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 2012  agosto 26 Domenica calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - LE NOVITA’ PER IL SISTEMA SANITARIO


REPUBBLICA.IT - INTERVISTA A BALDUZZI DI
GIOVANNA CASADIO
ROMA - Il governo Monti ha deciso di privatizzare la sanità, ministro Balduzzi?
"Fintanto che sarò io il ministro non ci sarà privatizzazione della sanità. Del resto nel governo nessuno ha messo in discussione questa linea".
Tuttavia il comunicato del consiglio dei ministri durato venerdì nove ore, è chiaro: parla di "creare nuovi spazi per le iniziative private attualmente bloccate da una presenza pubblica invadente" e fa l’esempio della sanità.
"Non ci mettiamo a interpretare un comunicato. Nove ore sono servite a discutere di cosa ciascun ministero può fare per la crescita, non ci sono stati dissapori. Anche se abbiamo idee diverse, non essendo competitor l’uno rispetto all’altro, non ci bisticciamo. La discussione è stata lunga forse perché siamo un po’ matti e appassionati...".
Ministro, per la sanità sono previste liberalizzazioni, ad esempio meno vincoli all’attività privata dei medici del pubblico?
"La nostra linea di politica sanitaria è quella di confrontarsi con le corporazioni e le lobby ma di non farsene automaticamente condizionare. Liberalizzare è non sottostare alle volontà protezionistiche delle categorie. Per quanto riguarda l’attività cosiddetta intramoenia cioè quella libero-professionale dei medici che lavorano nel pubblico - che in alcune regioni non è stata regolata - puntiamo a creare trasparenza, un collegamento in rete con l’azienda sanitaria, così che non è importante dove la si fa, bensì che sia tracciabile, che non sia un modo per scavalcare le liste d’attesa, che si sappia quanti pazienti vedi, e il guadagno dei medici. Se questo è liberalizzare la sanità, bene la stiamo liberalizzando. Però il pubblico è regolatore".
Insomma c’è un progetto di privatizzazione della sanità o no?
"Ma siamo matti. Abbiamo una delle migliori sanità del mondo, in cui il privato sta dentro le regole del servizio sanitario pubblico. Cosa vorrebbe dire aprire al privato: far pagare di più? O finanziarie in altro modo il servizio sanitario nazionale chiedendo ai cittadini più ricchi di sottoscrivere un’assicurazione sanitaria? Il mio programma è un altro: che tutto sia nella massima trasparenza perché la si smetta di giocare alle spalle del servizio pubblico. Dopo di che, ci sono aperture al privato ma nel senso di partnership pubblico-privato nell’edilizia sanitaria, per esempio".
Il nostro welfare sanitario è anche una voragine di soldi pubblici, con un record di disservizi soprattutto al Sud.
"Al tempo. La spesa pubblica italiana in sanità è sotto la media europea, il sistema è stato in grado di tenere. Che ci siano sprechi e inefficienze è la ragione per cui abbiamo fatto la spending review e io l’ho appoggiata, e sono anche stato attaccato".
E ci sarà un’altra revisione della spesa per la sanità?
"Non faremo un’altra spending review sulla sanità, ma dobbiamo pensare ad attuare quella che è stata fatta. La voragine poi è tale fino a un certo punto, non si può fare di tutti gli sprechi un fascio, questi vanno colpiti dove ci sono inefficienze, e ci sono anche nelle regioni virtuose come Emilia Romagna, Toscana, Lombardia, Veneto, Marche e Umbria".
Retrocederà sulla tassa sulle bibite?
"E’ un’ipotesi. Non ne abbiamo parlato in Cdm. Non è la mia linea del Piave, però la trovo ragionevole: 3 centesimi in più a bottiglietta sono un segnale ai consumatori, alle mamme e ai papà per un comportamento alimentare più idoneo. Ne ricaveremmo 250 milioni di euro, che non è una cifra irrilevante. Potrebbero essere destinati al fondo per le non autosufficienze o a livelli di assistenza essenziale"
C’è molto nel decretone sulla sanità. Immagino che lei vorrebbe che il suo programma sanitario prosegua dopo le elezioni?
"Il governo Monti ha aperto alcune linee, ha dato i binari che potranno essere percorsi dal prossimo governo. Siamo consapevoli dell’orizzonte temporalmente limitato del nostro esecutivo".
E il suo impegno politico continuerà?
"Questo poi si vedrà".
(26 agosto 2012)

DUE COMMENTI DAL BLOG DI GUGLIELMO PEPE

Noi&Voi
Guglielmo Pepe
di Guglielmo Pepe
26
ago
2012
La sanità di Balduzzi, ombre e luci

Il decreto sanità anticipato da Repubblica e l’intervista al ministro Balduzzi, disegnano un nuovo scenario per la salute degli italiani. Alcune proposte sono decisamente interessanti, altre lacunose, altre ancora decisamente sbagliate.
Gli ambulatori medici aperti H24 in associazione tra camici bianchi, il telelavoro, i criteri di nomina dei vertici delle strutture, sono in effetti novità rilevanti.
Sulle nomine c’è da sperare che il criterio dei curriculum riesca a far superare i metodi spartitori – delle direzioni sanitarie e a volte anche di reparto – che hanno funestato la nostra sanità. Ben venga dunque la trasparenza, se riuscirà davvero ad imporsi.
Anche il taglio del prontuario che vuole favorire il ricorso ai farmaci equivalenti, come avviene da anni in altri Paesi, va nella giusta direzione.
Ma la “santificazione” dell’intramoenia è, secono me, un errore. Come abbiamo denunciato più volte, finora l’attività privata riconosciuta ai medici pubblici, ha favorito la creazione di situazioni scandalose, assolutamente fuori controllo, di zone nere di evasione fiscale. Non è stato dappertutto così, ovviamente. Adesso si vuole porre fine ai trucchetti, per rendere il lavoro più trasparente. Ma per avere tutto sotto controllo, le Asl dovranno sostenere delle spese. Alla fine l’intramoenia converrà soltanto ai medici, istituendo per sempre una forma di privatizzazione della professione all’interno del sistema pubblico. A parte che in altri paesi l’intramoenia non esiste, l’aspetto più preoccupante è che la sua regolamentazione non risolverà il più grave dei problemi della sanità italiana: le liste di attesa.
Ministro Balduzzi, le liste di attesa sono una vergogna nazionale, un vero disastro, sul quale si sono spese mille e mille parole da parte delle Regioni, ottenendo però solo piccoli progressi. Io, da una rivoluzione sanitaria, mi aspetterei in primo luogo l’abbattimento vero delle insopportabili attese che costringono le persone a pagare, se possono, o a rinviare gli esami necessari. Rinvii che possono significare l’aggravamento di una malattia.
Ministro Balduzzi, come lei sa benissimo, un altro problema che riguarda milioni di persone è la non autosufficienza. È mai possibile che non si riesca a finanziare in modo decente il fondo ad hoc, e che per trovare i soldi bisogna inventarsi una sorta di “tassa di scopo”? Stavolta dovrebbero essere i grandi consumatori di bibite gassate a sostenere i vecchietti non autosufficienti. Ma si può? A parte che la cifra ipotizzata (250 milioni di euro) sarebbe troppo esigua, non capisco perché devono essere tassati tutti quelli che ogni tanto vogliono bere una Coca-cola. Allora si tassi anche il vino, visto che molti sostengono che berne più di un bicchiere al giorno può far male. E si tassino anche le patatine fritte e gli hamburger. Suvvia, se si vogliono rastrellare soldi è un conto, ma non è questa la strada per una buona educazione alla salute.
Bene la parte sulle sperimentazioni­, se si riuscirà a snellire i tempi e a semplificare la ricerca, e bene anche la regolamentazione per re­gi­stra­re i far­ma­ci omeo­pa­ti­ci. I ta­gli di al­cu­ni en­ti sa­ni­ta­ri, le cui fun­zio­ni sa­ran­no tra­sfe­ri­te al mi­ni­ste­ro, sembrano invece dettati dalle necessità del risparmio. Ma è da vedere meglio cosa accadrà.
Infine un’osservazione. Se è vero che come spesa sanitaria siamo sotto la media europea complessiva, ma non pro capite, il ministro Balduzzi dimentica la spesa privata, quella sostenuta direttamente dai cittadini non solo per scelta, ma anche per necessità a causa delle inefficienze del Ssn.
Comunque leggeremo il decreto quando verrà presentato in forma definitiva. Al momento c’è da dire che contiene molti luci, ma anche molte, troppe ombre.

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16
ago
2012
Un’Italia più equivalente

Inizia l’era italiana del farmaco generico, oppure detto equivalente e comunque senza il nome di marca? Staremo a vedere. Il fatto certo è che da adesso in poi – in base alle norme previste sulla spending review – i medici dovranno prescrivere nella ricetta rosa il farmaco generico e il farmacista dovrà dispensare quello meno costoso. Ma attenzione: il camice bianco ha comunque la possibilità di indicare un farmaco preciso – di marca – se ritiene che non sia sostituibile. In ogni caso la regola non sarà applicata alle terapie già in corso con medicinali “griffati”.
Contro questa decisione del governo si oppongono duramente i medici, gli industriali del farmaco e i farmacisti. E ognuno ha buone ragioni per protestare: i medici perché ritengono che in tal modo viene messa in discussione la loro autonomia professionale e prescrittiva, le aziende perché si riducono e non di poco i loro margini di profitto (e, come ho già scritto, va tenuto presente che i posti di lavoro in questo settore sono calati di circa il 15 per cento finora), i farmacisti per solidarietà con gli altri, anche se la loro rabbia risale alla revisione della pianta organica dei punti vendita per numero di abitanti.
Eppure hanno torto tutti: medici, industriali e farmacisti. Perché è soprattutto loro la responsabilità di questa situazione.
La normativa sui generici risale al 1965 però in Italia è stata recepita soltanto nel 1991. Da allora siamo rimasti in coda in Europa nel consumo di questi medicinali: appena il 13 per cento del totale dei farmaci venduti. Contro quasi il 70 per cento della Germania. Per non dire degli Usa, dove si arriva al 90 per cento.
Allora, domando: i pazienti tedeschi sono di bocca più buona degli italiani? Oppure sono più informati e si fidano anche dei generici, che di solito vengono prodotti da aziende di solito nate da qualche “costola” delle multinazionali?
E i medici tedeschi perché non si sentono vittime di “lesa maestà” professionale quando prescrivono i generici? Sono meno preparati dei nostri? Oppure meno accondiscendenti?
E le aziende italiane, sapendo che ormai di farmaci nuovi ne escono sul mercato davvero pochi, e che quelli a scadenza di brevetto erano la maggioranza, perché non si sono organizzate per tempo, adeguando la filiera produttiva alle nuove necessità?
La realtà è che mantenere forte la domanda e l’offerta sui prodotti “firmati” ha fatto comodo a molti, e che in Italia per decenni ha resistito un patto (talvolta truffaldino, come confermano i troppi scandali farmaceutici), per mantenere lo status quo.
Però era evidente da tempo che la situazione non poteva durare più a lungo. Soprattutto dalla nascita dell’Unione Europea, era chiaro che ogni Paese si sarebbe dovuto allineare, in tutti i campi.
Noi siamo gli ultimi nei generici e di fronte ad una spesa sanitaria tra le più alte, come non pensare che prima o poi si sarebbe intervenuti con decisioni nette anche sulla produzione e distribuzione dei farmaci? La mancanza di una visione strategica, l’incapacità di vedere cosa accade oltre frontiera, mostrano adesso tutti i loro limiti.
Non sono certo io a dire che se spendiamo troppo, è colpa dell’industria farmaceutica, che anzi ha già dato molto. Come sono convinto che i tagli devono, dovranno essere più massicci laddove la spesa sanitaria viene gestita da regioni, assessorati, direzioni sanitarie. Ma chiedere questo non significa che la norma sui generici sia sbagliata. È esattamente il contrario: perché questa novità rappresenta un altro passo per rendere l’Italia più “equivalente” rispetto all’Europa.

PEZZO DI REPUBBLICA DI STAMATTINA
La fine della libera professione introamoenia negli studi privati, il taglio dal prontuario dei farmaci costosi per cui esistono prodotti equivalenti, i medici di famiglia 24 ore su 24, le tasse sulle bibite e fondi per la sanità ricavati dalle multe per chi vende sigarette ai minori di 16 anni. Nel decreto "Sanità e sviluppo" che andrà in consiglio dei ministri venerdì c´è di tutto: misure che incidono sull´organizzazione del sistema sanitario e sull´attività professionale dei dottori, che cambiano le procedure per la sperimentazioni dei farmaci e il sistema di nomina dei dirigenti. Addirittura viene riconosciuta una nuova malattia: la ludopatia.
Il ministro Renato Balduzzi, dopo le disposizioni di spendig review sanitaria, condensa mesi di lavoro in un provvedimento di 27 articoli e oltre 40 pagine. Lo ha già presentato alle Regioni, che su alcuni punti hanno avuto da ridire e che saranno consultate ancora una volta prima dell´approvazione.
Il decreto è diviso in quattro parti. La prima riguarda l´organizzazione e contiene la norma sull´intramoenia, cioè la libera professione svolta in accordo con la propria Asl, che determina le tariffe e gestisce le prenotazioni. Fino ad oggi visite o interventi si potevano fare anche all´esterno, negli studi dei professionisti o comunque presso strutture private. Entro fine anno i medici dovranno lavorare in ambienti delle Asl o da queste comprati, affittati oppure convenzionati. Nel terzo caso dovranno appartenere ad un soggetto pubblico. I medici faranno una sorta di "telelavoro", attraverso il loro computer comunicheranno l´attività svolta all´azienda. In questa parte del decreto c´è il provvedimento che obbliga i medici di famiglia ad aderire a forme associative, anche con altri professionisti (pediatri, guardie mediche, infermieri). L´idea è quella di avere dei maxi studi aperti 24 ore al giorno. Poi arriva una novità. Per nominare i vertici Asl, come i direttori, e in generale i dirigenti, andranno stilate liste per titoli degli abilitati da cui le Regioni dovranno pescare. Le nomine dovranno essere trasparenti. Un´altra norma prevede un finanziamento per pagare i danni alle persone danneggiate da trasfusioni.
La seconda parte del decretone contiene misure per la promozione di corretti stili di vita. Si prevede una revisione dei Lea, i livelli essenziali di assistenza, cioè le prestazioni che tutte le Regioni devono assicurare ai cittadini. E´ qui che si indica una nuova malattia, la ludopatia. Saranno create strutture per chi soffre di questi problemi e i beni di chi accetterà di curarsi saranno impignorabili. Poi c´è la norma che prevede tasse per i produttori di bibite gassate e zuccherate e superalcolici, nel primo caso 7,16 euro e nel secondo 50 euro ogni 100 litri venduti. I circa 250 milioni di euro recuperati finanzieranno il fondo per le non autosufficienze. Finiranno al sistema sanitario anche le sanzioni per chi vende sigarette ai minori di 16 anni, che vanno da 250 a 2mila euro.
Nella terza parte si affrontano questioni legate ai farmaci. Intanto verrà sfrondato il prontuario farmaceutico. Saranno eliminati prodotti inutili o che comunque troppo cari rispetto a medicinali dall´identico principio attivo. Allo stesso tempo promuoverà l´utilizzo di farmaci innovativi e si faciliterà la distribuzione degli emoderivati. Riguardo alle sperimentazioni cliniche in questo settore, si trasferiranno tutte le competenze all´Aifa, cercando di rendere più omogeneo un percorso oggi rallentato da varie norme e soprattutto dal proliferare di comitati etici. Infine si semplificheranno le procedure per registrare i farmaci omeopatici. Nell´ultima parte del decreto si dispongono i tagli di alcuni enti sanitari, le cui funzioni saranno trasferite al ministero.

INTERVISTA DI BALDUZZI AL MESSAGGERO (19/8) SUI FARMACI EQUIVALENTI
DI DONATO PIRONE
di Diodato Pirone
ROMA - L’hanno chiamata la «rivoluzione rosa di Ferragosto». L’inusuale decisione di cambiare nel pieno delle ferie le regole per le prescrizione dei farmaci sulla ricetta rosa ha suscitato le proteste dei medici e la sorpresa di molti pazienti. Già perché dall’altro ieri è entrata in vigore la norma del decreto sulla revisione della spesa pubblica (la cosiddetta spending review) che obbliga i medici a scrivere sulla ricetta il principio attivo del farmaco. Il medico però può scrivere anche il nome commerciale che diventa obbligatorio per il farmacista solo se il dottore ne dà una specifica motivazione scritta nella ricetta.
L’obiettivo dell’operazione è chiaro: incentivare il consumo di farmaci «non firmati», noti come equivalenti o generici, per i quali l’Italia occupa uno degli ultimi posti nel mondo. E per questa via ridurre la spesa farmaceutica a carico dello Stato. Ma i pazienti? Accetteranno questa svolta così improvvisa? Gli anziani rinunceranno alla compressa cui sono abituati magari da anni per un’altra dal nome sconosciuto? Il Messaggero lo ha chiesto al ministro della Sanità, Renato Balduzzi.
Ministro, ma era proprio necessario avviare un’operazione così delicata nel cuore dell’estate?
«Questo intervento è stato inserito in un decreto più ampio riguardante la spesa pubblica. La norma è scattata a Ferragosto assieme all’entrata in vigore di tutti gli altri articoli. Quindi comprendo qualche lamentela ma devo dire che dall’approvazione del decreto in Senato è passato circa un mese. La norma era già chiara e nel frattempo ogni eventuale dubbio è stato eliminato da una circolare del ministero»
Però le polemiche non mancano. I medici ad esempio lamentano di non aver avuto il tempo di aggiornare i loro computer e dunque di essere costretti a tornare alla scrittura a mano delle ricette...
«Qualsiasi cambiamento finisce per creare disagio. E capisco l’effetto psicologico che può determinarsi in alcune fasce di pazienti. Però non esagererei. Di fronte a qualche difficoltà, nel nome dell’alleanza fra medico e paziente è essenziale puntare ad un approccio persuasivo per la risoluzione dei problemi. E’ importante che la nuova norma venga applicata con saggezza ed equilibrio. Ma quello che deve essere chiaro fin da subito è che non voglio neanche pensare lontanamente a forme di boicottaggio di questa operazione. Il governo è deciso ad agire con determinazione».
Che vuol dire?
«Beh, ripeto che la norma è chiara. Dunque è consentito al medico obbligare il farmacista a consegnare un farmaco commerciale solo di fronte ad un problema di salute specifico. Ancora: non è permesso scrivere sulla ricetta un farmaco specifico dicendo che lo chiede il paziente. Reazioni del genere non avrebbero senso».
Ma che cosa ci guadagnano le famiglie italiane dalla rivoluzione delle ricette?
«Secondo le nostre stime, acquistando farmaci dal brevetto scaduto invece che quelli equivalenti le famiglie italiane spendono circa 800 milioni in più ogni anno. Ricordo che già ora il sistema sanitario nazionale rimborsa a chi acquista un farmaco con il brevetto scaduto solo il costo di quello equivalente».
E allora qual è il vantaggio per lo Stato?
«Nel medio periodo la domanda dei farmaci equivalenti aumenterà e questo consentirà alle case produttrici di abbassare ulteriormente i prezzi alleggerendo la spesa del Servizio sanitario nazionale. E’ successo così in tutto il mondo e succederà così anche in Italia».
E’ vero che in Europa e in molti Paesi extraeuropei i medici sono già obbligati a scrivere sulla ricetta solo il principio attivo e non un farmaco specifico?
«E’ assolutamente così, e da molti anni, un po’ in tutto il mondo».
Ma davvero i pazienti non hanno nulla da temere?
«I farmaci equivalenti non sono un’invenzione di questo Ferragosto. Comunque dal provvedimento sono esclusi i malati cronici che già assumono farmaci specifici».
Che messaggio vuole lanciare ai medici?
«Ai medici di famiglia dico di non guardare indietro, di essere propositivi. Di non attardarsi sul problema del principio attivo».
E alle industrie del settore?
«Anche loro sbaglierebbero a investire nuove risorse nella promozione di farmaci con brevetti scaduti. Le nostre imprese farmaceutiche, che sono importantissime per lo sviluppo del Paese, devono guardare avanti in un quadro di collaborazione. L’intero comparto è chiamato a spostare risorse sull’innovazione. Questo è il passaggio da affrontare».
Insomma lei pensa che eliminando «l’abitudine» ad indicare farmaci specifici il sistema sanitario italiano migliorerà?
«E’ il nostro obiettivo. In futuro vorremmo spostare parte delle risorse destinate ai farmaci equivalenti su voci più innovative. Il sistema sanitario italiano è sempre considerato fra i migliori del mondo ma non può certamente dormire sugli allori».

LA HEALTH TAX DI EUGENIO BENETAZZO
Voglio ritornare su un argomento di cui mi sono fatto unico proponente in Italia e che ha scatenato critiche ed apprezzamenti in ugual misura, tanto a destra quanto a sinistra: l’istituzione della Health Tax, che ho suggerito con l’intento innanzi tutto di sopprimere a livello pratico la tanto odiata e denigrata IRAP, sostituendo il gettito fiscale che questa generava con il ricorso ad una nuovo prelievo fiscale che colpisca esclusivamente i contribuenti fisici (non quindi le aziende che generano occupazione). Iniziamo con il dire che la maggior parte delle critiche (ed anche insulti) che sono arrivati presupponevano che si trattasse meramente di una nuova imposta che colpiva quanto e come si mangia. Solo una nuova tassa da aggiungere alle altre. Niente di più fuorviante. La Health Tax che in molti altri paesi (soprattutto nell’area scandinava) è via di definizione e concezione presuppone due elementi sostanziali: la sostituzione di un imposta (e non l’introduzione di una nuova) mutandone il soggetto colpito e la responsabilizzazione dei contribuenti al fine di limitare il più possibile l’onere della spesa in assistenza sanitaria per gli anni a venire a fronte di una razionale politica di contenimento degli interventi dello stato sociale.
La ratio che regge l’introduzione di questa nuova imposta punta a creare una diminuzione istantanea della pressione fiscale che colpisce la piccola e media impresa (caratterizzata soprattutto da elevata intensità di manodopera) ed al tempo stesso nel creare i presupposti per abbattere la pressione fiscale anche per i contribuenti fisici negli anni a venire potendo contare sulla contrazione della spesa per l’assistenza sanitaria. Cominciamo subito con il dire che la maggior parte delle critiche sono state formulate sulla base di un profondo misunderstanding: la Health Tax non presuppone la cessazione dello stato sociale riguardo alla possibilità di fruire di cure e ricoveri che oggi fanno parte di questa forma di tutela e protezione sociale. La Health Tax mira a creare i presupposti affinchè questa fruibilità sia oggettivamente meritoria e non banalmente di stampo assistenziale, in modo da penalizzare i contribuenti che con il loro stile di vita (alimentare e sedentario) producono le condizioni per generare più avanti nel tempo dei costi a carico della fiscalità diffusa che non rispecchiano le finalità ed il modello di intervento dello stato sociale.
Un esempio pratico val più di mille parole: se cadete da una impalcatura mentre state lavorando, lo stato sociale interviene e si fa carico delle cure necessarie alla vostra guarigione o se sfortunatamente concepite un figlio con diversa abilità, lo stato sociale si prende cura di lui. Viceversa, se soffrite di diabete perchè siete in abbondante sovrappeso per il vostro regime alimentare sconsiderato o ricevete una diagnosi di tumore ai polmoni perchè siete un fumatore accanito, anche in questo caso lo stato sociale interviene, ma esige che gran parte della prestazione sia a carico dello stesso contribuente in quanto il suo comportamento poco coscienzioso produce un aumento della spesa sanitaria che grava sulla fiscalità del paese. In Italia si spendono circa 115 miliardi all’anno per cure, degenze, medicinali e terapie varie, un costo sociale che cresce nell’ordine del 3/4% all’anno: solo con una profonda opera di responsabilizzazione a monte dei contribuenti attraverso imposte come la Health Tax è possibile prima invertire il trend di crescita e dopo produrre con il tempo un sostanziale contenimento di questo capitolo di spesa.
Ricordate che solo il 25% dei contribuenti italiani beneficia di questa spesa, il restante 75% lavora e paga le tasse che servono anche a sostenere le spese e gli oneri per un’assistenza sanitaria priva di merito e conclamata urgenza. La quasi totalità degli italiani è troppo ben abituata (pensate agli anziani che fanno a gara a farsi prescrivere scatole su scatole di farmaci per patologie diventate ormai croniche) e con il passare del tempo ha dimenticato la vera essenza dello stato sociale, confondendola con quella generica di assistenzialismo di stato. Il risanamento del nostro paese soprattutto per la dinamica evolutiva che avranno i conti pubblici della spesa sanitaria presuppone un radicale cambio di cultura ed atteggiamento, puntando a responsabilizzare tanto i medici di base quanto i contribuenti stessi. Quanto sopra rappresenta sicuramente una proposta antipopolare che nessun politico proporrà mai, tuttavia necessaria se si desidera veramente contenere la pressione fiscale in un paese caratterizzato da una popolazione sempre più anziana. Termino ringraziando tutti quelli che mi hanno invece elogiato per quanto proposto, e anche se non ci crederete, pensate che i maggior apprezzamenti sono arrivati proprio da medici, dipendenti di ospedale ed ex informatori scientifici, a dimostrazione quindi che solo chi lavora dentro la pancia della balena si rende conto dove è possibile intervenire non solo per risparmiare sul piano fiscale, ma anche per avere una nazione con una popolazione più sana e maggiormente predisposta alla prevenzione delle malattie.