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 2012  agosto 24 Venerdì calendario

TELECAMORRA, CLAN IN ONDA

Telelibera, TeleTorre, Julie News. Le hanno zittite di nuovo. Stavolta è bastato distruggere i ripetitori sul Monte Faito, nella notte tra il 14 e il 15 lu­glio. Le emittenti del gruppo napoletano ’julieitalia’ hanno perso per giorni un ba­cino di cinque milioni di telespettatori: 60 mila euro il danno agli impianti, più i mancati introiti commerciali a causa del black-out.
Ispiratore e consulente legale del network campano è Lucio Varriale, un avvocato che da anni denuncia telecamorra. Con u­no degli ultimi esposti, attraverso le rile­vazioni di un tecnico di fiducia, Varriale ha impedito ad una serie di emittenti in odore di clan «di acquisire con falsa do­cumentazione, estorsione, minacce, ca­lunnie ed altri metodi tipici della crimi­nalità organizzata, frequenze in analogi­co – spiega – da trasformare poi in digi­tale terrestre al momento dello switch off, del valore di decine di milioni di euro». Le verifiche sul campo le fece Antonio Pe­rugino, che attrezzò la sua auto in modo da mappare quartiere per quartiere, città per città, la geografia delle reti campane. Una notte il tecnico venne aggredito in casa, con la famiglia che restò in balia di sconosciuti per ore. I malviventi se anda­rono via senza prendere soldi né gioielli. Tra pionieri dell’etere in salsa camorri­sta c’era il boss Vincenzo Oliviero, ucci­so nel 2007. Quattro anni prima, quan­do imperversava la faida che opponeva i Birra-Iacomino agli Ascione-Papale, Oliviero gestiva un’emittente abusiva che gli serviva per trasmettere agli affi­liati messaggi in codice. Gli interessi in ballo non sono solo eco­nomici. Decine di «canali» partenopei vi­vono di televendite e cantanti neomelo­dici, che in molti casi vuol dire fare un sacco di soldi alimentando il consenso intorno ai malamente. Da Scampia ai Quartieri Spagnoli, da Forcella alla Sanità, il palinsesto di queste tv è il principale veicolo dell’intrattenimento domestico. Senza, il business dei neomelodici non sarebbe esploso. Secondo stime della Guardia di finanza il giro d’affari in nero non è inferiore ai 200 milioni di euro l’an­no, con una evasione fiscale di circa 80 milioni di euro. Per un’ora di telepromo­zioni o di video musicali si pagano dagli 80 ai 400 euro. La media nelle reti cam­pane è di circa 200 euro (senza fattura): cioè 4.800 euro al giorno, ovvero 1,75mi­lioni all’anno. Il 4 luglio, quando è stato ammanetta­to con altri 22 del clan Gionta, Tony Mar­ciano non ha perso l’aplomb da popstar dei quartieri. «Se faccio un concerto neanche vengono tutte queste teleca­mere ». Lui che grazie ai continui pas­saggi sulle reti televisive compiacenti ir­rideva i pentiti con uno dei formidabi­li successi suburbani: Nun ciamm ar­rennere.
Già, «non ci dobbiamo arren­dere » intonava Tony. Proprio lui, che nel corso delle trasmissioni televisive e du­rante le acclamate esibizioni ai ricevi­menti di nozze, riservava ai collabora­tori di giustizia rime di grande succes­so: «Hanno perso l’omertà», «non mi fa­ranno perdere la dignità».
La Campania è la terza regione d’Italia, dopo Lombardia e Lazio, per numero di licenze. Prima del digitale si contavano 77 emittenti tv e 165 radio locali in rego­la oltre a una schiera indefinita di reti a­busive. Le emittenti che hanno ottenuto le frequenze in digitale sono 58 (ma i ca­nali locali visibili sono in tutto 187) a cui se ne aggiungono altri 8 satellitari.
Se non manca chi con fatica prova a la­vorare correttamente, resta il fatto che il comparto economico «è in grado di generare un diffuso consenso sociale, promuovere la cultura camorristica e creare nuovi posti di lavoro grazie a un indotto di tutto rispetto», annota Ales­sandro De Pascale, giornalista campa­no che ha ricostruito intrecci, affari, al­leanze e guerre tra clan dell’etere nel do­cumentato libro inchiesta ’Telecamor­ra’, edito da Lantana. Già nel 2008 gli inquirenti partenopei misero i sigilli a svariate televi­sioni accusate di truffa aggrava­ta ai danni dello Stato, emissione di fatture per operazioni inesi­stenti, falso ideologico in atto pubblico. Attraverso una rete di strutture societarie, le tv percepi­vano finanziamenti pubblici si­mulando contratti di lavoro gior­nalistico e facendo ricorso a spe­se inesistenti. Sette funzionari pubblici, accusati di aver chiuso un occhio, finirono indagati.
Mettere le mani su una tv significa anche moltiplicare gli introiti del ’pizzo’. In u­na recente indagine della magistratura di Napoli «è emerso che gli affiliati a una fa­miglia criminale partenopea – raccconta De Pascale –, quando praticavano le e­storsioni ai danni dei commercianti, li ob­bligavano a comprare, a peso d’oro, spa­zi pubblicitari su un’emittente a loro col­legata ». Di inchieste aperte ce ne sono molte. «Il digitale terrestre – osserva uno degli investigatori incaricato di stanare i ’telecamorristi’ – ha fatto esplodere una guerra per le concessioni e adesso per gli ’affitti’ degli spazi sull’etere. La camorra è in grado di arrivare negli uffici pubblici che contano».
I nomi sono sempre quelli: il clan Stolder, la famiglia Savarese, i Mazzarella, i Pulci­nelli- Cocozza, il clan Sarno e gli onnipre­senti Casalesi. Sono lontani i tempi della ’guapperia’, degli scugnizzi che divanta­no guappi nelle sceneggiate di Mario Me­rola. Sulle emittenti locali e nei siti inter­net dedicati si alternano le solite storie d’amore strappalacrime e le storiche hit dei quartieri, come la sempreverde ’Nu Latitante’ con il quale Tommy Riccio, sul­la breccia da almeno vent’anni, romanza le pene dei ricercati. ’Nu latitante nun tiene cchiu niente’, costretto a vivere ’lontano dalle persone a cui vuole bene, nascosto dalla gente’. Anche Riccio, se­condo la Guardia di finanza, avrebbe qualche problema a far di conto. Alcuni mesi fa gli hanno contestato – incrocian­do i dati sul tenore di vita e quanto di­chiarato al fisco – un’evasione da 6milio­ni. Gli accertamenti dell’Agenzia delle en­trate sono in corso. Non c’è da sorprendersi se in tv e sul web sono andati in onda la solidarietà al can­tante e gli insulti alle Fiamme gialle.