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 2012  agosto 24 Venerdì calendario

IL CODICE DI ALEPPO ALTRO CHE DAN BROWN

Questa è una storia che non ha nulla da invidiare a quella del Codice da Vinci . Anzi: ha dalla sua il conforto della verità, non è stata inventata ma esiste da un numero incalcolabile di anni, secoli e millenni. Matti Friedman ha deciso di narrarla in un libro che s’intitola The Aleppo Codex. A True story of Obsession, Faith and the Pursuit of an Ancient Bible , appena pubblicato negli Stati Uniti per Algonquin Books e che speriamo presto di vedere anche in italiano, perché si legge come un romanzo, incollati alla pagina, e non fa mancare emozioni forti. Il Codice di Aleppo, infatti, è ben più di un manoscritto della Bibbia ebraica: è il più antico giunto fino a noi, prima della scoperta dei rotoli del Mar Morto. È soprattutto il codice canonico dove si stabilisce il sistema che fissa per l’eternità il suono e il significato del testo sacro con un minuzioso sistema di puntazione e segni grafici concepito appositamente per la parola trasmessa da Dio a Mosè sul Sinai e di lì in poi di generazione in generazione. Non a caso, infatti, questo codice è stato chiamato con confidenziale riverenza «Corona» nei quasi settecento anni in cui è rimasto conservato, nascosto e riverito nel retro di una sinagoga di Aleppo, in Siria.

Friedman racconta la sua storia in un sapiente avvicendarsi di secoli, scenari, figure umane di passaggio. Il

Codice di Aleppo venne trascritto probabilmente a Tiberiade nel X secolo, tutto dalla stessa mano e dalla stessa testa, che di sicuro conosceva a memoria il testo integrale della Bibbia ebraica. Dalle rive di quel lago dalla lunga memoria il manoscritto approda a Gerusalemme, dove la storia biblica si riflette sulla pietra quasi bianca delle mura, varca il mare e giunge ad Al Fustat, al Cairo: qui fu sicuramente fra le mani del grande Mosè Maimonide, che lo consultò nella stesura delle proprie opere. E poi, per vie quanto mai traverse e imperscrutabili, la Corona arriva ad Aleppo. Ogni volta che questo rotolo di pergamena passa da una mano all’altra lo accompagnano vicende concitate, guerre, segreti condivisi, ma soprattutto il senso di una missione come nessun’altra: chi lo custodisce sa che una specie di maledizione bracca chi lo cede, anche se per necessità e per la sua sopravvivenza. Ma soprattutto sa che ha per le mani un testo unico, l’unico vero scrigno della parola divina. Ad Aleppo il codice sembra ritrovare la stanzialità cui il suo inestimabile valore ha diritto. Viene tenuto nascosto, osservato di quando in quando con un affetto sovrumano: per secoli e secoli la vita della comunità ebraica locale ruota tacitamente intorno a questo tesoro che pochi sanno dove si trovi di preciso. Poi arriva il Novecento, arrivano il sionismo e un conflitto che prende le mosse: a partire dal novembre del 1947, quando l’Onu vota a favore della spartizione della Palestina in due Stati, uno arabo e uno ebraico, i tempi per gli ebrei che magari da millenni vivevano nei paesi arabi si fanno sempre più duri. Disordini, violenze, cacciate.

Durante i tumulti di Aleppo, il codice viene danneggiato, ma sopravvive. I suoi custodi fingono che sia andato perso, per evitare che sia cercato. Alcune pagine scompaiono misteriosamente, Friedman ne segue il cammino come un segugio di razza. Nel 1944, mentre la famiglia rimasta in Europa viene sterminata, il grande studioso Umberto Cassuto si reca ad Aleppo da Gerusalemme dove vive e ha l’occasione di restare a tu per tu con il manoscritto (a patto di non fotografarlo, cosa che era sentita come una profanazione).

Nel 1948 nasce lo Stato d’Israele, e da Tel Aviv e Gerusalemme s’incomincia a pensare di salvare, oltre alle vite di centinaia di migliaia di profughi ebrei cacciati dai paesi arabi, anche i libri: ma è così difficile superare il muro di segreti, omertà e paure che protegge il codice. Nove anni più tardi un commerciante di formaggio di Aleppo, Murad Faham lascia per sempre la Siria dove la sua famiglia viveva da secoli. La «Corona», affidatagli il giorno prima dai notabili della sinagoga (se non lo porti via tu, il codice sarà perduto per sempre, vista l’aria che tira), stava avvolta in un telo bianco, di quelli che si usavano per le forme di formaggio. I gendarmi alla frontiera frugarono fra le merci, ma non trovarono il manoscritto.

Il mercante poté lasciare la Siria grazie al passaporto iraniano che non si sa bene come si era procurato per espatriare: alla luce di ciò che avviene oggigiorno in quella regione, la scena di un ebreo costretto con la morte nel cuore a lasciare la sua Aleppo per non tornarci mai più, con un passaporto iraniano per le mani e Gerusalemme come meta è davvero una beffa del destino. Ma è così che il Codice di Aleppo ha trovato la strada verso la salvezza e da allora riposa in pace, più vivo che mai, al Museo d’Israele, indisturbato sotto il trambusto di visitatori che sciama per le sale al piano di sopra, e non ha modo di arrivare nel suo rifugio.