Michele Serra, la Repubblica 24/8/2012, 24 agosto 2012
CORSIVI
Finalmente ho capito perché alcuni cattolici sostengono che “non c’è etica senza fede”. A Rimini, stretto nell’abbraccio dei suoi, il governatore Formigoni ha potuto dispiegare un armamentario di argomenti etici così poderoso, variegato e facondo da fare impallidire noi poveri miscredenti. Le preghiere del Papa, le lacrime derivate, la prova di purificazione, il Padreterno che regge i fili del destino, la percezione fisica delle orazioni in suo favore, il fango che prima minaccia di dividere ma infine ricompatta, e insomma la complessità, si direbbe anche procedurale, di un travaglio che sembra ripetere la salita al Golgota, con la fatidica domanda finale (“perché proprio a me?”) che già il Nazareno, pur nella sua modestia (non aveva letto don Giussani), rivolse al Cielo. Un banale non credente come me, volendo o dovendo fronteggiare un’accusa, sarebbe in grado di formulare a malapena una sola e ruvida domanda: ho fatto o non ho fatto la grossa cazzata di cui mi si accusa? Capirete anche voi che si tratta di un’etica basica. Rudimentale. Duemila anni di teologia, fondata su un rapporto tra colpa e redenzione più intricato del kamasutra, danno a quelli come Formigoni un vantaggio considerevole. Le loro performance etiche, noi, ce le sogniamo.