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 2012  agosto 24 Venerdì calendario

FRANKEL, IL CAVALLO NOBILE PIU’ VELOCE DI TUTTI I TEMPI - È

dura doverlo ammettere, ma chi dall’altro ieri dice che il cavallo da corsa «più forte di ogni tempo» non è Ribot, il campione anni ’50 della Dormello Olgiata simbolo con Coppi e Bartali dell’Italia postbellica lanciata verso il boom economico, ma è il purosangue di un principe saudita che in Gran Bretagna galoppa di pari passo con la chemioterapia del suo anziano allenatore britannico, non lo dice perché vittima del marketing sempre bisognoso di sfornare pseudo campioni di plastica e paragoni da fantacalcio. E nemmeno lo sta dicendo solo perché questo cavallo, Frankel, è imbattuto da tre stagioni in 13 corse (se è per questo Ribot rimase imbattuto in 16, e nell’Ottocento l’eroina ungherese Kincsem arrivò a 54); o perché, avendo vinto mercoledì a York l’ottavo Gran Premio consecutivo, il suo valore come futuro stallone è stimato ormai in oltre 70 milioni di euro, e l’anno prossimo incasserà 100.000 euro per ogni fattrice incontrata. No, forse lo sta dicendo semplicemente perché ha visto in azione Frankel. Proprio come gli esperti internazionali che come rating (nell’ippica funziona assai meglio che nell’economia) gli hanno assegnato il più alto punteggio di sempre: appunto più di Ribot doppio vincitore dell’Arc de Triomphe 1955-56, più del laureato nel 1973 della «Triplice Corona» statunitense Secretariat, consegnato alla memoria dal recente film con John Malkovich, più di Sea Bird e Sea the Stars per le loro doppiette Derby-Arc nel 1965 e nel 2009.
La particolarità di Frankel non è il sangue blu, anche se è pur sempre erede di un papà (l’inglese Galileo) e di un trisnonno (il canadese-americano Northern Dancer) vincitori del Derby dei propri Paesi, nonché di una nonna (la francese Urban Sea) e di un bisnonno (l’inglese Rainbow Quest) a segno dell’Arc de Triomphe. La sua particolarità è invece di essere il Rudisha dei cavalli: come l’umano corridore keniota e fresco primatista mondiale alle Olimpiadi sugli 800 metri ha rivoluzionato il mezzofondo trasformandolo in un unico continuo e insostenibile sprint, così Frankel galoppa il mezzofondo equino dei 1600/2000 metri come se fosse una protratta gara di velocità. A scomporre i parziali, si scopre che quasi tutti i 200 metri di un suo miglio sono galoppati più velocemente di quanto facciano i cavalli-sprinter, addirittura in un’occasione con 200 metri in 10 secondi e 58 centesimi.
Come però accadde a Ribot, le cui meraviglie in pista non furono ammirate dal suo creatore Federico Tesio morto pochi mesi prima, anche Frankel ha rischiato di non fare in tempo a rendere onore a chi negli allenamenti ne ha plasmato la devastante potenza, il 69enne trainer scozzese sir Henry Cecil. Da quando è cominciata, infatti, l’invitta carriera del cavallo corre in parallelo con gli alti e i bassi delle pesanti cure mediche con le quali Cecil fa fronte al cancro allo stomaco che anni fa ha ucciso il suo fratello gemello. Ultimamente Cecil fa fatica a venire all’ippodromo, e ad esempio in luglio era all’ospedale e non ad Ascot quando Frankel inflisse 11 lunghezze al primo dei suoi avversati nelle «Queen Anne Stakes». Ma l’altro ieri, pur molto debilitato e con un filo di voce lasciatogli dalle terapie, Cecil è ricomparso a York per accogliere al dissellaggio («mi sento 20 anni meglio») il 13esimo successo del suo allievo, per la prima volta vittorioso sulla distanza dei due chilometri che molti credevano non fosse in grado di reggere, e con 7 lunghezze di distacco su un cavallo che, come l’irlandese St. Nicholas Abbey, in precedenza era stato in grado di attraversare l’Oceano per andare a battere gli americani a casa loro nella «Breeders’ Cup Turf».
Dieci volte capolista annuale degli allenatori inglesi (l’ultima nel 1993) e laureato con 25 corse classiche (tra cui 4 Derby e 8 Oaks), Cecil è noto anche agli appassionati italiani perché nel 1975 a regalargli il suo primo Gran Premio nelle «Duemila Ghinee» fu Bolkonsky, un portacolori della giubba a cerchi biancorossi della scuderia Cieffedi dello scomparso Carlo D’Alessio, l’avvocato romano che non sopravvisse molto alla tragedia del figlio Francesco assassinato dalla modella americana Terry Broome nella Milano degli anni da bere.
Eppure negli ultimi anni anche Cecil era stato messo in discussione e tutto sembrava girargli storto: un black-out di risultati, i grandi proprietari che lo abbandonano, il divorzio dalla moglie, la separazione professionale dal superfantino Kieren Fallon che aveva avuto una parte nel naufragio coniugale, la morte del fratello, e da ultimo la propria malattia.
L’unico proprietario a non ritiragli mai la fiducia è stato il principe Khaled Abdullah, esponente di uno dei rami della famiglia reale saudita, che con la competenza ippica del manager del suo allevamento «Juddmonte», lord Teddy Grimthorpe, è rimasto a fianco di Cecil anche negli anni della cattiva sorte. Quelli che ora Frankel sembra voler ricompensare con la leggenda.
Luigi Ferrarella