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 2012  agosto 24 Venerdì calendario

GLI AEROPORTI SONO ORMAI CITTÀ-VACANZA

Slacciate le cinture di sicurezza. Rilassatevi, incrociate le gambe e dite: «Ommm...». I grandi aeroporti non hanno alcuna fretta di imbarcarvi. Non più. Da piattaforme di lancio per volare dall’altra parte del mondo si stanno trasformando in città vacanza, dove la sosta (meglio se prolungata) è già un luogo di viaggio, svago e soprattutto consumo. Non è un caso che gli scali di San Francisco e di Dallas abbiano allestito eleganti sale yoga fra i gate delle partenze. Qui i passeggeri possono ingannare l’attesa tra una connessione e l’altra praticando le posture psicofisiche della disciplina indiana. Per chi è meno pratico della ginnastica alternativa sono nati anche sentieri salutisti, lunghe camminate con relative tappe in centri benessere. Il fenomeno dell’aeroporto che non vi fa solo volare è pronto al decollo. E non solo negli Usa. Secondo Hans Martin Niemeir, docente di scienze sociali dell’Università di Brema, «gli scali moderni ormai non si limitano a sostenere l’infrastruttura del trasporto, ma si sono evoluti in entità di mercato molto sofisticate». Già, il mercato. I manager delle società di gestione aeroportuali che offrono lezioni di yoga non lo fanno perché convertiti alla scuola dei chakra. A terra, infatti, è in corso una rivoluzione delle fonti di ricavi e dei servizi. Tanto che oggi molti hub, come quello di Parigi Charles De Gaulle, guadagnano oltre il 60 per cento da attività non aeronautiche.
E allora spuntano centri massaggi, feste di compleanno per i bambini (a Zurigo), lounge che fanno invidia ai locali più alla moda (Virgin a New York), saune (un progetto della Finnair a Helsinki), piscine e cinema (Singapore), city tour e parrucchieri, con tutto il corollario di hotel, boutique di alta moda, alimentari e souvenir che fanno cassa grazie agli acquisti esentasse.
La liberalizzazione dei cieli, partita negli Stati Uniti all’inizio degli anni Ottanta, sembra essere giunta al suo compimento. Le grandi compagnie hanno puntato tutto sulla logistica del cosiddetto «hub and spoke», letteralmente mozzo e ruota, che funziona esattamente come la ruota di una bicicletta. Al centro c’è il mozzo, un megaaeroporto da cui transitano tutti i voli, i raggi, a prescindere dalla meta finale, per poi ripartire verso la propria destinazione.
Dubai, per esempio, sta diventando la porta girevole tra Oriente e Occidente, e ha appena investito 7,8 miliardi di dollari per aumentare la capacità da 60 a 90 milioni di passeggeri ogni anno: a quel punto avrà superato Heathrow come terzo scalo più trafficato del mondo (i primi due sono Atlanta e Pechino).
Il vantaggio di questa soluzione è l’economia di scala che ne deriva, consentendo di offrire biglietti a costi contenuti. Gli svantaggi sono la congestione del traffico, il rischio di ritardi e le inevitabili soste prolungate negli scali in attesa della propria connessione. Per gli aeroporti ultramoderni il passo diventa un’opportunità per indurre i passeggeri alla spesa. E, allo stesso tempo, affittare spazi alle migliori idee di impresa. Nel nuovo mercato che si sta creando vola anche la fantasia dei designer. L’Arch Group sta per lanciare a Mosca le «sleep box», scatole da sistemare tra i gate dove ingannare l’attesa, schiacciando un pisolino fra un volo e l’altro. Il designer olandese Jeriel Bobbe si è reso conto che i megahub obbligano a camminate da trekking urbano. A volte, durante un transito, tocca marciare più di 1 chilometro dall’arrivo al proprio gate, portandosi dietro il rumore fastidioso del trolley. Per lui la soluzione si chiama Suitcase symphony, il pavimento che suona al passaggio delle valigie con le rotelle. E, se l’imbarco può attendere, che almeno diventi una ouverture.