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 2012  agosto 21 Martedì calendario

Lucette, la moglie discreta dell’infrequentabile Céline - Nel 1961, quando Louis­ Ferdinand Céline mo­rì all’età di 67 anni, Lu­cette, sua moglie, fu fi­nalmente libera di vivere

Lucette, la moglie discreta dell’infrequentabile Céline - Nel 1961, quando Louis­ Ferdinand Céline mo­rì all’età di 67 anni, Lu­cette, sua moglie, fu fi­nalmente libera di vivere. Aveva quarantanove anni e fra la fuga dalla Francia attraversando un’Europa in fiamme, l’esilio for­zoso in Danimarca, il rientro in pa­tria grazie a un’amnistia, l’auto­esilio volontario sulle alture di Meudon, si era giocata quasi vent’anni della sua esistenza nel ruolo di moglie invisibile di un uo­mo impossibile. Céline non usci­va mai di casa e, tranne rare occa­sioni, non riceveva, un «morto che cammina», artisticamente e fi­sicamente, il cui unico obiettivo era riprendersi quella gloria lette­raria finita nella polvere per le sue scelte politico-ideologiche. La decadenza fisica di lui prese via via le caratteristiche di una ca­tastrofe, un corpo che sempre più si incurvava, un volto che sempre più si incavava, dei panni che sem­pre più coprivano, ma non vestiva­no, laceri, sporchi stracci senza forma… Al primo piano del villino di Meudon dove vivevano una vi­ta da auto-reclusi per scelta di Louis, accettazione di Lucette, lei aveva ricavato la sua camera e or­ganizzato una sala di danza. «Dan­za classica e di carattere» era l’in­segna che aveva voluto mettere al cancello, sotto quella di «medico» scelta dal marito. Gli allievi, come i pazienti, erano rari. Per gli uni co­me per gli altri, era Madame Al­manzor. Nel decennio dell’«esilio volon­tario » di Meudon, Céline fece di Lucette la Lili e l’Arlette dei suoi ul­timi romanzi, oggetto di ammira­zione e di desiderio, «Ofelia nella vita, Giovanna d’Arco nella pro­va », ninfa pagana e gentile, «natu­ra tutta armonia, danzatrice nel­l’animo e nel corpo, tutta nobil­tà… Oh, lei ha i segni Arlette, felice­mente! Le danzatrici, le vere, quel­le che ci nascono, sono fatte di on­de, diciamo! Non di carne… È uti­le nelle ore atroci… niente parole, allora! Basta parole! Solamente le mani! le dita… un gesto… una gra­zia… È tutto». Dopo che Céline morì, Mada­me Almanzor, Lili, Arlette, diven­ne per tutti Madame Céline: la sua esistenza alimentava l’illusione che in qualche modo, in quella ca­sa lui continuasse a esserci: si an­dava al 25 ter di route des Gardes, sulla strada che porta a Versailles, come si va in pellegrinaggio. Nel 1969, un incendio distrusse l’abi­tazione e Madame Céline la rico­struì tale e quale: gli morì il pappa­gallo del Gabon Toto, e lei si prese un Toto II, e così fece con i cani e con i gatti. Per certi versi, accadde la stessa cosa con gli amici fedeli dei tempi bui, le Arletty, i Marcel Aymé. Alla loro scomparsa, via via che le Parche ne tagliavano il filo della vita, Madame Céline li rim­piazzava con amici più giovani ma egualmente fedeli: il battaglie­ro Dominique de Roux dei Cahiers de l’Herne, l’avvocato François Gibault, legale di Lucet­te e poi biografo di Louis, lo scritto­re Frédéric Vitoux, futuro accade­mico di Francia… Il libro ora uscito in patria per fe­steggiare il traguardo raggiunto da Lucette dei cento anni ( Mada­me Céline. Route des Gardes , Pgde, pagg. 139, euro 16,90) ne è per certi versi la più perfetta testi­monianza. L’editore è Pierre Guillaume de Roux, il figlio di Dominique, fra i contributi, oltre i già citati Gibault e Vitoux, ci sono Sergine Le Bon­nier e Serge Perrault, che Céline conobbero da vivo, Marc Laude­lout e David Alliot, che all’opera di Céline hanno dedicato la loro esistenza, Véronique Robert-Chovin e Maroushka, che di Lu­cette furono allieve. Nel mezzo secolo di Lucette senza Louis, per lei ci sono stati l’esame per prendere la patente e l’acquisto di una macchina,i viag­gi in Asia, Giappone, India, Tai­landia, in Africa, Kenya, Tanza­nia, nel Mediterraneo, Marocco e Grecia, Tunisia e Spagna, Italia, nel Nord-Europa, i fini settimana a Dieppe, le corse a Parigi per uno spettacolo di teatro o di danza, una serata al cinema, gli acquisti da Fauchon per le cene della do­menica con amici, conoscenti, ammiratori: Charles Aznavour e Maurice Ronet, Claude Berri e Fa­brice Luchini, Françoise Hardy e Philippe Sollers, Jacques Vergès e… Carla Bruni. Un universo com­pletamente diverso rispetto al precedente, eppure non nuovo. Nel 1936, quando Louis e Lucette si misero insieme, lei appena tor­nata da una tournée negli Stati Uniti, lui fresco del nuovo scanda­lo di Mort à crédit , erano una ra­gazza curiosa e piena di vita di 24 anni e un quarantenne sensibile, colto e divertente. Alto più di un metro e ottanta, biondo e con gli occhi azzurri, abiti di buon taglio e stoffa inglese, di casa a Ginevra come a Vienna, a New York come a Londra, già sposato e divorzia­to, quel Céline era un uomo di mondo… Poi il mondo non fu più lo stesso, e lui nemmeno. Da più di un decennio ormai, Madame Céline non esce più: le gambe hanno smesso di funziona­re, tre persone si occupano della sua salute, sotto la supervisione di Sergine Le Bonnier, ma i rendez­vous domenicali amicali e culina­ri, per quanto diminuiti continua­no a esserci. Mesi fa Frédéric Vi­toux mi ha detto che, dal punto di vista della verve e della testa, Lu­cette è sempre la stessa. Nel tem­po, l’indirizzo di route des Gardes al numero 25 è divenuto lo spazio fuori moda eppure alla moda di un culto, il luogo intemporale do­ve soffia un certo spirito del tem­po, un salotto da tè che sa dello zol­fo dell’inferno umano e artistico proprio di Céline. Intelligente­mente, Madame Céline ha messo la sordina sul Céline maledetto, dedicandosi al suo riscatto di scrit­tore puro e costruendo in alterna­tiva l’immagine di un uomo soffe­rente, buono, travolto dagli even­ti…. Fatalmente, la casa di Meu­don è divenuto lo spazio dove la sovversione si è fatta istituzione, il sole nero dell’ignominia è andato sempre più tramontando, un cimi­tero di vivi che assomigliano a dei morti e dove l’unico veramente vi­vent­e è il morto periodicamente ri­cordato, difeso e amato, una sorta di Père Lachaise alla rovescia. Il più infrequentabile degli scrittori di Francia ha lasciato la più fre­quentata delle vedove.