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 2012  agosto 24 Venerdì calendario

ORA SI INVESTE IN VINO E ARTE

Per i poveri, in tempi di economia depressa e con poche prospettive di recupero, il flagello è la perdita del lavoro. Per i ricchi l’incubo è quello di veder svanire un pezzo del loro patrimonio che non riescono più a difendere. Si perde in Borsa, calano i valori immobiliari, aziende gloriose e governi a rischio “default”. Ecco, così, il “boom” di Bot e Btp americani e tedeschi: non rendono nulla, ma almeno sono un “materasso” sicuro.
Così, almeno, pensano i risparmiatori Usa. I più audaci diversificano: con Facebook è andata male e allora si tenta con le società minerarie australiane, quelle petrolifere canadesi, i fondi agroindustriali sudamericani. Esotico per esotico, adesso c’è anche chi propone i fondi “vintage”, basati su un patrimonio fatto di beni collezionabili: opere d’arte, auto d’epoca, perfino bottiglie di vino rare, di annate speciali.
Un gruppo finanziario del quale fa parte anche il batterista dei Pink Floyd, Nick Mason, sta raccogliendo risorse per lanciare un fondo di auto d’epoca che, giurano i promotori (sulla base di cosa?), darà un rendimento di almeno il 15 per cento. Intanto un altro gruppo, stavolta svizzero, sta lanciando proprio in questi giorni un fondo analogo, “The Classic Car Fund”, che promette un rendimento ancora superiore. Poi ci sono i fondi d’arte o quelli che trattano gioielli antichi. C’è in pista anche un italiano, il “trader” di vino Sergio Esposito (nella foto), titolare, negli Usa, della Italian Wine Merchants, che ha creato, già da qualche anno, il “The Bottled Asset Fund”.
Piccoli strumenti finanziari ai quali qualche investitore ricorre per diversificare, fare “hedging”, ma anche perché la cosa ha un sapore “trendy”. L’idea di base è che l’America in declino ha ancora tanti gioielli da mettere sul mercato: “oggetti del desiderio” che non esistono, per esempio, nell’Asia dei nuovi ricchi. E poi sono fondi basati su beni reali, tangibili. Cosa che non guasta, in tempi di grande volatilità che, ormai, coinvolge anche le valute. Ma gli scettici non mancano: si tratta di una piccola nicchia, sono fondi illiquidi. E poi nessuno sa dove andrà a finire, in caso di aggravamento della crisi, il mercato del “lussuoso superfluo”. Solo per gente dal cuore forte.
E c’è chi scommette sugli “auto bonds”
Chi, alla ricerca di un tetto sotto il quale far fruttare i suoi capitali, di questi tempi non sa più a che santo rivolgersi, a volte va a vedere come si stanno regolando i miliardari e le aziende più “smart” del pianeta. Biotecnologie? “Start up” della Silicon Valley? Gli IPO delle nuove aziende digitali, sbarcate di recente in Borsa, come Yelp e Zynga?
Macché: il leggendario miliardario di Omaha, Warren Buffett, sconcerta tutti investendo in giornali e vagoni ferroviari. Per forza, si sussurra, è un ottantenne, è un uomo del passato. E allora andiamo a vedere l’azienda più innovativa: Google, che è anche una di quelle che hanno fatto faville in Borsa. E che ha 40 miliardi di dollari di liquidità da investire. Fin qui è andata sul sicuro comprando soprattutto titoli del Tesoro Usa. Ora diversifica in un’area che non è esattamente tra le più avanzate e sofisticate: le obbligazioni automobilistiche. Gli “auto bonds” sono titoli garantiti dai prestiti fatti agli acquirenti di vetture. Google ha scelto soprattutto quelli emessi da Honda e Hyundai che hanno avuto la tripla A, il massimo dei voti, dalle agenzie di “rating”. La logica, alla fine, è sempre la stessa: avere la garanzia di un bene reale che, in caso di guai, può essere venduto. In questo caso l’auto, che ha un ciclo di vita di pochi anni ed è facilmente alienabile ovunque; meglio delle case che, con milioni di mutui in “default”, negli Stati Uniti si sono rivelate invendibili, soprattutto nei mercati più “disastrati”, dal Nevada alla Florida.