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 2012  agosto 23 Giovedì calendario

«In fondo al bicchiere ho finalmente trovato la vera letteratura» - Californiano di quarta ge­nerazione

«In fondo al bicchiere ho finalmente trovato la vera letteratura» - Californiano di quarta ge­nerazione. Una rarità. Una biografia che sem­bra un road movie ( «Ma non infilatemi in nessuna delle cate­gorie che riguardino il fottuto Ke­rouac »: i suoi miti sono Hubert Sel­by e Eugene O’Neill). Le idee preci­se riguardo a New York, la mecca do­ve cercò fortuna: «Il miglior posto al mondo dove perdersi e rimanere perduti». E riguardo a Los Angeles, in cui tornò per fare il taxi driver: «Qualcuno mi ha offerto un portafo­gli pieno e un attacco di emorroidi per tornarci. Ma delle emorroidi me lo ha detto solo quando era troppo tardi per rifiutare». Ma con un padre che ha un nome e un carattere ingombrante come John Fante, le idee chiare su una se­rie di cose devi pur averle. E a Dan Fante, unodeisuoiquattrofigli, clas­se 1942, scrittore come John e, sem­pre come John, di quel tipo partico­lare che si definisce «di culto», le idee si sono snebbiate del tutto solo quando ha smesso di bere. Finché beveva, sentiva dentro di sé la forza della follia. Quando ha smesso, ha cominciato a sentire quella del ta­lento. Ha pubblicato Chump Chan­ge , Mooch , Spitting off tall buildings , tre romanzi che hanno come prota­gonista Bruno Dante, suo alter ego, come Arturo Bandini lo era del pa­dre ( Angeli a pezzi , Buttarsi e Aggan­ci sono pubblicati in Italia da Mar­cos y Marcos), Short dog , raccolta di racconti, diverse raccolte di poesie e commedie, tra cui una, Don Gio­vanni , dedicata al padre (anch’essa pubblicata da Marcos y Marcos). Nel ’99,alla sua prima visita in Ita­lia per il Festival di Mantova, Fante ha voluto vedere il paese da cui il nonno, Nick, nel 1901 partì per gli Stati Uniti, Torricella Peligna, alle falde della Majella, che da domani celebra il padre, John, l’autore di Chiedi alla polvere e Aspetta prima­vera, Bandini , con la settima edizio­ne del Festival a lui dedicato, «Il dio di mio padre» (dal titolo di un suo racconto). E da allora l’Italia lo ha stregato. Di nuovo in Abruzzo per cele­braresuopadre. Dell’animaita­liana che cosa c’è in lei? «Il mio temperamento. E la men­talità. Nelcuoresonoitaliano. Eave­te una grande influenza su di me». I ricordi, le storie, il successo: che cosa significa fare lo scritto­re con un padre scrittore? «Mio padre non era mica famoso quando ero un ragazzino. Scriveva sceneggiature di film hollywoodia­ni di serie B. Lui era solo un padre e io ero solo un figlio. Solo quando so­no diventato adulto lui è diventato “John Fante”. La cosa straordinaria di lui, però, è che non ha mai vendu­to i suoi sogni. Ha sempre creduto in se stesso. Sapeva di essere un gran­de scrittore anche quando nessuno gli avrebbe dato una sola chance. Io amo scrivere. È il desiderio che covo nel cuore più di ogni altro. E in que­sto siamo uguali ». Da che cosa ha capito che aveva svoltato? «Fin dall’inizio. Sono stati i film che lo hanno dirottato verso i soldi facili e distratto dalla buona lettera­tura ». Bruno Dante e Arturo Bandini: sono gli alter ego romanzeschi suo e di suo padre.Che cos’han­no in comune? «Sono completamente diversi. A parte che per l’arroganza.E l’ambi­zione. E perché sono complicati. E appassionati». La sua strada verso la scrittura come è cominciata? «Sono cresciuto a Malibu, vicino al mare. A scuola andavo male. L’unica cosa che mi piaceva era il ba­seball, ci giocavo spesso con papà. Poi ho imparato ad amare i libri. Poi ascrivere. Eallafineèdiventataque­sta l’unica passione della mia vita». Poi sono arrivati i vent’anni. E New York. «Erospiantato.Senzacasa.Holot­tato mesi per trovare lavoro. Ne ho passati una cinquantina. Una volta sono stato così male per la fame e la depressione che mi hanno dovuto ricoverare. Molti anni dopo, ho co­minciato a guidare i taxi. E nel tem­po libero scrivevo. Finché ho rag­giunto quota mille poesie». Ma era ancora un alcolista. «L’alcool mi ha accompagnato per anni. Gli scrittori che sono an­che bevitori sono destinati a tempi duri, nella vita e nell’arte. Finché non ho smesso di bere non posso di­re di aver scritto davvero. Ma quan­do ce l’ho fatta, è stato come se qual­cuno avesse aperto le cateratte: non sono più riuscito a smettere di rac­contare storie ». Scrivere è diventato una disci­plina? «Eccome. Scriveremihadatolafi­ducia necessaria per andare avanti. Ho imparato a disciplinare me stes­so. E non ho più mollato». Eppure lei ha spesso sostenuto che la gente sta perdendo il gu­sto per le storie. «La gente legge di meno perché la televisione e il computer affascina­nomoltopiùdeilibri. Èterribile. Per­ché la storia e la passione del genere umano stanno solo nei libri».