Gilberto Oneto, Libero, 24/8/2012, 24 agosto 2012
SOLDI LA RIFORMA PREVIDENZIALE FA MALE AL NORD
Monti ci sta ossessionando con la “Spending Review”, la verifica dei conti di casa. Dietro al brutto inglesismo si nasconde però una triste verità: la Repubblica italiana non ha il controllo dei soldi, non sa esattamente da dove arrivino e che fine facciano o – peggio – non lo vuole dire per evitare imbarazzanti riflessioni.
Saperlo è impellente nei momenti di maggiore difficoltà economica, come quello che stiamo vivendo. E non serve neppure un esercito di professoroni, basta un po’ di gente di buon senso che sappia leggere le carte, sempre che le carte siano rese disponibili.
Della questione si era occupato nel 1995 il Ragioniere generale dello Stato Andrea Monorchio, che aveva redatto un “Quaderno Monografico” rimasto ad arredare gli studi situati ai piani più alti del Palazzo, di fianco al calendario dei Carabinieri. C’è da scommettere che abbia fatto la stessa fine: nessuno l’ha guardato e dopo un anno è “scaduto”.
Era un esame completo delle entrate e delle uscite dello Stato su base regionale, cioè un bilancio “regionalizzato”. Oltre che da esigenze di buon senso e correttezza, la cosa era sollecitata anche dal regolamento comunitario d’Europa (223/95) che impone agli Stati la tenuta di statistiche su base regionale. Ci ha riprovato nel 2006 Alberto Brambilla, allora sottosegretario del Welfare, sulla base di un ragionamento che non fa una grinza: «lo Stato è come una grande famiglia di 20 componenti (le Regioni); se qualunque famiglia mettesse i soldi nel cassetto senza alcuna contabilità e ciascuno dei suoi 20 componenti prelevasse a sua necessità, senza alcun controllo, tale famiglia (ma il concetto vale per qualsiasi azienda) fallirebbe!». Gran parte dei cittadini è probabilmente convinta che lo Stato segni su un calepino tutti i soldi che i suoi 20 famigliari mettono in cassa e prelevano per i loro legittimi bisogni. Invece non funziona così, non si conoscono i flussi di cassa e alla fine il bilancio comune va a rotoli. L’Italia ha un debito “famigliare” di oltre 1.900 miliardi e non si sa e non si vuole far sapere chi ha prelevato senza dare, chi ha speso assai più del necessario e del possibile.
Brambilla ha chiesto le carte, ha fatto un po’ di somme e di divisioni, ha verificato che ci sono Regioni che danno e Regioni che ricevono e ha dato alla sperequazione la sua giusta consistenza numerica: ha fatto nomi e cognomi di chi ficca le mani nel cassetto comune per mettere o per prelevare.
Lo ha fatto esaminando i conti previdenziali e i conti ordinari. La prima parte è stata relativamente più facile perché erano disponibili i dati dell’Inps degli ultimi 24 anni (dal 1980 al 2003), che costituiscono quasi un terzo dell’intero bilancio statale.
ITALIA DIVISA
La gestione dell’Inps è da tempo regionalizzata: si conoscono cioè le cifre delle entrate e delle uscite nelle varie ripartizioni territoriali. L’Inps gestisce quasi l’80% della previdenza complessiva e, con gli altri enti previdenziali pubblici supera il 96% di tutte le entrate previdenziali, e si avvicina al 98% delle prestazioni erogate.
Dei 94,62 miliardi di euro di entrate contributive del 2003, il 64,7% proveniva dalle regioni settentrionali, il 21,1% dal Centro e il restante 14,2% dal Meridione. Dei 131,7 miliardi erogati in pensioni, in Padania è andato il 53,8%, nel Centro il 19,2% e al Sud il 27%.
Il saldo nel 2003 presenta un disavanzo complessivo di 37,2 miliardi di Euro: quasi tutte le regioni hanno saldi negativi, salvo la Lombardia (+ 114 milioni di Euro) e il Trentino-Sud Tirolo (+ 20 milioni). Tutte le regioni meridionali hanno pesanti disavanzi in crescita: la Sicilia ha un saldo negativo di 5,7 miliardi, seguita dalla Campania con 5,1, e dalla Puglia con 4,8 miliardi.
Il Nord versa il 13,5 % in meno, il Centro il 21%, mentre il Sud versa ben il 62% in meno di quanto riceve in prestazioni. In termini assoluti, la Padania ha un disavanzo previdenziale complessivo di 9,627 miliardi (376 Euro a testa), il Centro di 5,343 miliardi (484) e il Mezzogiorno di 22,195 miliardi (1.071).
Il quadro non cambia molto analizzando il lungo periodo, fra il 1980 e il 2003.
Si può situare il primo deficit previdenziale nel 1979: prima di allora il sistema era in sostanziale equilibrio. Da quel momento ha cominciato a gravare sul bilancio nazionale contribuendo in forma determinante alla formazione del debito pubblico.
24 ANNI DI CALCOLI
I calcoli fra il 1980 e il 2003 mostrano un diverso comportamento fra le regioni: alcune (come la Lombardia) hanno costituito un attivo e altre un passivo anche notevole. Ripartendo il disavanzo per le tre aree, il Mezzogiorno con 20,6 milioni di abitanti produce il 67,8% del deficit totale (Sicilia, Campania e Puglia producono il 46% del debito totale); il Centro (11 milioni di abitanti) assorbe il 12,4%, mentre il Nord (25,8 milioni di abitanti) concorre per il 19,8%. Il Nord presenta un debito di 7 mila Euro per ogni cittadino; il Centro di 10 mila e il Sud di 31 mila.
Esiste anche una correlazione diretta tra saldi e la tipologia delle prestazioni in erogazione: vecchiaia, invalidità, superstiti e assistenziali. Dove prevalgono saldi positivi e tassi di copertura oltre il 70%, la maggior parte delle prestazioni sono di tipo “previdenziale” e quindi supportate da contributi realmente versati; dove i tassi di copertura e i saldi sono fortemente negativi prevalgono prestazioni di tipo “assistenziale”. La correlazione diretta è chiara nei due casi limite: in Lombardia per ogni 100 prestazioni erogate 59,4 sono di vecchiaia (di cui 24,2 di anzianità con circa 37 anni di contributi); 22,5 sono prestazioni ai superstiti, 5,7 di invalidità e solo 12,4 assistenziali. In Calabria su 100 prestazioni solo 31,2 sono di vecchiaia (di queste solo 4,7 sono di anzianità), 20,9 ai superstiti, 22,2 di invalidità e 25,6 assistenziali. I più recenti interventi “forneriani” contro le pensioni di anzianità (che sono collocate per nove decimi in Padania) sono perciò un ulteriore attacco al sistema previdenziale settentrionale e – di fatto – un altro forte elemento di sperequazione e di ingiustizia.
Come detto, non si hanno dati regionalizzati più recenti: quelli che riguardano il bilancio dello Stato nel suo complesso risalgono addirittura al 2001 e mostrano un pesante limite: i dati regionalizzati riguardano solo circa il 68% della spesa sostenuta e l’84% delle entrate. C’è perciò una vasta area grigia di non conoscenza: un 32% di spese e un 16% di entrate che sfuggono a ogni controllo perché passano direttamente dalla Tesoreria centrale o da quella del Lazio che li gestisce per conto di altre Regioni. Insomma esiste un bel margine di indeterminatezza che in qualche modo storpia il significato complessivo delle analisi e non è troppo malizioso ipotizzare che l’errore non vada a vantaggio delle regioni padane.
SPESA DELLO STATO
In ogni caso la ripartizione della spesa statale, al netto degli interessi sui titoli di Stato, avviene così: al Nord va il 34,8%, al Centro il 23,1% e al Sud 42,1%. Nel 2001 la spesa regionalizzata “conosciuta” (senza quel 32% che prende strade misteriose) è stata di 194,826 miliardi, la cui ripartizione più significativa è quella pro capite: 3.397 Euro come media nazionale, ma 2.660 in Padania, e 3.963 in Meridione.
La solfa non cambia nell’esame del periodo fra il 1994 e il 2001. É molto significativo il confronto con le entrate regionalizzate nello stesso periodo: dal Nord proviene il 57,2% del totale di Irpef, Iva, Irpeg e accise, contro il 20,3% del Centro e il 22,5% del Sud. I cittadini delle tre aree contribuiscono rispettivamente pro capite con 6.305, 5.182 e 3.057 euro. Una considerazione necessita il dato laziale, che ammonta al 9,7% circa delle entrate. Di queste però almeno il 40% è dovuto alla presenza delle istituzioni dello Stato e della maggior parte degli enti pubblici e delle autority, oltre che di un certo numero di altri enti che hanno sede fiscale nella capitale.
Questo significa che su un totale di 281.844 miliardi di entrate erariali nel 2001, al 57,2% padano va sommata la quota del gettito “romano” riferibile alle regioni settentrionali, arrivando al 59,5%.
Anche senza questa correzione, il saldo attivo del Nord (differenza fra quello che da sotto forma di tasse – contributi previdenziali esclusi – e quello che riceve) è di 93,4 miliardi. Il Centro attivo per 12,2 e il Sud passivo di 18,6 miliardi, nel senso che riceve più di quanto non dia.
BILANCIO GLOBALE
Se si sommano questi dati con quelli della gestione previdenziale si arriva a un bilancio complessivo regionalizzato che vede le regioni padano-alpine arrivare a un saldo complessivo di 58,793 miliardi, contro un passivo di 4,266 per il Centro e di 54,171 per il Sud. L’attivo padano può diventare 65 con la quota parte del dato laziale, e superare tranquillamente gli 80 se si considerano i “buchi neri” della statistica, il 32% delle entrate e il 16% delle uscite che non vengono inseriti nella regionalizzazione.
Cioè la Padania “regala” in solidarietà circa 80 miliardi allo Stato italiano ogni anno o - se si preferisce - fossero autonome, le regioni padane potrebbero disporre per le proprie necessità di altri 80 miliardi l’anno. Il dato è riferito al 2001: oggi è sicuramente molto superiore, sia in rapporto alla crescita dei numeri del bilancio statale, sia sulla base di un trend dimostrato dai numeri fra il 1980 e il 2001 che vedono le regioni settentrionali peggiorare lentamente e inesorabilmente il proprio rapporto del dare-avere.
Tutto questo ci porta ad alcune considerazioni finali, che si aggiungono alle solite sulla sperequazione Nord-Sud e sul peso del mantenimento dello Stato che grava quasi completamente sulle spalle dei contribuenti padani.
Nel 1980 il debito pubblico era di circa 118 miliardi e su di esso ancora non incideva la spesa previdenziale fuori controllo. Nel 2011 ha raggiunto i 1.898 miliardi, con un incremento di 1.780 miliardi, e cioè di circa 57 miliardi l’anno. Nel 2001 il passivo del Meridione è stato di 54,171 miliardi al netto degli interessi (altrimenti sarebbe stato 77,695), che può essere ipotizzato almeno attorno ai 60 applicando specularmente gli stessi correttivi già visti per il Nord. Quell’anno il debito pubblico era cresciuto di 58 miliardi. Non serve essere laureati alla Bocconi per associare immediatamente le due cose: il debito pubblico è il risultato dell’arretratezza del Mezzogiorno e del suo mancato contributo al bilancio comune. Si trovano lì i famigliari (o i condomini) che prelevano soldi dal cassetto.
Infine serve ragionare sulla riluttanza – di cui si è detto in apertura - dello Stato a fornire i conti, a compilare un bilancio regionalizzato. Non si vuole fare conoscere quanto versano e quanto prelevano i famigliari per evitare che qualcuno di loro sia finalmente costretto a una condotta di vita più virtuosa? Si tengono nascosti i numeri, non si mostrano i dati regionalizzati per salvare l’armonia famigliare? Ma così è l’intera famiglia che va in malora. O forse è per patriottismo che non mostrano i conti. Hanno paura per l’unità. Fanno bene.