Francesco Grignetti, La Stampa 27/8/2012, 27 agosto 2012
Le idee, dice Paola Severino, «ci sono». Dalle norme per combattere la corruzione al tentativo di smaltire l’arretrato civile, dalle nuove regole sulle intercettazioni alla codificazione delle lobbies
Le idee, dice Paola Severino, «ci sono». Dalle norme per combattere la corruzione al tentativo di smaltire l’arretrato civile, dalle nuove regole sulle intercettazioni alla codificazione delle lobbies. Soluzioni tecnico-giuridiche ai problemi di cui sopra, lei le avrebbe. «E mi dispiacerebbe molto - dice il ministro della Giustizia - se si sprecasse un’occasione in cui, noi e i parlamentari, abbiamo lavorato tanto». Ma se poi non si riuscirà a superare i veti incrociati, le dinamiche di partito, gli effetti di una campagna elettorale che è alle porte, e quindi se sulla giustizia la macchina delle riforme s’arresterà, beh, non dipende da lei. E quindi, rispondendo anche alle sollecitazioni della vicepresidente della Commissione europea con delega alla Giustizia, Viviane Reding, dice: «Se i problemi non sono solo tecnici, ma politici, bisogna sempre considerare che questo governo è sostenuto da una pluralità di partiti ed è chiaro che senza un’intesa politica complessiva, senza un’ampia intesa che travalica anche il ruolo del singolo ministro, i progetti non possono andare avanti». Proprio dall’Europa ci giungono sollecitazioni a procedere con le riforme. La Reding, in un’intervista ad «Avvenire», ci critica severamente: tra corruzione, processo civile lento e burocrazia inefficiente, l’Italia è un ambiente «poco amichevole» per le imprese. Quando lei richiama tutti allarealtàdiunmaggioranzacomposita e quindi di un percorso decisionale faticoso, è alla Reding che risponde? «Anche, pur precisando che il tono delle sue dichiarazioni mi sembra di forte e costruttivo stimolo. Devo anzi aggiungere che con la commissaria Reding è nata una stima reciproca nel corso di tanti incontri nelle sere che precedono i nostri vertici di ministri europei della Giustizia, e che quindi so quanto apprezzi la capacità italiana di offrire contributi all’elaborazione comune di norme importanti quali, ad esempio, la confisca di proventi illeciti. D’altra parte, è verissimo che il nostro processo civile è un malato al quale abbiamo dedicato già molte cure, ma che ha bisogno di riceverne ancora». A che cosa pensa? «In questi mesi abbiamo già preso decisioni importanti. Ricordo il filtro in appello: in prospettiva ci permetterà di non accumulare più arretrati. Ma occorre anche aggredire l’arretrato esistente. Abbiamo già cominciato a ragionare con le categorie interessate, intendo i magistrati e gli avvocati, sulle possibili soluzioni. L’idea è creare delle task-force da dedicare ai fascicoli pendenti da più tempo. Un’ipotesi è formare dei gruppi di lavoro composti da un magistrato e due avvocati. Abbiamo fatto delle simulazioni: se applicassimo 200 persone a smaltire le cause in appello che sono in attesa di decisione da oltre tre anni, calcolando 40mila sentenze l’anno, impiegheremmo cinque anni per azzerare l’arretrato complessivo. Con lo stesso metodo, impiegando 30 unità al lavoro in Cassazione, occorrerebbero dieci anni. E’ chiaro che se aumentiamo le persone disponibili, diminuiscono i tempi. Vedremo, anche perché al problema del numero dobbiamo far precedere quello della qualità». Intanto, ministro, in Europa ci chiedono conto della lotta alla corruzione. «Guardi, non è un caso se al termine del Consiglio dei ministri di venerdì abbiamo concordemente ribadito che l’approvazione del ddl al Senato è una “priorità” del governo». La sorte dell’Anti-corruzione sembra legata inestricabilmente a quella del ddl Intercettazioni. Come sciogliere un nodo così aggrovigliato? «Io ritengo che i problemi tecnici siano tutti ragionevolmente risolvibili. Se in Parlamento si ritiene che il testo sull’Anti-corruzione possa essere migliorato, ci sono tanti modi. Quel testo è giunto a metà del proprio cammino e ritengo naturale che il governo lo voglia portare a compimento, tanto più per le evidenti ricadute sull’economia. Quanto alle intercettazioni: precisato che il testo pendente è stato votato già in alcune parti da Camera e Senato, e che alcune parti di esso sono ampiamente condivise, va risolto laicamente il problema se ripartire da quel ddl o confluire in un testo nuovo. Decisione politica, com’è evidente. Ma nell’uno come nell’altro caso siamo molto avanti, grazie anche al contributo del confronto svolto con i responsabili dei partiti che sostengono il governo. D’altra parte, considero un esempio di confronto costruttivo proprio il reato di traffico delle influenze illecite, rimodulato in commissione Giustizia alla Camera». A proposito, annunciate al più presto unaregolamentazionedellelobbies.E’ così necessaria? «Assolutamente. A parte il fatto che il governo si è impegnato con un ordine del giorno a regolamentare il fenomeno, io lo vedo come il necessario completamento di una fattispecie. Se da un lato definiamo un nuovo reato, che è il traffico di influenze illecite, dall’altro è giusto codificare quali sono invece le influenze lecite. Sono due facce della stessa medaglia ed è opportuno non lasciare zone grigie, margini di ambiguità». E siccome il Pdl aveva molto insistito su questo margine di ambiguità che avrebbe lasciato troppo spazio interpretativo alla magistratura... «Diciamo che una regolamentazione del lobbismo ci allinea alla normativa europea. E creando regole comuni in materia di rapporti economici, indirettamente aiutiamo anche la crescita. Chi ha regole difformi, o peggio nessuna regola, rischia di restare ai margini della competizione economica e degli investimenti stranieri».