Diego Gabutti, Italia Oggi 23/8/2012, 23 agosto 2012
SIAMO CERTI CHE ASSANGE SIA COSÌ BRUTTO COME VIENE DESCRITTO?
Julian Assange chiede a Barak Obama d’abbassare le armi e i toni: Wikileaks non è un covo di spioni, come strillano la Cia e l’Intelligence inglese, che pure dovrebbero saper distinguere tra il Kgb o il servizio segreto cinese e una ghenga o magari anche un branco di hacker devoti agl’ideali della controcultura, tra i quali da tempo immemorabile spicca la beffa antisistema.
Se un sito di controinformazione, soltanto perché molto più professionale e tecnologicamente agguerrito dei giornaletti e delle riviste dai colori psichedelici che uscivano negli anni sessanta e settanta, diventa un covo di nequizie neocomuniste, che dire allora della nostra magistratura, sempre pronta a sputtanare i potenti, e dei nostri giornali, sempre lì a puntare il dito su quel che Tizio, in una telefonata privata, ha detto a Sempronio, oppure a Caio? Almeno Assange e i suoi ragazzi, quando mettono in mutande i potenti rendendo pubblici i documenti riservati e top secret sui quali sono riusciti a mettere le mani, rischiano la galera quando va male e, quando va bene, gli arresti domiciliari in un’ambasciata esotica, circondata dalla polizia e guardata a vista da agenti segreti che pattugliano l’isolato col cappello abbassato sugli occhi, un rigonfiamento sospetto sotto l’ascella e il bavero dell’impermeabile sollevato, coperti cioè da capo a piedi come musulmane in burqa anche in pieno agosto.
Marco Travaglio, invece, e così il pubblico ministero Antonio Ingroia, per fare due nomi tra i tanti possibili, non rischiano mai niente, nemmeno un blando rimprovero, e anzi guai a chi viene sorpreso anche solo a reclamare sotto voce, quando diffondono le intercettazioni telefoniche di chi non è indagato e nemmeno lo sarà mai ma intanto è stato coperto di materia particolarmente ignobile — come se uno stormo di piccioni in volo l’avesse preso a bersaglio d’una feroce rappresaglia — nei titoli dei principali giornali e nei sommari di tutti i tigì.
Quello d’Assange è cattivo anzi pessimo, scadentissimo giornalismo, mentre i titoloni dei giornali complottisti, che lanciano terribili accuse a destra e a manca senza nemmeno l’ombra d’un documento riservato o top secret a sostenerle, è il meglio che si sia mai visto in fatto d’informazione onesta e coraggiosa.
Ma il team di Wikileaks ha mai mandato in gattabuia un innocente? Da quel che si legge nei suoi dossier, Assange ha soltanto perseguitato primi ministri, ambasciatori, uno o due presidenti americani, potenti asiatici e africani, uomini di panza dell’America latina: tutta gente che non si sgomenta certo per così poco (e che, diciamolo, merita anche di peggio).
Sapete per caso di qualche acciaieria chiusa per decreto insindacabile di Julian Assange o di pentiti di mafia o di ’ndrangheta o di camorra o di tong cinese manovrati politicamente da qualche procura del web fedele a Julian Assange? Quindi non si può dare torto a quest’ultimo quando chiede a Obama e alle autorità inglesi d’essere lasciato in pace. Accusato di spionaggio, di stupro, di cattivo carattere, di vanità, d’esagerata opinione di sé, Assange sta diventando una specie di Silvio Berlusconi, solo molto più giovane e, senza offesa, anche molto più intelligente e fotogenico.
Be’, a pensarci, un’altra differenza sostanziale tra Assange e il Redivivo è che il quarantenne australiano, diversamente dal Matusalemme meneghino, non è un politico e neppure un magnate della tivù. Nessuno ha mai cantato «meno male che Julian c’è». Né Obama né la Regina d’Inghilterra (per non parlare di Silvio Cesare) possono dire altrettanto. Assange non ha mai baciato la mano a Gheddafi e non è mai stato invitato al compleanno dello zar del Cremlino. Non ha mai raccontato balle né rifilato opinioni insensate ai suoi elettori. Assange, con tutti i suoi difetti, a cominciare dalla vanità, è un uomo libero e se Vladimir Putin e le Pussy Riot, che un tribunale neostalinista ha condannato a due anni di galera per leso farabutto al timone del paese, celebrassero il compleanno lo stesso giorno, lui andrebbe dritto filato alla festa delle Pussy Riot, libere e un po’ punk proprio come lui, e non a quella del tiranno moscovita, dove invece si fionderebbero senza esitare Barak Obama e i leader inglesi, sempre per non parlare di Berlusconi (e i giornali moralisti, invece d’ignorarla, coprirebbero la notizia).