Diego Gabutti, Sette, 24/8/2012, 24 agosto 2012
COM’È INQUIETANTE LA SERENISSIMA
Insieme agli assassini, ai rivoluzionari, ai santi e ai poeti di San Pietroburgo; insieme alla Londra vittoriana di Sherlock Holmes, Mr. Hyde, Dracula e Dorian Gray; insieme alla Ville Lumière di Fantômas, dei Tre Moschettieri, del Narratore proustiano, dei giornalisti e dei finanzieri balzachiani, c’è Venezia. C’è Venezia, come in un vecchio film di Robert Bresson c’era il diavolo, naturalmente. Venezia con le sue maschere, le sue spie, i suoi mercanti, le sue dame velate; con le sue calli, i suoi “piombi”, i suoi inquisitori e i suoi canali – luoghi letterari non meno misteriosi e remoti dei canali di Marte.
Trama doppia. Giuseppe Furno, autore per Longanesi & C. di Vetro, settecentocinquanta pagine fitte di puro feuilleton, costruisce la sua storia veneziana con una doppia trama, come capita a tutti i romanzi ambientati in una di queste città premeditate e immaginifiche, fuori dal tempo storico. Alla trama principale (polveriere che esplodono, omicidi misteriosi, inseguimenti e fughe, enigmi da sciogliere, messaggi segreti da decifrare, amori che finiscono o contrastati, congiure papiste, sedute di tortura, battaglie navali) s’aggiunge una trama seconda: la città stessa, i Dieci, le gondole, i servizi segreti, le galere, il sistema legale, le feste. Storia e cultura di Venezia non sono meno rocambolesche delle vicissitudini che s’ammatassano e si snodano e s’ammatassano di nuovo, a grande velocità, nei fotogrammi accelerati della vicenda principale. Ma se al plot del romanzo si può partecipare solo passivamente, seduti in salotto, a letto prima di dormire, in piedi sul tram, seguendo il protagonista Andrea Loredan (avvocato, figlio del Doge in carica, probo eroe da feuilleton) dall’A alla Z dell’avventura, una lettera dell’alfabeto romantico dopo l’altra, alla trama storica e letteraria di Vetro si può invece partecipare attivamente. Con una bibliografia fai-da-te, per esempio. E postillando il libro di note a margine. Figlio del Doge, stirpe di mercanti, il protagonista di Vetro è uomo di legge, e come tutti i moderni eroi letterari (esclusi, naturalmente, i personaggi di Balzac) ostenta un sussiegoso disprezzo per gli affari, ma suo fratello è un mercante ed è la logica dei commerci, degli affari, dei viaggi, a fare di Venezia una delle capitali dell’avventura, da Marco Polo in avanti. Come racconta Nayan Chanda, giornalista e storico dell’economia, in un grande libro, Destini comuni, sono i commercianti e gli avventurieri a realizzare (insieme al loro lato oscuro, i preti e i guerrieri) la grande globalizzazione: un processo che dura da cinquantamila anni e che anche le navi veneziane, per quasi un millennio, hanno fatto avanzare di qualche passo. È il mercato globale, la rete dei commerci planetari, a fare di Venezia una località non meno esotica, per modernità e contaminazione dei costumi, dei porti indiani o malesi o cinesi nei quali fanno scalo le sue spedizioni commerciali (quelle private e quelle semiprivate, dette mude, approvate dallo stato, e che oggi diremmo forse “a partecipazione statale”). Ad Alvise Loredan, il fratello dell’eroe, il Mediterraneo va stretto, i soliti turcomanni, le solite rotte, i soliti pirati e le solite guerre, e perciò vuole allargare l’orizzonte dei commerci cercando accordi con spagnoli e francesi e portoghesi per commerciare con le Americhe. Forse Andrea Loredan, l’eroe del romanzo, lascerà l’avvocatura e – dopo avere impalmato la donna che ama, per così dire a p. 751, un paragrafo oltre la fine del libro – s’unirà al fratello in questa nuova impresa, o forse non lo farà, decidano i lettori secondo il loro gusto, ma sono proprio queste le imprese che nell’età delle grandi scoperte geografiche cominciano a cambiare il mondo, spingendolo irresistibilmente verso la modernità. Si paga pegno, com’è inevitabile, alle brutture e agli orrori della colonizzazione: predicatori e guerrieri seguono gli avventurieri e i mercanti come mute di pitbull. Ma è solo attraverso questo processo che i popoli e le culture e le civiltà cominciano a conoscersi e a trasformarsi a vicenda. C’è anche una nave veneziana dietro i guru indiani che impazzano nella California degli Anni Sessanta e nei jeans indossati da un giovane mongolo e nel blockbuster hollywoodiano che un giovane indonesiano o ghanese o tibetano scaricherà stasera da Internet.
Venezia è una figura della modernità. Basta leggere, per capirlo, I mercanti di Venezia di Frederic C. Lane o Artigiani, visionari e manager di Giorgio Brunetti, una storia dell’economia “dai mercanti veneziani alla crisi finanziaria”. Niente è più attuale, sotto il profilo letterario, delle Memorie di Giacomo Casanova, per dire, o delle commedie leggere di Carlo Goldoni. Mentre Casanova, con la sua fuga dai “piombi” (le carceri di Venezia) e le sue imprese erotiche, di cui ancora si fantastica, anticipa Clint Eastwood in Fuga da Alcatraz e la sex revolution, il teatro leggero di Goldoni è una finestra di Magritte affacciata sul futuro dell’intrattenimento, di cui profetizza i personaggi, i temi e il linguaggio. Qualche secolo prima di 007 e degli eroi di John le Carré, molto prima che le spie e gli agenti segreti (di cui anche Vetro abbonda) si trasformassero in icone, come i cowboy e i pirati, i servizi segreti veneziani erano al centro di guerre diplomatiche segrete di dimensioni planetarie, come oggi la Cia (e ieri il Kgb) nel catalogo di Segretissimo. A Venezia, possiamo leggere in un libro molto bello, I servizi segreti di Venezia di Paolo Preto, che le spie erano dette “alchimisti” (forse per via dei segreti che gli alchimisti custodiscono, o delle truffe che organizzano ai danni dei boccaloni). Nelle pagine più cupe di Vetro, quando i malvagi tentano la sorte e i buoni rischiano la vita e l’anima, c’è un frate (non importa se falso o vero, l’ambiguità è l’arte dell’agente segreto) che gioca su tutti i tavoli, porta una pistola a schioppo nella fondina sotto l’ascella, fornica, uccide, non indietreggia di fronte a nulla. È la Spia. Ma un po’ tutti i comprimari del romanzo, chi per amore, chi per forza, lavorano per una potenza oscura: il papismo, i turchi, l’interesse di clan e di famiglia, o quello di partito. Venezia è fondata, oltre che sul commercio e sull’esotismo, anche sulle spie, di cui si serve per proteggere la repubblica dai suoi nemici (e anche per controllare i cittadini dissidenti, secondo l’antico copione) e per rendere più sicure le rotte dei mercanti. È fondata sulle spie e sulla guerra (per lo più fredda, ma spesso anche molto calda, come racconta Vetro nelle sue pagine migliori) contro i turchi. Turcomanni e spie: è lo scontro di civiltà (in realtà un incontro, anche se si capirà solo più tardi, e persino adesso è ancora difficile capirlo) con tre secoli d’anticipo. Una bella storia dello spionaggio secentesco (da annotare a margine della lettura di Vetro) è Sulle tracce dell’esploratore turco di Gian Carlo Roscioni.
Stregoneria e segreti. A Giovanni Comisso, in un libro geniale, Agenti segreti di Venezia 1705-1797, avviene «di sfogliare documenti relativi alla magistratura degl’Inquisitori di stato e di leggervi brani che descrivono la vita di Venezia e dei veneziani con tali minuti e pettegoli particolari da risultare come una documentazione fotografica anche a colori del vivere di quel tempo». Vetro racconta d’accuse di stregoneria e d’innocenti condannati dai tribunali della repubblica (e da quelli dei preti, che lo stato autorizza a stanare gli eretici, se necessario con la tortura) su istigazione dei potenti: anche in questo Venezia è una città moderna. Ma Vetro racconta anche la storia d’una società segreta, detta dei Guardiani, che conserva in luoghi segreti, protetti da mappe cifrate, i libri che l’Inquisizione del papa ha condannato al rogo con la connivenza degl’inquisitori di stato (i libri dei filosofi, le prediche dei teologi protestanti, di Savonarola, i grimoire dei maghi, le guide alla Grande Opera degli alchimisti) e tramanda i segreti dei vetrai di Murano, tra cui “l’occhiale sidereo”: il primo cannocchiale. C’è una loggia massonica, a proposito, anche in una grande storia veneziana di Corto Maltese: Favola di Venezia (Sirat al Bunduqiyyah), dove il bel marinaio incontra Gabriele D’Annunzio – ai tempi il Vate, o il Poeta – «tra le ombre sgattaiolanti d’una Venezia notturna». C’è l’intera e mirabile storia dell’editoria veneziana, di cui Vetro esplora il lato portentoso, da feuilleton, in un libro bello e prezioso d’Alessandro Marzo Magno: L’alba dei libri. Quando Venezia ha fatto leggere il mondo. Fondamentale, come nota a margine di Vetro, è anche Cacciatori di libri sepolti, il classico di Leon Deuel; a proposito di biblioclasti, si veda Libri al rogo di Lucien X. Polastron.
La realtà oltre la fiction. Come i romanzi storici riusciti, da Io, Claudio di Robert Graves a Creazione di Gore Vidal, dai Promessi sposi al Nome della rosa, anche Vetro racconta una storia interessante ambientata in un’epoca interessante e in un posto interessante. È il segreto stesso della buona letteratura. Alcuni pensano che questo segreto sia la psicologia, oppure la caratterizzazione dei personaggi, e talvolta è proprio così, almeno per alcuni autori. Ma gl’intrighi, i balli in maschera, i buoni e i cattivi, le guerre, i roghi di libri, le biblioteche segrete, l’amore e le spie: di questa materia non è fatta soltanto la fiction. È fatta anche la realtà.