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 2012  agosto 24 Venerdì calendario

MA DOV’È L’ORO DELLA BUNDESBANK?

Dov’è l’oro della Bundesbank? In gran parte, dovrebbe essere custodito nei forzieri della Federal Reserve negli Stati Uniti, ma, in Germania, si diffondono voci allarmanti. Alcuni, come Stefan Aust, ex direttore dello Spiegel, hanno dei dubbi: l’oro tedesco esiste ancora solo sulla carta? Quali speculazioni sono state compiute con i lingotti della Repubblica federale? Per cominciare, non si sa neanche il peso esatto del «tesoro», è un segreto di stato gelosamente custodito dalla Bundesbank, la Banca centrale.

Le riserve auree di Frau Angela, le seconde al mondo dopo quelle degli Usa, ammonterebbero a circa 3.400 tonnellate, poco più poco meno.

«Un tesoro dimenticato in cantina», titola la Augsburger Allgemeine. Secondo la legge, le riserve andrebbero controllate almeno ogni tre anni, ma l’ultima visita dei funzionari della Bundesbank alla Federal Reserve risale al 2007. Una trascuratezza grave, insolita per la Buba, così attenta a rispettare le norme. Che cosa si vuole occultare? È possibile, scrive anche la Frankfurter Allgemeine, che nel corso degli anni qualche dipendente della Federal Reserve abbia sgraffignato un paio di lingotti. Il controllo del tesoro è sempre stato formale. Nessuno si aspetta che venga realmente pesato lingotto per lingotto.

A Berlino si chiede che l’oro torni a casa. I motivi per cui si trova al di là dell’Oceano risalgono al tempo della guerra fredda. Il confine con la Germania Est si trovava a pochi chilometri da Francoforte, sede della Buba. Il Cancelliere Helmut Kohl, ancora negli anni 80, ricordava che la sua scrivania a Bonn si trovava a un paio d’ore dai panzer dell’Armata Rossa. Meglio tenere l’oro al sicuro. Ma già nel 1969, il generale De Gaulle, che non si fidava degli yankee, fece tornare a Parigi l’oro francese. Perché non seguire il suo esempio?

L’oro tedesco dovrebbe valere circa 140 miliardi di euro, tuttavia la Bundesbank mette in guardia contro la tentazione di monetizzarlo. È una specie di ultima assicurazione contro eventuali e sempre possibili crisi. In Germania, nessuno ha dimenticato le tragiche inflazioni del XX secolo.

L’oro fa parte dei sempre inquieti rapporti tra Italia e Germania. Nell’estate del 1974, ci trovavamo nei guai come oggi, la crisi petrolifera ci aveva messo in ginocchio, l’inflazione galoppava oltre il 20%. E la lira continuava a svalutarsi. In Germania, Willy Brandt era stato costretto a dimettersi per lo scandalo della spia alla Cancelleria. Al suo posto, Helmut Schmidt, soprannominato «Die Schnautze», il grugno.

Io ero uno dei pochi rimasti al lavoro, non ricordo perché. Qualcuno mi informò che la Germania ci avrebbe aiutato ad alcune condizioni: dovevamo mettere a posto i conti, come pretende oggi la Merkel, liberare Kappler, l’artefice della rappresaglia alle Fosse Ardeatine, e scegliere per la Tv a colori il sistema Pal tedesco e non il Secam francese. Lo scrissi, venni subito smentito da Roma e da Bonn. Non mi rimase che insistere, come un giocatore che continua a puntare sul rosso alla roulette. Schmidt diede una lunga intervista allo Spiegel: «Saprei cosa consigliare agli italiani, ma sono troppo suscettibili». Nel ’74, come nel 2012.

Tra continue smentite, giunse inaspettato a Bonn il governatore della Banca d’Italia, Guido Carli. Alla conferenza stampa eravamo appena in tre, erano tutti in vacanza. Carli mi prese da parte e mi disse: «Lasci perdere il folklore renano, il prestito ci sarà, garantito dall’oro». Lo scrissi, e venni presi in giro da Roma e da Bonn. Ero sicuro di essere stato usato, e che la mia carriera da corrispondente fosse finita. Allora, per noi non c’erano tutele sindacali. Bastava che il direttore mi telefonasse: «Torna a casa domani».

Il 31 agosto, Schmidt incontrò il nostro premier Rumor a Bellagio, sul lago di Como. Fino a mezzanotte non si parlò di prestiti e di oro. Ero stato preso in giro. Invece giunse in extremis l’annuncio: il prestito era di 2 miliardi di dollari, o di 5,2 miliardi di marchi, pari a 1.300 miliardi di lire. Sembrano spiccioli in confronto a oggi, quarant’anni fa era una somma decisiva per noi. In cambio ci impegnavamo parte delle nostre riserve auree, a 42 dollari all’oncia qualcosa come 150 tonnellate. Avevo vinto, ma ricordo quel giorno ancora come uno dei peggiori della mia vita. Noi restituimmo il prestito, non perdemmo i lingotti, le clausole imposte da Schmidt vennero rispettate, compresa la «fuga» di Kappler. Chissà che cosa sarebbe successo allo spread in quell’agosto lontano, se ci fosse stato.