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 2012  agosto 22 Mercoledì calendario

Il riscaldamento globale?Una bufala (troppo) costosa - Quando un fenomeno è com­plesso, niente di più facile che interpretarlo male

Il riscaldamento globale?Una bufala (troppo) costosa - Quando un fenomeno è com­plesso, niente di più facile che interpretarlo male. Ec­co, tirando le somme (a ri­schio di semplificare) quanto è emerso in questi giorni rispet­to a­l riscaldamento globale agli Interna­tional «seminars on planetary emergen­cies » voluti dal professor Antonino Zi­chichi e organizzati, sotto il patronato del Presidente della Repubblica, alla fondazione Ettore Majorana di Erice. Il global warming, infatti, è stato esa­minato da un nutrito gruppo di scienzia­ti sotto un profilo affatto particolare, quello dei costi. Sì, perché se non è det­to che il riscaldamento del pianeta sia per forza un disastro per l’umanità (noi bipedi implumi siamo passati durante la nostra storia attraverso moltissimi mutamenti climatici), però sembra po­tersi trasformare facilmente in un disa­stro economico. Ecco che quindi a Eri­ce la palla è stata passata agli economi­sti, per la precisione: Christopher Es­sex, matematica applicata all’Universi­tà dell’Ontario, Ross Mckitrick econo­mista canadese, Michael Jefferson del­la London Business School e Bruce Stram esperto a stelle e strisce di Ele­menti del mercato. A fargli compagnia nella conferenza due politici britannici, lord Nigel Lawson, ex Cancelliere dello Scacchiere (leggesi Segretario al teso­ro) di Sua Maestà e il Visconte Monck­ton of Brenchley, a lungo uno dei princi­pali consulenti di Margaret Thatcher (che da anni combatte sul fronte del cli­ma). Ed è stato proprio Christopher Walter Monckton a mettere con precisione il di­to nella piaga. Da quando si è aperto il di­battito sull’effetto serra gli scienziati si dividono tra chi suggerisce di adattarsi al cambiamento del clima e chi sposan­do i modelli matemati­ci che ipotizzava­no situazioni molto estreme ha suggeri­to interventi consistenti per mitigare l’aumento delle temperature. Hanno vinto i secondi. Ecco i risultati, esposti da Mockton, a quasi quindici anni dal protocollo di Kyoto. Beh, innanzitutto il cambiamento cli­matico sin qui è stato molto più lento del previsto. Agli inizi degli anni Novanta si pensava che le temperature sarebbero salite, a livello globale, di un valore com­preso tra gli 0,2 gradi e gli 0,5 gradi ogni dieci anni. Invece l’aumento è stato so­lo di 0,14 gradi.E non è detto che lescel­te umane c’entrino. Ma soprattutto il co­sto per ridurre le emissioni, anche di po­co, è altissimo. L’esempio portato da Monckton è quello della CO2 Tax impo­sta in Australia. Per abbattere le emissio­ni globali di CO2 dello 0,0006 entro il 2020 gli australiani spenderanno 130 mi­liardi di dollari. Se tutti nel mondo prati­ca­ssero la scelta australiana il costo sali­rebbe a 541 miliardi di dollari. Insom­ma, il rapporto costi benefici secondo Monckton è folle, per usare parole sue: «Se questa fosse una polizza assicurati­va nessuno vorrebbe sottoscriverla… adattarsi al mutamento climatico ha co­sti molto più bassi». Ovvio che il dibattito a quel punto si sia spostato sui numeri. E qui il contribu­to p­iù interessante è stato probabilmen­te quello del «padrone di casa», il profes­sor Antonino Zichichi: «Per capire gli spostamenti di un elettrone servono del­le equazioni non lineari… Possibile che sul clima, che è complessissimo, circoli­no così tanti modelli predittivi approssi­mativi, basati su una matematica ele­mentare, e li si consideri attendibili?». E ancora,parlando con Il Giornale :«Il mo­tore meteorologico è in gran parte rego­lato dalla CO2 prodotta dalla natura, quella CO2 che nutre le piante ed evita che la terra sia un luogo gelido e inospita­le, quella prodotta dagli esseri umani è una minima parte… Eppure molti scien­ziati dicono che è quella minima parte a produrre gravi fenomeni perturbativi. Ma ogni volta che chiedo loro di esporre dei modelli matematici adeguati che so­stengano la teoria (e comunque oltre ai modelli servirebbero degli esperimen­ti) non sono in grado di farlo. Serve un gruppo di matematici che controlli i mo­delli­esistenti e dia dei responsi di atten­dibilità, spostano miliardi di dollari… Magari deviandoli da emergenze vere». Tra l’altro molto spesso i teorici del­l’ecologia che criticano l’eccessiva pro­duzione di CO2 sono gli stessi che si op­pongono a testa bassa al nucleare. Risul­tato? Spiegato abbastanza bene nell’in­contro di ieri mattina che ha coinvolto molti esperti dell’atomo, tra cui Hans-Holger Rogner dell’Agenzia internazio­nale per l’energia atomica e lady Barba­ra Thomas Judge dell’Autorità per l’energia atomica della Gran Bretagna. L’Occidente ha arrestato il suo sviluppo nucleare. Però nel mondo sono in co­struzione più di sessanta centrali nucle­ari. Molte in Paesi del Terzo mondo, in cui i controlli e i pareri dell’Agenzia in­ternazionale sono nulli. Insomma, chi paga il dazio ecologico lo paga caro e forse a vanvera, chi non lo paga super-produce ma rischia di far danno a tutti, e non con la CO2.