo, chi è un giornalista per bene e chi una canaglia.
L’ho sperimentata ai tempi di un mio libro sulla guerra civile, Il sangue dei vinti. Mene sono infischiato e continuo a sbattermene. L’unica arma contro gli insulti repubblicani è quella di dimostrare che non ti fanno né caldo né freddo. E che Largo Fochetti, sede del supercomando di Topolino, non è la valle di Giosafat. Dove un piccolo padreterno di Dronero (Cuneo) raduna i peccatori per il giudizio universale.